Dopo l’introduzione della modalità di pagamento anticipato, la sospensione delle forniture di gas russo all’Ucraina è arrivata. Inevitabili quindi le preoccupazioni su possibili interruzioni anche verso i paesi europei. Ma davvero la Russia può, nel medio periodo, fare a meno dell’Europa?
RUBINETTI CHIUSI IN UCRAINA
Dalla mattina del 16 giugno Gazprom immette nei gasdotti che transitano per l’Ucraina solo il gas destinato all’Europa, sospendendo invece le forniture destinate all’ucraina Naftogaz. Ciò, di per sé, non avrebbe effetti sulle forniture all’Europa. Tuttavia, esiste il pericolo che l’Ucraina utilizzi il gas destinato all’Europa per il proprio mercato interno. In questo caso, Gazprom avrebbe solamente l’opzione di interrompere tutte le forniture, comprese quelle per l’Europa.
A nulla sono valse le mediazioni della Commissione europea tra le due aziende di Stato. Gazprom ha avviato una causa presso la Corte arbitrale internazionale di Stoccolma, per ottenere il pagamento dei 4,458 miliardi di dollari di debiti accumulati da Naftogaz, mentre quest’ultima ha citato Gazprom, sempre a Stoccolma, per ottenere la restituzione di pagamenti per il gas che sarebbero stati effettuati “in eccesso” dal 2010 a oggi, chiedendo anche la definizione di un “giusto prezzo” del gas per le forniture future. (1)
Del resto, con il precipitare degli eventi nell’Ucraina orientale e con le truppe russe massicciamente schierate lungo i confini non è certo facile negoziare e si devono affrontare problemi più gravi rispetto a quelli del metano.
Come abbiamo già ricordato, almeno per quanto riguarda il gas, si tratta di una situazione che si è verificata anche in passato: a cavallo tra il 2005 e il 2006 e nella notte tra il 6 e 7 gennaio 2009, protraendosi per quasi una settimana. (2)
L’arrivo della bella stagione scongiura problemi immediati e, anche per le esperienze passate, non mancano elementi per non preoccuparsi troppo: dalla diminuzione della quota di gas russo che attraversa l’Ucraina al potenziamento della capacità di interconnessione e contro-flusso nell’Est Europa, dalle accresciute possibilità di servirsi di gas naturale liquefatto alla perdurante flessione della domanda. (3)
Tuttavia è vero che finora di azioni concrete da parte dell’Unione europea per fronteggiare, anticipandolo, un non escludibile “peggio” non ve ne sono state, come ha già osservato Alberto Clô. (4)
Lecito perciò chiedersi cosa potrebbe succedere se l’interruzione delle forniture si protraesse nel tempo intaccando anche i volumi destinati all’Europa. (5) E lecito chiedersi se ciò non comporterebbe problemi anche per la Russia.
FLUSSI E BILANCI
Senza entrare nel merito delle questioni geopolitiche, e focalizzandoci sul breve-medio periodo, ci limitiamo a osservare i flussi di gas e questioni economiche, andando anche a leggere qualche numero nel bilancio del colosso russo.
Anzitutto, come si può notare nel grafico sottostante, i volumi venduti in Russia da Gazprom rappresentano la metà delle vendite; ai paesi dell’ex-Urss, invece, viene venduto meno del 15 per cento dei volumi; il mercato europeo è passato dal 32 al 38 per cento.
Grafico 1 – Ripartizioni dei volumi di gas naturale venduti da Gazprom nel 2012 e 2013
Fonte: elaborazione su dati Gazprom
La crescita sul mercato europeo dello scorso anno ha una serie di cause, fra cui il ritiro di volumi precedentemente pagati in concomitanza con la riduzione degli approvvigionamenti da altri paesi produttori di cui, in particolare per l’Italia, abbiamo già scritto. (6)
Se, invece, ci soffermiamo sui contributi al margine operativo, si può notare come numeri e proporzioni siano nettamente diversi.
Grafico 2 – Contributi al margine operativo di Gazprom per il 2012 e 2013
Fonte: elaborazione su dati Gazprom
Nel 2012, le vendite all’Europa, da sole, contribuivano al 70 per cento del margine e sommate alle vendite dei paesi dell’ex-Urss ne totalizzavano il 90 per cento. In Russia, ancora oggi il gas è venduto al costo (forse, considerando anche ammortamenti e oneri generali, addirittura sottocosto).
Nel 2013, il contributo al margine delle vendite all’estero è simile, anche se si ferma all’83 per cento. Cambia anche la ripartizione: aumenta in maniera sensibile il contributo dei paesi che facevano parte dell’Urss, che dal 20 passa al 30 per cento, mentre si riduce quello dell’Europa. Questo perché nel 2013 sono stati ritirati volumi di gas già pagato e, se l’Annual Report riporta i volumi consegnati, il Report finanziario riporta ricavi e costi al netto dei volumi già venduti.
Non abbiamo dati sui volumi ritirati ma già pagati negli anni precedenti. Tuttavia, possiamo comunque notare che da un lato, riguardo alla sola Europa, si riduce il valore unitario dei ricavi per il 2013 mentre, dall’altro, si notano i primi effetti dell’aumento dei prezzi praticati ai paesi che in passato hanno fatto parte della orbita sovietica.
I crediti commerciali, che comprendono anche i debiti contratti dagli ucraini, dal 2008, anno dell’inizio della crisi finanziaria, a oggi sono cresciuti del 67 per cento e ammontano a 49 miliardi di euro, quasi i due terzi dei ricavi annuali sulle vendite di gas. Di questi, più di 12 miliardi di euro sono crediti esigibili oltre i dodici mesi; questo tipo di crediti è cresciuto, dal 2008, di oltre il 72 per cento. Ciò dimostra che il gas è pagato con sempre maggior ritardo e poiché i pagamenti europei sono puntuali, a volte anche anticipati, è chiaro che i paesi (una volta) satellite e il mercato interno hanno avuto delle problematiche di pagamento.
Gazprom, comunque, oltre a essere un colosso, è e resta una società solidissima: l’attivo è finanziato per il 77 per cento da capitale proprio e i debiti sono quasi tutti con banche russe.
Resta, tuttavia, che i profitti di Gazprom dipendono dall’Europa, così come la sua possibilità di sviluppare nuovi giacimenti. Per contro, è davvero difficile ipotizzare un rilevante aumento dei prezzi del gas in Russia, perché troppo grande sarebbe il malcontento popolare. Ciò, almeno nel medio periodo, dovrebbe mettere noi europei al sicuro.
Tutto ciò, però, non ci autorizza a stare troppo tranquilli. Di certo, non si può sottovalutare lo storico accordo per la fornitura di gas alla Cina, firmato a maggio tra Gazprom e la società cinese Cnpc. Gli impegni industriali e finanziari sono notevolissimi, e non del tutto noti, ma è di ieri la notizia che i lavori del primo tratto del gasdotto “Power of Siberia” inizieranno ad agosto. (7)
Ma, appunto, per avere questa preoccupazione dovremmo innanzi tutto ragionare da europei, cosa che, come ha già sottolineato Francesco Daveri, finora si è vista poco e male.
(1) Staffetta Quotidiana del 16 giugno 2013.
(2) In ragione delle medesime motivazioni e con giorni di completa interruzione dei flussi. Si veda [1] Staffetta Quotidiana del 5 gennaio 2006 e [1] Agienergia del 20 gennaio 2009.
(3) Dall’inverno del 2011 è in esercizio il Nord Stream, un grande gasdotto che attraversando il Mar Baltico collega la Russia al Nord della Germania. Significativa, a tal proposito, l’affermazione di Alexei Miller, ad di Gazprom, rilasciata a Vienna in occasione della firma dell’accordo tra gli azionisti sul South Stream:«Siamo in grado di bilanciare questi rischi, aumentando il flusso attraverso il Nord Stream e Yamal, e pensiamo di pagare noi per il riempimento degli stoccaggi dell’Unione europea».
(4) Alberto Clô “La mossa del cavallo di Vladimir Putin”, Newsletter GME n. 72, giugno 2014.
(5) Il gas si consuma molto più d’inverno che d’estate ma un’interruzione generalizzata comporterebbe dei problemi nel riempire gli stoccaggi per i mesi freddi.
(6) I dati includono anche la Turchia.
(7) Il solo investimento diretto è stimato in 75 miliardi dollari, di cui 55 da parte di Gazprom.
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EzioP1
Se si suddivide il rischio globale in: rischio societario, quello di Gazprom; rischio di impianto, per gli impianti estrattivi e di trasporto; e rischio di sorgente, ovvero dei luoghi di estrazione del gas; forse il nostro rischio è solo il primo (societario e finanziario) poiché il gas per la Cina è estratto in Siberia, mentre quello per l’Europa nel Sud della Russia, analogamente per gli impianti che avrebbero percorsi diversi e forse non si uniscono neppure. Quindi lo spauracchio Cina mi pare non esista.
Gertsen
Romano Prodi, 29 luglio 2012: “Per garantire la sicurezza, le grandi imprese responsabili per l’approvvigionamento di metano hanno infatti dovuto (saggiamente per la situazione esistente fino a ieri) sottoscrivere contratti “take or pay” nei quali non solo il prezzo è legato al petrolio ma, per tutta la durata del contratto (generalmente fra i 20 e i 30 anni) si obbligano a pagare tutto il gas oggetto del contratto sia che lo ritirino sia che non lo ritirino perché non ne hanno bisogno e non sanno dove metterlo. La mancanza di una politica energetica europea e di una rete comune di gasdotti ha fatto il resto: oggi paghiamo il gas cinque volte di più del mercato interno americano e la nostra frammentazione ci rende ancora debolissimi nei confronti dei grandi fornitori. Con le nostre divisioni siamo perciò capaci non solo di mettere a rischio la nostra moneta ma anche di distruggere la nostra economia.”
Cose note da tempo, cosa si è fatto nel frattempo?