Nel libro “House of Debt”, gli economisti Mian e Sufi offrono un’interpretazione della crisi che non si concentra sul settore bancario, ma sulla riduzione della ricchezza delle famiglie seguita allo scoppio della bolla immobiliare. Con interessanti implicazioni di politica economica.
SE LE FAMIGLIE NON CONSUMANO
È un momento difficile per la disciplina economica. La grande recessione obbliga gli economisti ad aggiornare le loro teorie per tenere conto di aspetti prima spesso ignorati, come il ruolo giocato dal sistema finanziario. È inutile negare il senso di scetticismo sulla profondità della comprensione dei fenomeni economici e sul ruolo degli economisti come consiglieri per la politica economica.
In momenti come questo è un piacere leggere libri come House of Debt di Atif Mian e Amir Sufi, economisti rispettivamente di Princeton e Chicago. La loro tesi è chiara e interessante. La crisi non è (almeno non è principalmente) una crisi del sistema bancario, ma è una crisi dovuta alla mancanza di domanda delle famiglie e quindi, di riflesso, anche di investimenti delle imprese. La causa ultima sta nel tipo di contratti finanziari usati per finanziare l’acquisto delle case. I mutui sono contratti di debito, che hanno un’importante proprietà: nel caso di diminuzione del valore dell’immobile, la perdita è sopportata in primo luogo dal debitore. Generalmente sono gli individui meno ricchi a ricorrere ai mutui e ad avere una frazione maggiore della ricchezza investita nella casa. E sono quindi proprio tali agenti a essere stati maggiormente colpiti dalla riduzione del valore degli immobili, conseguente allo scoppio della bolla, e indotti a limitare drasticamente i loro consumi.
La riduzione della domanda di queste famiglie è pertanto all’origine della grande recessione. La riduzione dell’offerta di credito dovuta alla crisi del settore bancario, anche se certamente rilevante, è successiva.
Per argomentare la loro tesi, Mian e Sufi confrontano la spesa in beni durevoli delle famiglie americane nel gennaio-agosto 2007 con lo stesso periodo nel 2008, quindi prima del fallimento Lehman, che è del settembre 2008. In tale periodo, la spesa in auto si è ridotta del 9 per cento, quella in arredamento dell’8 per cento e quella per la manutenzione della casa del 5 per cento. Questi dati mostrano un chiaro e marcato declino nei consumi prima della crisi del settore finanziario.
Un altro contributo della ricerca degli autori, riassunta nel libro, è quello di mostrare come la ricchezza delle famiglie sia stata colpita in modo molto asimmetrico dallo scoppio della bolla immobiliare. In alcuni distretti (zip codes) le famiglie erano molto indebitate, mentre in altri lo erano molto meno. Ovviamente lo scoppio della bolla immobiliare ha avuto un effetto maggiore nel primo caso e i dati mostrano una più elevata riduzione della domanda proprio nei distretti in cui le famiglie erano maggiormente indebitate. Gli autori poi guardano all’impatto della crisi sull’occupazione in diverse aree degli Stati Uniti. La riduzione del valore delle case ha colpito in modo diverso i distretti degli Stati Uniti, poiché diverso era stato l’impatto della bolla immobiliare. La teoria suggerisce che nei distretti che hanno avuto una limitata riduzione della ricchezza, l’effetto negativo sull’occupazione dovrebbe essere asimmetrico: limitato nei settori che producono beni e servizi rivolti al mercato locale e più marcato nei settori che producono beni e servizi rivolti al mercato nazionale. I dati confermano questa congettura.
SCELTE DI POLITICA ECONOMICA
Se la teoria sull’origine della crisi è corretta, le implicazioni di politica economica che ne conseguono sono chiare: la priorità dovrebbe essere quella di aiutare le famiglie che hanno subito la maggiore perdita di ricchezza con la riduzione di valore delle loro case, perché solo in questo modo riprenderanno a consumare. Avendo esse un’elevata propensione marginale al consumo, è lecito aspettarsi un rilevante impatto sulla domanda aggregata. Le tradizionali politiche monetarie e fiscali espansive sono destinate ad avere una minore efficacia. Purtroppo, la strada proposta dagli autori, come loro stessi ammettono, è poco percorribile politicamente. L’argomento “non è giusto aiutare chi si è indebitato troppo” è di facile presa nell’opinione pubblica e difficilmente un politico che cerca la rielezione può non appoggiarlo.
Un corollario delle tesi proposte nel libro è che il lamento spesso ascoltato a proposito dei governi che pensano troppo a salvare le banche e troppo poco alle famiglie non è semplice populismo. Ovviamente gli autori non negano l’importanza della crisi del settore bancario e del conseguente credit crunch, ma mettono in luce la diversa attenzione che banche e famiglie hanno ricevuto dai governi nella fase successiva alla crisi.
Infine, il libro propone di istituire contratti finanziari che siano diversi da quelli tradizionali di debito e più simili a contratti di equity per garantire una migliore divisione del rischio tra debitori e creditori. La proposta è controversa, poiché, ad esempio, una minore esposizione al rischio ex-post può generare più facilmente un boom del credito nelle fasi di espansione economica, con le relative conseguenze negative.
Leggere questo libro è di grande sollievo per chi è interessato all’economia. Non tanto e non solo per le tesi proposte, che, come sempre in economia, non sono verità assolute, ma perché gli autori mostrano come la combinazione di teoria e dati possa aiutarci a capire meglio i fenomeni economici e quindi a basare le scelte di policy su fondamenta più solide degli a priori di politici ed economisti. Il libro si concentra solo sul caso americano, ma mi sento di consigliarlo anche a tutti i lettori italiani il cui interesse per l’economia vada oltre il tifo per la squadra euro o per quella no euro.
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piertoussaint
“Se le famiglie non consumano”! Questa è, appunto la “società dei consumi”, fondata sul debito pubblico e sull’inflazione. E’ qui tutto il nocciolo della questione politica, economica, e – a monte di tutto – antropologica. Sull’evoluzione di questo modello disastroso, progrediremo oppure schianteremo del tutto.
Michele Garulli
Non ho ancora letto il libro. Tuttavia tra le cause della mancanza della domanda delle famiglie aggiungerei (come forse più importanti rispetto allo scoppio della bolla immobiliare) la compressione dei redditi delle classi medio/basse quale conseguenza di decenni di deregulation e della evoluzione tecnologica che ha impoverito le mansioni impiegatizie.
lallo ghini
Non tra le cause. La causa. In un sistema a vasi comunicanti, la liberalizzazione selvaggia ha prodotto l’abbassamento della ricchezza dei paesi occidentali drenandola verso paesi in via di sviluppo (all’interno dei quali vige la legge della giungla sociale, economica, ambientale).
lodovico malavasi
In Cina le liberalizzazioni non avvengono in modo selvaggio ma in modo controllato. La domanda cui dovrebbe rispondere ora potrebbe esser la seguente: nei paesi dove il reddito o il PIL prodotto è di oltre il 50% creato dallo Stato è corretto parlare di liberalizzazioni selvagge? E l’Italia che si trova in questa fascia da sempre, forse, dovrebbe guardare la produttività che nel settore pubblico spesso è un freno piuttosto che ricercare cause ideologiche.
Giovanni V.
Più che “House of debt” bisognerebbe parlare di “Web of debt”: http://www.webofdebt.com/
La madre di tutti i problemi è il sistema monetario attuale, ossia come è creata la moneta. Sistema che oggi è in mano alle Banche Private, anziché allo Stato!
antonello
E’ la tesi centrale di “Aftershock” di Robert Reich, del 2010: http://www.fazieditore.it/Libro.aspx?id=1148
serlio
Ora chi acquista un immobile acquista delle tasse e non poche! Quanto incide la tassazione sul valore attuale degli immobili? Parecchio. Senza poi considerare le tasse di registro, quelle sui contratti d’affitto, il pagare le tasse su affitti eventualmente non percepiti e via dicendo. Grazie a MM, brillante economista, il settore immobiliare italiano è morto. Bravo.
fabio eboli
Non sono un esperto di questa letteratura, ma ho il sospetto che uno dei problemi centrali sia stato l’aver indotto le famiglie a scegliere, inconsapevolmente, mutui a tassi variabili Una volta che il sistema finanziario ha indotto molte famiglie (più che risk-prone, le definirei risk-ignorant) a ricorrere a queste tipologie di prestiti, è stato abbastanza semplice andargli a prendere denaro sulla quota interessi che si gonfiava a dismisura. Mi chiedo, se è vero il mio presupposto, quanto questo abbia influito nel creare la crisi di domanda delle famiglie, perché in questo caso la crisi (o le magagne) del sistema bancario sarebbe il naturale presupposto della crisi di domanda, prodotta dalla riduzione di potere d’acquisto (pago interessi sui mutui anziché pane e acqua). Non so se ho espresso chiaramente il mio pensiero, ma fatemi sapere cosa ne pensate e se ha qualche fondamento anche di letteratura.
mara
Però qualche cosa per le famiglie in Italia si sta facendo; infatti se si riesce a mettere un po’ di risparmio da parte, gli interessi sono talmente irrisori che non si riesce a salvaguardare nemmeno il capitale e se comunque c’è chi insiste a voler risparmiare ci pensa la tassazione al 26% ad
aggiustare il tiro. Quindi, come non chiamare questo un “vero incentivo” a spendere tutto e subito quel poco che si ha? È così che si aiutano i consumi,
poi quando avrai bisogno e risparmi non ne hai allora vai a fare un debito in banca. E’ dura uscirne. Forse si dovrà tornare a nascondere i soldi nel materasso?
Piero
Purtroppo l’origine della crisi non è quella della bolla immobiliare, una bolla immobiliare fa danni nel breve, il mercato è capace di curare questi mail, il vero problema almeno in Europa è la mancanza di fiducia del debito pubblico che ha danneggiato l’operatività delle banche che non hanno potuto fare più da supporto all’economia reale, crisi dell’economia che ha creato incertezze e disoccupazione e quindi calo dei consumi. In America, al contrario, il problema è derivato dalla crisi degli immobili, ma già oggi il loro valore è cresciuto, ciò è la conferma che una crisi di tale origine è temporanea.
M.S.
A commento riporto quanto scritto nella parte iniziale di un articolo pubblicato nel 2013 su lavoce.info.
“Se ci si chiede perché i prezzi degli immobili possono arrestare la loro rapida ascesa, basta pensare che fattori reali tornano a prevalere su quelli speculativi. I redditi dei consumatori restano infatti più stabili dei prezzi degli immobili. Così, nonostante bassi tassi di interesse reali, e una propensione al risparmio negativa in alcuni paesi, l’accelerata crescita del valore dell’immobile incide sull’entità della rata del mutuo che i nuovi acquirenti devono pagare. Alla fine è il crescente differenziale tra la rendita immobiliare e i redditi percepiti da un gran numero di potenziali acquirenti a decretare il ritorno a valori di mercato condizionati dalla domanda effettiva disponibile.[i]
[i]gli economisti inseriscono spesso ipotesi di reddito permanente nei modelli. Quello proposto è un ragionamento fondato sul reddito effettivamente percepito, e non su aspettative di guadagno futuro; queste ultime negli ultimi quindici anni sono diventate sempre più incerte per le generazioni più giovani, come conseguenza dell’aumento della quota di contratti di lavoro di breve durata”
Il testo è stato tagliato per ragioni di “spazio” (la tesi non era sostenuta, su quel punto specifico, da dati empirici sul caso americano e/o italiano):
“Commento non firmato poiché qualsiasi lettore attento può ritrovare da solo la corrispondenza con articolo pubblicato un anno fa sulla bolla immobiliare su questo sito, e il dibattuto su altri siti on line. Il “costo della censura” sulla produzione intellettuale è tale da ridurre sistematicamente le possibilità di pubblicare in modo ufficiale in Italia.
Si crea così la premessa per un ritardo continuo, strutturale, di tutto il Paese (e una impossibilità pratica di carriere libere da manipolazioni nella ricerca). Ciò vale sopratutto nelle scienze sociali, dove le libertà costituzionali (di espressione, di ricerca) sono carta straccia per chi non appartiene a partiti politici o a gruppi di interesse, e per chi non accetta rigidissime logiche di scambio, di clientela, e di controllo spesso umiliante sui contenuto del proprio lavoro, che giungono fino allo stravolgimento dei significati operato da sistemi di controllo sempre più asfissianti. L’ignoranza o la richiesta di adesione a tesi pre-confezionate dominano, rendendo impossibile persino la sopravvivenza a chi è in grado di esprimere un dissenso informato sostenuto da concetti e riferimenti teorici solidi congiunti a dati di realtà.
AM
Il mercato immobiliare italiano è diverso da quello americano. In Italia non vi è stata una vera e propria bolla, ma sono elevati i costi di costruzione per le tipologie dei materiali usati, per le tecniche di costruzione e per gli esasperanti adempimenti burocratici che possono essere snelliti solo pagando tangenti.
plapla60
Quanto scritto nel libro è ovvio come l’acqua nel pozzo. In Italia comunque non c’era la crisi immobiliare causata dai mutui inesigibili. E allora il governo Monti per salvare le banche indebitate con gli strumenti finanziari a leva, ha tassato in modo abnorme e indiscriminato il patrimonio immobiliare degli italiani provocando lo stesso disastro: azzeramento dei consumi interni. Per raccoglier 20 miliardi di euro annui in più di tasse (da Ici a Imu) si è provocato la caduta dei prezzi di almeno il 20/30% con una perdita patrimoniale di 1000 miliardi. Un bel risultato. Ma tutto ciò era previsto. Si vuole portare l’Europa Occidentale al modello-Sudamerica. Una piccola oligarchia di super ricchi e gli altri super poveri.
samboc2
Caduta dei prezzi del 20-30%? Qui nel cuore del Veneto felix la caduta è stata maggiore, al punto che non c’è più un prezzo di riferimento ed il mercato assolutamente inesistente. Il ‘commerciale’ è allo sfascio, l’abitativo bloccato. In provincia di Padova un signore ha tolto il tetto a un capannone sfitto, per non pagare l’Imu. Siamo sotto zero e non vedo come le cose qui possano cambiare (se non si rivede la tassazione).
Manshoon
La tesi degli autori mi sembra debole ed incompleta.
En passant si cita “lo scoppio della bolla immobiliare” come se fosse un fatto naturale quanto le maree. Chi ha gonfiato la bolla immobiliare e perché? Chi ha macinato enormi profitti negli anni del gonfiaggio della bolla sapendo perfettamente di scaricarli sulla clientela? Continuiamo a chiedere alle volpi come difendere il pollaio.
marcomassimo123
La Grande Crisi continua ovviamente e nessuno intende porci seriamente rimedio, perché si toccherebbero interessi troppo potenti; tra i rimedi ci sono l’abolizione dei derivati, la separazione delle banche d’affari dalle ordinarie, il divieto di certi tipi di vendite allo scoperto, la sostituzione del “free trade” con il “fair trade” ovvero non si commercia con paesi tipo la Cina che non rispettano i diritti dei lavoratori; inoltre i tassi di cambio delle monete devono essere concordati tra paesi e così pure le svalutazioni competitive; quando un paese ha un surplus commerciale esagerato deve essere indotto a “spendere” aumentando i salari dei lavoratori, senza che debba venire una cannoniera presso le sue coste a costringerlo.
Insomma il sistema economico-finanziario-commerciale internazionale sarebbe da rivedere completamente, ma ovviamente le elites che hanno in mano il pallino finanziario-culturale-universitario-mediatico si oppongono ferocemente perché tornerebbero a profitti normali e non a super profitti come ora;
Maurizio Cocucci
A questo punto aboliamo direttamente il libero mercato e nazionalizziamo tutte le attività così facciamo prima, piuttosto che varare centinaia di leggi e conseguenti decreti attuativi. E non è una battuta mi creda, perché possiamo abolire talune vendite allo scoperto per quelle borse che controlliamo, non quelle straniere. Possiamo con una legge obbligare le aziende ad aumentare i salari ma poi se queste decidessero di delocalizzare o le lasciamo fare o impediamo loro di farlo, per cui addio impresa privata. A proposito, l’aumento per legge dei salari riguarderebbe le imprese che esportano, quelle che fanno utili o tutte? Una forma simile di economia c’è stata nella Storia e si basava proprio su tassi di cambio prestabiliti per legge, non condizionati dal mercato.
marcomassimo123
Il mercato non è la legge della jungla, è fatto di regole che indirizzano il processo al bene proporzionale di tutti, in rapporto alle diverse capacità e dotazioni naturali, non al bene di pochi; lo sviluppo deve essere graduale e razionalmente pilotato, non traumatico; gli “spiriti animali” che poi sono la sessualità e l’aggressività alla lunga fanno la logica e prevedibilissima fine che sempre hanno fatto nella Storia: ovvero finiscono “a schifio” nel senso di conflitti sociali/militari irreparabili e/o “a cazzo” ovvero nella farttispecie in crisi economiche irrisolvibili; anche stavolta come sempre siamo sulla buona strada.
ferroberto
La realtà italiana può essere paragonata a quella americana? Nel mio caso specifico, la crisi finanziaria ha prodotto una riduzione significativa della mia rata di mutuo a tasso variabile stipulato ante-crisi (passata da 840 a 590 €). Attualmente il mio tasso è complessivamente (Euribor+spread) all’1,15%. Un tasso addirittura inferiore all’inflazione. Non è, di fatto, un aiuto ai possessori di casa che compensa abbondantemente l’attuale perdita di valore dell’immobile?