Le ragioni che spinsero le parti sociali e il Governo alla firma del Patto del luglio 1993 sono ancora valide. Tuttavia l’accordo va rivisto, per rendere più flessibile la contrattazione collettiva sul territorio e tener conto delle disparità fra i mercati regionali del lavoro In questi dieci anni , luglio 1993- luglio 2003, le retribuzioni sono aumentate poco in termini reali ( se si fa il confronto con i periodi precedenti) , così come è aumentata poco la produttività del lavoro.La quota delle retribuzioni nel valore aggiunto è diminuita, soprattutto nei settori dei servizi, protetti dalla concorrenza internazionale. Quel poco di crescita che vi è stata, si è trasformata quasi tutta in aumento di occupazione. Nel frattempo l’inflazione è diminuita ai livelli necessari per entrare nell’Euro. La moderazione salariale Nonostante manchino a tutt’oggi, precise e rigorose analisi economico-statistiche, il quadro succinto sopra delineato, insieme ad altre informazioni di vario tipo, sembrano confermare l’opinione, molto diffusa, che in questi dieci anni , i sindacati hanno moderato alquanto le loro rivendicazioni , più di quanto sarebbero stati comunque costretti a fare sulla base delle cattive condizioni del mercato del lavoro degli inizi degli anni novanta . Si è trattato di una scelta precisa , fatta in occasione del Patto del luglio 1993 e con l’intenzione di facilitare il raggiungimento di quegli obiettivi di contenimento dell’inflazione e di aumento dell’occupazione , che di fatto sono stati raggiunti. Come Continuare a Creare Posti di Lavoro? Ma esiste un problema ulteriore di cui si discute da tempo ormai ed esso riguarda l’opportunità di finalizzare meglio i contenuti di quel Patto agli obiettivi che fanno parte della strategia per l’occupazione della Comunità Europea . La strategia elaborata al Consiglio di Lisbona invita tutti i Paesi membri a creare “more and better jobs”. Non solo quindi una quantità maggiore , ma anche una qualità migliore di posti di lavoro, il che significa aumentare sia l’occupazione che la produttività, perché solo da quest’ultima si possono ottenere migliori salari e migliori condizioni di lavoro. Le Differenze tra Paesi Questo obiettivo va graduato in relazione alle condizioni dei mercati del lavoro nazionali. Vi sono alcuni Paesi dove i tassi di occupazione sono molto elevati, e hanno già raggiunto e , in certi casi superato, l’obiettivo del 70% indicato a Lisbona. L’occupazione può sì ancora aumentare , ma non vi è dubbio che la crescita futura dovrà essere alimentata soprattutto da crescita della produttività. In altri Paesi l’occupazione è ancora molto bassa e , per qualche tempo ancora, gli sforzi per aumentarla devono essere molto sostenuti. E a questi Paesi , fra cui l’Italia, si aggiungono quelli che entreranno nella Comunità l’anno prossimo, che hanno ancora problemi enormi di insufficiente “quantità” di posti di lavoro, necessari per ridurre disoccupazione e lavoro nero. Disparità Regionali e Contrattazione a Livello Locale Questo è il motivo per cui la Comunità ogni anno, nelle raccomandazioni che invia agli Stati membri , invita con insistenza a risolvere il problema delle disparità regionali, che deve essere affrontato con la messa in campo di una pluralità di politiche ( aiuti agli investimenti, infrastrutture , mobilità dei fattori produttivi, riduzione dei costi burocratici per la nascita di nuove imprese, maggiore cultura di impresa, ecc. ecc.) e fra questi strumenti indica anche una politica salariale che tenga conto dei diversi livelli di produttività e delle diverse condizioni dei mercati locali del lavoro. Quest’ultimo invito è rivolto soprattutto alle parti sociali , proprio perché nei Paesi in cui questi problemi si pongono sono quelli in cui il sistema della contrattazione delle retribuzioni è tuttora molto centralizzato.
Le ragioni che spinsero parti sociali e governo a quella firma, restano tuttora valide. Il tasso di occupazione è tuttora il più basso in Europa e per di più permane un differenziale di inflazione che, per quanto piccolo, può recare, alla lunga, danni seri al grado di competitività della nostra economia. Attraverso concertazione, o dialogo sociale che sia, ciascuno facendo il proprio mestiere, è comunque essenziale che quella moderazione delle rivendicazioni non venga assolutamente meno.
Ma le differenze territoriali non si fermano alle differenze fra Paesi. Sono molto forti, all’interno di Paesi come Spagna, Germania, Belgio e soprattutto Italia, le differenze fra regioni. Alcune regioni di questi Paesi sono già molto sviluppate e hanno raggiunto livelli di occupazione, simili a quelli di alcuni piccoli Paesi del Nord Europa, che vengono spesso indicati come esempi per tutti gli altri.Qui i problemi di quantità di posti di lavoro sono quasi tutti risolti ( al di là dei problemi di carattere congiunturale). Vi sono invece altre regioni che presentano situazioni che sono simili a quelle dei nuovi Paesi dell’Est Europa che stanno per entrare nella Comunità. Qui il problema di creare posti di lavoro aggiuntivi è tuttora dominante; creare più posti è lo strumento principale per assorbire disoccupazione e per avvicinare il reddito pro-capite alla media europea.
Questo è un invito, indiretto, a rendere più flessibile l’Accordo sul costo del lavoro del 1993. Continuare la moderazione salariale con le stesse modalità di questi ultimi dieci anni, può essere persino problematico per gli stessi sindacati. Le recenti vicende contrattuali, al di là dei contenuti prettamente politici che hanno caratterizzato i negoziati, sembrano suggerire che difficoltà di questo tipo potrebbero presentarsi in futuro. Non si può escludere che in aree territoriali a livelli di quasi pieno impiego, si manifestino forti aspirazioni ad aumenti del potere di acquisto delle retribuzioni e ad un miglioramento del tenore di vita. A queste aspirazioni il mondo delle imprese deve rispondere con investimenti e capacità innovative. In altre regioni del Paese la disoccupazione , aperta o nascosta che sia, è tuttora a livelli insopportabili. In Calabria il tasso di disoccupazione è più alto di ben 25 punti percentuali rispetto a quello del Trentino Alto Adige, e 25 punti percentuali sono circa tre volte il tasso di disoccupazione medio dell’intera economia . Come si vede situazioni alquanto diverse che richiedono priorità di “policy” altrettanto diverse.
Le disparità regionali rappresentano uno dei principali problemi del nostro Paese e spetta ai governi cercare di risolverlo. Le parti sociali possono però dare il loro contributo, se quella prospettiva di intenti comuni che aveva caratterizzato il Patto del 1993 non viene abbandonata , ma anzi rafforzata per vincere le resistenze al cambiamento e affrontare i necessari processi di riforma. Il Patto del 1993 va rivisto per rendere più flessibile la contrattazione collettiva sul territorio, con una base di condizioni minime ed essenziali comuni a livello nazionale, e per il resto finalizzata alla soluzione dei problemi delle diverse realtà locali. Del resto ormai si fa così anche con la politica del lavoro che il governo della passata legislatura ha definitivamente consegnato alla competenza delle Regioni e delle Province.
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