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Quel silenzio assordante sulle liberalizzazioni

Perché le parole “privatizzazione” e “liberalizzazione” sono bandite dal Documento di programmazione economico-finanziaria? L’assenza di linee guida su questi argomenti è stupefacente. Se non un governo di centro-destra chi dovrebbe compiere significativi passi avanti nell’affidarsi maggiormente al mercato, liberalizzando e privatizzando?

C’era una volta la voglia di privatizzare. Forse. Ma a guardare il Dpef, sembra proprio che non ci sia più… In realtà, per scrivere un pezzo su privatizzazioni e liberalizzazione non avrei neppure dovuto aspettare lo stesso Dpef. Tanto, in questo documento non sono menzionate né le prime né la seconda. Anzi, siamo più precisi. Si afferma che la ripresa delle privatizzazioni (quali?) aiuterà la riduzione del debito pubblico (pag. 75). Si dice che la liberalizzazione dei mercati dei prodotti dovrebbe portare a una minore disoccupazione (pag. 48) e che i paesi europei dovranno proseguire nella liberalizzazione dei servizi pubblici (pag. 82). Fine: tutto qui. Neppure una rituale affermazione per riassicurare il lettore sul fatto che il Governo crede che privatizzazioni e liberalizzazione siano importanti. Nulla.

Interpretare un’assenza

Come interpretare questa mancanza? Partiamo da una interpretazione letterale: nessuna privatizzazione in cantiere, nessun provvedimento di liberalizzazione in vista…? Un po’ sconcertante. Speriamo non sia così.
Altra interpretazione: se ne parlava nel documento dell’anno scorso, e se non ci sono novità è inutile ripetere quanto già detto. Possibile, ma almeno menzionare che il programma dell’anno scorso resta confermato sarebbe stato opportuno per diverse ragioni.
In primo luogo, se le privatizzazioni fossero un pilastro fondante della politica di Governo, il Governo ne parlerebbe spesso, come fa per le grandi opere, menzionate in tanti documenti precedenti ma che trovano ampio spazio anche nel Dpef. In secondo luogo, in sede pubblica e privata il Ministro Tremonti continua a far capire che lui alle privatizzazioni crede davvero poco, e che Lui (il maiuscolo è d’obbligo…) è un gestore migliore di qualunque privato. Il fatto che le privatizzazioni vengano menzionate solo ove si parla della situazione delle finanze pubbliche fa pensare che il Governo vede la vendita di imprese pubbliche (o di quote di queste imprese) solo come operazione per fare quattrini.
Nel Dpef dell’anno scorso erano elencate diverse privatizzazioni che avrebbero dovuto aver luogo – mercati finanziari permettendo – entro la fine del 2003. Di queste solo la vendita del 3.4% di Telecom Italia e del 100% di Eti sono state portate a termine (meglio – quest’ultima – di quanto molti avevano previsto, e quando si vede un lavoro ben fatto è un piacere poterlo dire). Il resto purtroppo langue, ed il fatto che non se ne parli più – oltre tutto, in una fase ascendente del ciclo di Borsa – preoccupa. Anche le operazioni su cui pare che il Comitato privatizzazioni abbia già deliberato sono cessioni marginali, residui di cessioni già iniziate da tempo e non ancora concluse (lo 0.1% della Seat; il 14.4% in Coopercredito; …). Le “vere” privatizzazioni sono quelle in cui lo Stato cede il controllo delle imprese – importanti – che oggi invece gestisce, e questo è del tutto assente.

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Liberalizzazioni? No grazie…

Il secondo tema è quello della liberalizzazione di alcuni settori chiave dell’economia italiana, dove magari la presenza pubblica diretta non è importante, ma dove vincoli di varia natura ostacolano la concorrenza. Anche qui si spererebbe che un Governo di centro-destra fosse almeno impegnato su questo fronte. E invece, nessun impegno, neppure un programma vago.
Solo un accenno al fatto che le liberalizzazioni aiuteranno l’occupazione. Quali liberalizzazioni? Non si sa. E neppure possiamo desumerlo da quanto la maggioranza ha fatto finora, dato che in due anni di liberalizzazioni si è parlato poco e fatto ancora meno. Si va al traino dell’Europa, recependo le Direttive (atto dovuto) con nessuna iniziativa autonoma.
Nella sua recente relazione annuale, il presidente dell’autorità antitrust Tesauro ha indicato in energia, servizi professionali, commercio all’ingrosso, servizi finanziari, trasporti e comunicazioni i settori maggiormente carenti e nei quali la mancata liberalizzazione rallenta lo sviluppo. Si sta facendo molto a riguardo? Purtroppo no – di seguito qualche esempio.
Nel campo dell’energia, il disegno di legge Marzano langue da mesi in Parlamento, e comunque non intaccherà la situazione soprattutto nel settore più chiuso, quello del gas, ove vale quanto prevedeva a suo tempo Franco Tatò: saremo tutti liberi di acquistare gas dall’Eni.
Nelle tlc, resta il quasi-monopolio di Telecom Italia, che mantiene oltre il 90% del fatturato del settore. Non sarebbe opportuno qualche intervento strutturale più incisivo? (1) Nei trasporti prosegue la ristrutturazione delle ex FFSS, ma per ora alla moltiplicazione delle imprese (Trenitalia, RFI, ecc.) corrisponde una maggiore confusione degli utenti, ma non maggiore concorrenza, né un percettibile miglioramento del servizio.
La riforma dei servizi pubblici locali è semplicemente nel caos. L’art.35 della finanziaria dell’anno scorso aveva provato a intervenire, ma in modo così confuso e ambiguo da sortire come unico effetto tangibile la corsa alla protezione delle posizioni esistenti: i Comuni cercano di bloccare il mercato per il più lungo periodo possibile, e nessuno riesce a fermarli. (2)
Per i servizi professionali c’è poi la delusione più cocente, soprattutto di chi credeva alle promesse dell’attuale Governo sulla creazione di condizioni più favorevoli per l’inserimento dei giovani. Le “libere professioni” restano tutto, meno che libere. L’accesso richiede anni di pratica, nei quali i giovani tipicamente non sono retribuiti (se non a livelli di paghetta settimanale del babbo), e la pubblicità resta ingessata in codici di condotta che vietano ai giovani professionisti di offrirsi sul mercato in modo minimamente aggressivo. La concorrenza vera tra professionisti sembra “una vergogna” da evitare invece che il modo naturale di organizzare questi settori.

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Ma se non liberalizza un Governo di centro destra, in chi dobbiamo sperare…?

 

(1) Si rinvia a C. Cambini e T. Valletti “Un Codice non troppo nuovo” in lavoce.info del 17/6/03.

(2) su questa riforma e le sue ambiguità, si veda A. Massarutto, “La riforma dei servizi pubblici locali. Liberalizzazione, privatizzazione o gattopardismo?”, in Mercato, concorrenza, regole fascicolo 1, anno 2002.

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  1. elio canali

    Non liberalizza un governo di centrodestra per il semplice motivo che c’è centrodestra e centrodestra; il nostro italianissimo centrodestra non è il rappresentante della moderna ed evoluta interpretazione del mercato e delle sue pur necessarie regole di controllo.
    Semplicemente è un centrodestra vecchio stile che difende e tutela l’esistente senza un minimo valore di innovazione e di lungimiranza.
    saluti
    elio canali

  2. Mecchini

    Coloro che sono “colpiti” dalle liberalizzazioni si ribellano? Segno che il Decreto ha colpito nel segno ed è quindi valido!
    Sono in tanti quelli delle categorie a protestare? Dovremmo essere molti di più noi a manifestare il nostro appoggio al cambiamento e dimostrare, numeri contro numeri, che il popolo c’è, è vivo e sa quello che vuole!
    Purtroppo invece c’é un senso di impotenza ed una rassegnazione talmente diffusi da ammutolire e rendere inermi i più “tanto non cambierà mai nulla…”.
    Non è così: ciascuno di noi può e deve dire la sua. Nell’era di Internet si può e si deve!

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