Il dibattito post-Ecofin dovrebbe concentrarsi esclusivamente sulle ipotesi di riforma del Patto di Stabilità e non metterne in discussione l’esistenza e la filosofia. È infatti un architrave della costruzione monetaria e alterarne la credibilità significa assumersi la responsabilità di mettere in discussione il futuro stesso della moneta unica. Come dimostrano anche le preoccupazioni espresse dalla Bce.

L’aspetto più preoccupante dei recenti venti di crisi sul Patto di Stabilità (successivi all’ultimo vertice Ecofin) è che al centro del dibattito non sembrano esservi proposte alternative di riforma del Patto, quanto piuttosto una tendenza a considerarlo oramai vicino al pensionamento. Non è superfluo ricordare che il Patto esiste per il semplice motivo che l’euro esiste.
Leggiamo dal Bollettino di novembre della Bce: “Gli andamenti della finanza pubblica e il Patto di Stabilità e crescita si trovano ora in un momento critico in cui la credibilità dei fondamenti istituzionali dell’UEM deve essere salvaguardata. (…) Tale àncora non deve essere messa in discussione”. Vale a dire: senza un qualche sistema di coordinamento (sufficientemente chiaro e semplice) delle politiche fiscali è difficile pensare all’esistenza stessa della moneta unica.

Perché serve il coordinamento fiscale

Perché il coordinamento fiscale è una precondizione per la stabilità monetaria in una unione valutaria? Ci sono almeno due ordini di ragioni.
La prima ragione è che fra economie integrate sul piano degli scambi commerciali esistono interdipendenze. Ogni singolo paese può farsi prendere dalla tentazione di usare troppo la spesa pubblica per apprezzare a proprio favore le ragioni di scambio (il prezzo relativo delle importazioni di un paese rispetto al prezzo dei beni prodotti ed esportati), consumando così di più senza dover produrre proporzionalmente di più. Ma in una unione monetaria le ragioni di scambio non possono più aggiustarsi velocemente attraverso il cambio nominale, e perciò il peso di queste strategie si scarica eccessivamente sul tasso di inflazione.

La seconda ragione che giustifica un certo grado di coordinamento delle politiche fiscali è nel cosiddetto free riding sui tassi di interesse. In sostanza, se un paese anticipa che i costi della propria irresponsabilità fiscale in termini di più alti tassi di interesse saranno sostenuti congiuntamente da tutti i paesi dell’Unione, sarà tentato di spendere di più di quello che avrebbe fatto se avesse mantenuto la propria autorità monetaria indipendente. Ma questo comportamento, quando adottato da ciascuno dei paesi membri dell’Unione, si traduce in più alti tassi di interesse e maggiore inflazione, cioè in una sostanziale incapacità della comune Banca centrale di governare autonomamente la stabilità monetaria.

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Bastano regole semplici

Esistono quindi ottime ragioni per ritenere il coordinamento fiscale un prerequisito fondamentale per l’esistenza e stabilità stessa della moneta unica. La buona notizia che viene dalla teoria economica è però la seguente. Per attuare concretamente tale coordinamento non bisogna pensare a sistemi complicati di regole, difficilmente comprensibili e poco credibili. Quello che conta per la stabilità monetaria e dei prezzi è un impegno esplicito (e soprattutto credibile) da parte di ciascun paese a gestire nel medio-lungo periodo la propria politica fiscale in modo da mantenere il livello di indebitamento pubblico entro certi limiti predefiniti. Molto chiaro, e neanche troppo difficile da mettere in pratica.

Stabilito questo, ne segue che il Patto ha il grande pregio della semplicità (e quindi della facilità di attuazione). Alla luce di quanto suggerito dalla teoria economica, pecca forse di un eccesso di severità. Stabilire semplicemente tetti massimi ai livelli del debito pubblico potrebbe essere un modo di salvaguardarne lo spirito di compatibilità con la stabilità dei prezzi, lasciando allo stesso tempo più flessibilità nella gestione ciclica del disavanzo primario.

Le preoccupazioni di Bce

Il Patto di Stabilità hic et nunc non è quindi l’unico modo di implementare concretamente il coordinamento fiscale. Ma le ragioni del dibattito post-Ecofin dovrebbero concentrarsi esclusivamente sulle ipotesi alternative di riforma e non mettere in discussione l’esistenza e la filosofia stessa del Patto. E le stesse proposte di riforma dovrebbero essere altrettanto chiare, semplici e credibili.

In qualità di responsabile della stabilità aggregata dei prezzi è quindi legittimo che la Banca centrale europea esprima preoccupazione per le prospettive incerte del Patto. Non è un caso che abbia infatti già fatto balenare la possibilità di una stretta sui tassi. Compito della Banca centrale dovrebbe essere quello di coadiuvare maggiormente la Commissione nel trasferire questo semplice ma fondamentale messaggio: il Patto di Stabilità è un architrave della stessa costruzione monetaria. Alterarne la credibilità significa assumersi la responsabilità di mettere in discussione il futuro stesso della moneta unica.

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