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Bentornato falso in bilancio

Il Governo italiano torna sui suoi passi sulla disciplina delle false comunicazioni sociali. La normativa ora in vigore prevede infatti che non sia comunque punibile una sopravvalutazione o una sottovalutazione dell’utile lordo di esercizio di un’impresa se di importo inferiore al 5 per cento. Ma così si introduce un rischio aggiuntivo per i potenziali investitori. Per compensarlo, questi richiedono un rendimento maggiore per i capitali impiegati. E in un’economia aperta, gli investimenti possono anche dirigersi su imprese di altri paesi.

Il 7 maggio la commissione Finanze e attività produttive della Camera ha varato con maggioranza bipartisan il testo del disegno di legge sulla tutela del risparmio. Prevede, fra l’altro, la sostanziale reintroduzione della disciplina sulle false comunicazioni sociali vigente prima del decreto legislativo n. 61 del 2002, che l’aveva modificata in senso meno restrittivo in attuazione della legge delega n. 366 del 2001.
Quali sono le ragioni del mutamento di opinione da parte del Governo e della maggioranza di centro-destra, così come esemplificato dalle dichiarazioni del ministro Giulio Tremonti all’Aspen Institute?
Per capirlo, analizziamo quali possano essere gli effetti di efficienza della normativa introdotta dal decreto legislativo n. 61.

La normativa attuale

Innanzi tutto, pare utile riassumere i punti salienti del decreto legislativo n. 61:
1) è stato introdotto un regime differenziato per società quotate e non quotate in Borsa: la disciplina repressiva sulle false comunicazioni sociali è stata resa più blanda per quelle non quotate sotto due aspetti:
· per le società non quotate, la massima pena detentiva è stata abbassata, rispetto a quanto previsto dalla normativa precedente;
· il reato di false comunicazioni sociali è perseguibile d’ufficio solo per società quotate in Borsa;
2) i termini di prescrizione del reato sono stati accorciati;
3) è stata introdotta una soglia di tolleranza “obbligatoria” per falsità e omissioni che “(…) determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento (…)” (nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile, come modificati dal decreto legislativo 61/2002). Tale soglia vale sia per le società quotate che per quelle non quotate.

Tolleranti per legge

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La nostra riflessione si concentra esattamente su quest’ultimo aspetto: la vigente normativa sulle false comunicazioni sociali prescrive che la punibilità per falsità e omissioni nella redazione del bilancio sia “comunque esclusa” quando tali falsità od omissioni non determinano una variazione “eccessiva” dell’utile lordo di esercizio.
In altre parole, gli amministratori che sopravvalutino o sottovalutino l’utile lordo d’esercizio per un importo minore del 5 per cento sono in ogni caso non punibili per il reato di false comunicazioni sociali.
Il riferimento a un limite dell’1 per cento rispetto al patrimonio netto fornisce un’ulteriore soglia di tolleranza per imprese in perdita o in pareggio.
È vero che sopravvalutazioni e sottovalutazioni del risultato d’esercizio possono dipendere anche da errori non intenzionali. Tuttavia, il fatto che la punibilità sia “comunque esclusa” per variazioni sotto la soglia del 5 per cento impedisce di colpire quelle fraudolente se di “modica” entità.

Effetti sul costo del capitale

Il punto cruciale è che coloro che vogliono investire in una data impresa tipicamente si basano sul bilancio di esercizio per valutare la profittabilità dell’investimento. Il bilancio di esercizio dovrebbe infatti fornire una “rappresentazione veritiera e corretta” dell’andamento dell’impresa.
La soglia di tolleranza obbligatoria rende strutturalmente più “rumoroso” il segnale fornito dal bilancio d’esercizio a proposito dell’andamento dell’impresa. Chi legge il bilancio di un’impresa e non dispone di informazioni aggiuntive, non sa con certezza se questa soglia di tolleranza sia stata sfruttata per sopravvalutare o sottovalutare il risultato d’esercizio.
Definito nella letteratura “estimation risk”, questo fattore è preso in considerazione da chi voglia investire nell’impresa e sia avverso al rischio. Uno dei principi fondamentali della teoria della finanza (e anche del comune buon senso) è che investitori avversi al rischio richiedano un tasso di rendimento che è crescente nel rischio non diversificabile dell’investimento.
Nella letteratura si discute da tempo su quali siano gli effetti positivi sul costo del capitale per le imprese che decidano di fare “voluntary disclosure”, ovvero decidano di fornire informazioni aggiuntive rispetto a quelle inderogabilmente richieste dalla legge o dai regolamenti di Borsa. L’idea è che, controllando per altri fattori, in particolare la qualità dell’impresa, informazioni aggiuntive diminuiscano l’estimation risk e con esso il costo del capitale.
Al contrario, la vigente normativa italiana sul falso in bilancio inserisce d’imperio, tramite la soglia di tolleranza obbligatoria, un estimation risk aggiuntivo.
L’investitore che legga sul bilancio dell’impresa A un risultato d’esercizio di 100, non sa con esattezza se a ciò corrisponda un utile effettivo di 95,24 (nell’ipotesi in cui gli amministratori dell’impresa abbiano sfruttato la soglia a fini di sopravvalutazione), oppure un utile di 105,26 (nell’ipotesi opposta di sottovalutazione).
Questa incertezza sugli utili presenti si traduce pari passu in un’incertezza sugli utili futuri: investitori avversi al rischio richiederanno perciò un tasso di rendimento maggiore sui capitali di rischio e di debito eventualmente impiegati nell’impresa, per compensare il rischio aggiuntivo.

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Questo è un piccolo effetto di equilibrio generale, che può avere conseguenze negative sui tassi di investimento delle imprese italiane, tramite un costo del capitale più elevato.
Inoltre, in un’ottica di economia aperta, investitori stranieri che stanno valutando l’opportunità di investire in Italia potrebbero essere dissuasi proprio dal fatto che i bilanci d’esercizio delle imprese italiane forniscono segnali comparativamente meno precisi sulla loro profittabilità.
Infine, se è vero che uno dei problemi fondamentali della struttura produttiva italiana è l’eccessiva dipendenza delle imprese dal finanziamento bancario, la soglia di non punibilità, impoverendo il contenuto informativo del bilancio d’esercizio, fornisce un ulteriore vantaggio comparato a quegli investitori che possono più facilmente oltrepassare il bilancio d’esercizio e consultare direttamente le scritture contabili dell’impresa da finanziare, ovvero le banche stesse.
La scelta della commissione Finanze di abolire la soglia di tolleranza appare dunque suffragata da ottime ragioni. Auspichiamo che su questo punto il testo di legge approvato dalla commissione non venga stravolto da successivi emendamenti.

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  1. Riccardo Mariani

    Se si esita a punire pesantemente il falso in bilancio, specie per quei bilanci non contestati da nessuno, penso sia perchè:
    1) il bilancio può contenere errori non intenzionali (nell’ articolo di ciò si fa cenno);
    2) il bilancio contiene giudizi soggettivi (previsioni, valutazioni e altri giudizi economici).
    Se vale il punto 2) allora non è corretto vedere il bilancio come una comunicazione oggettiva che si può distorcere nei limiti di una tolleranza fissata per legge. Anzi può darsi il caso che l’ amministratore, per non avere noie, adotti certi criteri di redazione pur sapendo che con essi non gli è possibile dare conto delle prospettive della sua azienda. In questo caso sarebbe proprio una legge senza tolleranza ad introdurre un estimation risk. Solo chi ha una visione ragioneristica, anzichè economica, del bilancio, adotta a cuor leggere le sanzioni penali in questa materia.
    Cordiali saluti.

    • La redazione

      Per quanto concerne l’eventualità di errori non intenzionali, purtroppo il testo vigente degli articoli 2621 e 2622 del codice civile non lascia spazio a interpretazioni: la punibilità è “comunque esclusa” quando le soglie di tolleranza vengono rispettate. In altri termini, variazioni del risultato d’esercizio che dipendano da intenti fraudolenti o da gravi negligenze da parte degli amministratori restano immuni, se sono di modica entità. Il problema è di carattere economico, e riguarda l’asimmetria informativa tra chi redige il bilancio e chi ne fa uso per acquisire informazioni sull’andamento dell’impresa: data la formulazione attuale della norma, chi legge il bilancio di esercizio non sa con esattezza se le soglie di non punibilità coprano errori non intenzionali oppure scelte fraudolente, eventualmente ripetute esercizio dopo esercizio e sistematicamente finalizzate a sopravvalutare o sottovalutare il risultato d’esercizio medesimo.
      Per quanto concerne il secondo punto, siamo assolutamente d’accordo sul fatto che il bilancio d’esercizio si basi quasi sempre su valutazioni soggettive, ad esempio nel caso di costi ad utilità pluriennale. Si tratta di valori “congetturati”, la cui correttezza deve essere valutata in termini relativi, ovvero rispetto alle ipotesi fatte dagli amministratori a proposito dell’andamento futuro dell’azienda. Tale discrezionalità da parte degli amministratori non contrasta assolutamente con il fine della rappresentazione veritiera e corretta, così come enunciato dall’art. 2423 del codice civile. In altri termini, già sotto la normativa previgente l’amministratore poteva legittimamente usare una dose di discrezionalità, ad esempio nella valutazione dei propri costi pluriennali, purchè tali valutazioni fossero coerenti con le ipotesi sull’andamento futuro dell’impresa, e a loro volta tali ipotesi fossero “esternamente valide”, cioè probabilmente vere data l’informazione disponibile al momento della redazione del bilancio stesso (Superti Furga). La nota integrativa e la relazione sulla gestione, così come previste dagli articoli 2427 e 2428 c.c., dovrebbero rendere conto di tali ipotesi di gestione e della loro verosimiglianza. Pertanto non è vero, come invece sostiene il lettore, che una legge senza soglie di tolleranza impedisca tali valutazioni discrezionali.
      Per quanto concerne l’ultimo punto sollevato dal lettore, il nostro contributo, pur non prescindendo dal dato ragioneristico e contabile, si focalizza piuttosto sugli effetti economici della norma.

      Cordiali saluti

      Andrea Frazzini
      Riccardo Puglisi
      Enrico Sette

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