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Il sindacato e la nuova concertazione

In passato ha permesso il risanamento, oggi la concertazione deve servire a perseguire la crescita del paese. L’obiettivo è rimuovere le cause strutturali della perdita di competitività del nostro sistema e porre rimedio alla scarsità degli investimenti Il sistema contrattuale va rimodulato per garantire il salario reale e ripartire l’aumento di ricchezza dovuto alla crescita della produttività. In questo contesto di sviluppo, ruolo e funzione del sindacato possono essere decisivi. E la loro definizione non ha bisogno di alcun provvedimento legislativo. Partirà sin da subito il lavoro delle due commissioni per monitorare le posizioni di Cgil, Cisl e Uil sulla rimodulazione del sistema contrattuale e sulla rappresentanza e rappresentatività.

Non saranno lunghi i tempi per verificare possibili convergenze su questi temi e per definire eventuali posizioni comuni. C’è la realistica consapevolezza delle differenti sensibilità, ma c’è al contempo la volontà di provare a imboccare una strada comune.

Concertazione per lo sviluppo

Il clima politico complessivo, peraltro, sembra essere mutato e la nuova presidenza di Confindustria ha, oggi, le sue ragioni per rilanciare una nuova idea della concertazione, riproponendo dunque il dialogo tra tutte le forze sociali. Per la Uil è come sfondare una porta aperta.

La concertazione è stata la “politica buona” grazie alla quale, negli anni Novanta, il paese ha conseguito il risultato del risanamento e ha riportato sotto controllo le dinamiche inflative, facendo leva su una politica dei redditi e su un sistema contrattuale coerenti all’obiettivo.

Quel modello, oggetto di studio e punto di riferimento anche per altri paesi, è stato un vero gioiello di relazioni sindacali e ha consentito all’Italia di compiere, in quegli anni, un autentico miracolo. Ma ora lo scenario economico è mutato: la nostra inflazione, nel prossimo decennio, si attesterà su livelli europei e se la nostra economia continuasse a non dare segnali di ripresa o, peggio ancora, facesse registrare risultati negativi, il tasso di inflazione resterà sostanzialmente immutato mentre crescerà il tasso di disoccupazione. È senza senso, dunque, la politica fondamentalista della Banca centrale europea che si ostina a mantenere i tassi di interesse a livelli doppi rispetto a quelli americani, strangolando così, una già difficile espansione economica e condannando l’Europa, per questa via, a una crescita decisamente più bassa.

Se questo è il contesto continentale, noi oggi abbiamo ancora bisogno di concertazione ma per conseguire un obiettivo diverso: quello dello sviluppo e della crescita del paese.

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Deve essere chiaro, tuttavia, che una concertazione senza governo è semplicemente un’alleanza tra volenterosi. Ecco perché l’insieme delle questioni che le forze sociali saranno in grado di affrontare e le proposte che potranno essere individuate, occorre poi che siano poste all’attenzione dell’esecutivo, verificandone così l’effettiva disponibilità al dialogo.

Noi vogliamo rimuovere le cause strutturali della perdita di competitività del nostro sistema non limitandoci a una politica deflativa e ponendo subito rimedio alla scarsità degli investimenti. Inoltre, una politica economica che si ponga l’obiettivo della crescita deve basarsi sull’espansione della domanda interna e deve perciò consentire ai cittadini di avere più soldi a disposizione. Bisogna, insomma, avviare una politica di investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione, da un lato, ma occorre anche alimentare i consumi ridistribuendo la ricchezza, dall’altro. E per ridistribuire la ricchezza – obiettivo che non può essere disgiunto né concettualmente né temporalmente da quello della crescita – si deve far ricorso, oltre che a una politica fiscale adeguata, anche a una politica salariale conseguente.

Il sistema contrattuale

In questo quadro, il sistema contrattuale va rimodulato in funzione del nuovo traguardo da raggiungere: garantire il salario reale e ripartire l’aumento di ricchezza che si realizza attraverso la crescita della produttività. Il meccanismo dei due livelli contrattuali va perciò riconfermato, consolidando il contratto nazionale quale strumento il più potente, efficace e sicuro per ottenere che i salari aumentino in misura sostanzialmente identica alla crescita dei prezzi.

Nel nuovo schema che si va delineando e nel contesto economico complessivo a cui si è fatto cenno, è del tutto evidente però che lo strumento dell’inflazione programmata risulta superato. L’invarianza del salario reale, infatti, non può più essere garantita da una decisione politica ma deve basarsi su valutazioni tecniche assunte a livello europeo e, quindi, sulla determinazione dell’inflazione realisticamente prevedibile. Conseguentemente, non ha più alcun senso una verifica biennale intermedia, mentre la scansione temporale tra i due rinnovi contrattuali potrebbe diventare triennale.
La contrattazione di secondo livello, invece, deve consentire la ripartizione della ricchezza lì dove essa viene prodotta, generando così l’aumento dei salari in termini reali non per una sparuta minoranza, come avviene oggi, ma per la stragrande maggioranza dei lavoratori.
Dove non è possibile la contrattazione aziendale occorre dar vita, in alternativa, alla contrattazione territoriale per ridistribuire, nel modo più capillare possibile, la produttività creata dal lavoro.

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La questione della rappresentanza

Questo è il nuovo modello contrattuale possibile, inserito in un contesto che conferma sia la metodologia della concertazione sia la politica dei redditi ma in una logica di sviluppo e non più di risanamento. Un contesto in cui ruolo e funzione del sindacato possono essere decisivi come lo furono negli anni Novanta e che per essere definiti non hanno certo bisogno di alcun provvedimento legislativo.

Tutto il dibattito sulla rappresentanza e sulla rappresentatività che si innesta in questa discussione è inquinato, infatti, dalla presunta necessità di una legge che regolamenti l’attività sindacale. Le leggi sul sindacato e sul suo potere contrattuale sono leggi liberticide che si realizzano solo in paesi dove non c’è democrazia. Nei paesi liberi non ci sono leggi che condizionano il potere contrattuale del sindacato: quella di una rappresentanza regolata per legge sarebbe una scelta antistorica e reazionaria.
Non sono da escludere, invece, regole che misurino, con trasparenza, quanto esso conta e chi rappresenta. Peraltro, già oggi, le organizzazioni sindacali si sottopongono ciclicamente alla valutazione e alla misurazione del proprio consenso nelle forme della iscrizione e del voto per le Rsu. Su questo punto, dunque, c’è sicuramente meno lavoro da svolgere, ma non meno idee ed errati convincimenti da chiarire anche all’interno dello stesso sindacato. Un sindacato che può e deve continuare ad interloquire con le istituzioni per poter indirizzare le decisioni nella direzione degli interessi della gente che si vuole rappresentare. Tutto ciò in coerenza con la stessa politica della concertazione che, proprio ora, sono in molti a voler rivitalizzare.
Altre scelte – magari di stampo “trade-unionista” – appaiono francamente inefficaci, oltre che in contraddizione con il nuovo corso che si va propugnando.

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  1. Marco Campedelli

    Noto con disappunto come ancora una volta
    alcune questioni spinose relative al mercato del
    lavoro vengano quantomeno trascurate dai
    sindacati, come la questione del precariato.

    “Inoltre, una politica economica che si ponga l’obiettivo della crescita deve basarsi sull’espansione della domanda interna e deve perciò consentire ai cittadini di avere più soldi a disposizione. Bisogna, insomma, avviare una politica di investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione, da un lato, ma occorre anche alimentare i consumi ridistribuendo la ricchezza, dall’altro”

    Non credo che la soluzione sia quella di avere
    piu’ soldi a disposizione (anche se ovviamente
    non guastano), non bisogna infatti dimenticare
    che in Italia vi sono ormai quasi 5 milioni di lavoratori che non sanno se il prossimo mese avranno di che pagare l’affitto o le bollette. La prima cosa da redistribuire quindi non sono i soldi ma la fiducia di tanti giovani precari, introducendo nuove forme di welfare e ridefinendo le modalità di utilizzo di tanti contratti precari che sono stati recentemente introdotti. Ma questa e’ una strada, come ha confermato anche il recente accordo del Commercio, che i sindacati non possono o non vogliono percorrere.

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