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Come lavorare di più

Il dibattito sulla necessità di aumentare le ore di lavoro annuo per occupato ha ignorato finora il ruolo della contrattazione collettiva e ha analizzato il problema come se il numero di giornate lavorative potesse essere deciso per legge. Al contrario, l’unico modo per ridurre il gap di ore lavorate pro-capite tra Italia e altri paesi è attraverso i contratti collettivi, offrendo ai lavoratori uno scambio tra giorni di ferie e reddito disponibile più alto grazie a sgravi fiscali sulle ore lavorate in più. Tagliare le festività, invece, non assicura lo stesso risultato.

Le giornate di lavoro pro-capite hanno recentemente conquistato il centro della scena nel dibattito sul mercato del lavoro italiano.
Due sono i motivi di questa enfasi. Da un lato, si è osservato che le ore di lavoro annuo per lavoratore occupato in Italia sono inferiori a quelle degli Stati Uniti: 1.619 contro 1.724.
Dall’altro, si è molto discusso della proposta del presidente del Consiglio di ridurre le festività o almeno razionalizzare la loro posizione all’interno della settimana al fine di aumentare la produzione nazionale.
Sorprendentemente, la discussione ha completamente ignorato il ruolo della contrattazione collettiva, e ha analizzato il problema come se il numero di giornate lavorative potesse essere deciso per legge.

Per legge o per contratto

In Italia, come in ogni paese, il numero di giorni lavorati viene contrattato dalla parti sociali e non viene stabilito per legge.
I contratti nazionali di categoria, in qualunque settore del sistema economico, contengono precisi riferimenti al numero di giorni lavorati e al numero di giorni di ferie retribuite per ciascun livello salariale.
Tutto ciò che la legge può stabilire è soltanto il numero di festività.

Supponiamo che il numero di festività venga effettivamente ridotto. Due sono le domande da porsi. Primo, alla riduzione seguirebbe automaticamente un aumento del numero di giorni lavorati? Secondo, che effetto si avrebbe sul prodotto interno lordo?
Analizziamo la prima. Nel breve periodo, a contratti nazionali invariati, il numero di giorni lavorati probabilmente aumenterebbe, in quanto i contratti vengono rinnovati con scadenze pluriennali.
Nel lungo periodo, tuttavia, la risposta è più incerta, perché dipende in modo cruciale da come i rinnovi contrattuali reagiranno alla riduzione di festività. Potrebbero benissimo, ad esempio, aumentare il numero di ferie e rendere nullo l’impulso iniziale.

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Ma veniamo alla seconda e più importante domanda. Quale effetto si avrebbe sul Pil, nel breve periodo, da una riduzione delle festività? La risposta a questa domanda è molto incerta.
Innanzitutto, occorre ricordare che il Pil (prodotto interno lordo, valore aggiunto) è grosso modo uguale alla somma di profitti e salari dell’economia. È ovvio che se aumenta il numero di giorni lavorati, ma il monte salario percepito dai lavoratori rimane invariato, più ore lavorate non si trasformano direttamente in aumento del valore aggiunto. Tuttavia, a un aumento delle ore lavorate dovrebbe seguire una crescita della produzione, delle vendite, dei profitti, e quindi del valore aggiunto. Ma affinché questa catena di eventi si manifesti, è comunque necessario che la maggiore produzione incontri una domanda sufficiente. E se i salari rimangono costanti, non è ovvio che la domanda aggregata alla fine aumenti davvero.
In sostanza, nel breve periodo il Pil potrebbe anche restare invariato.

Uno scambio tra ferie e reddito

Ma la questione più importante è come far sì che aumenti in Italia il numero di ore lavorate pro-capite.
I ragionamenti precedenti suggeriscono che l’unico modo è attraverso la contrattazione collettiva. Ricordiamo infatti che le ferie sono giorni completamente retribuiti e che un individuo non accetterà mai una riduzione di ferie con un aumento di lavoro a parità di salario. Questa è la base della teoria dell’offerta di lavoro.
Si potrebbe però ottenere un aumento di giornate lavorate proponendo ai lavoratori uno sgravio fiscale in cambio di un aumento del numero di giornate lavorate.
In ciascuno dei più importanti contratti collettivi, il Governo potrebbe offrire una totale de-contribuzione di tutte le ore lavorate in eccesso a un numero prestabilito, diverso per ciascun contratto. I cittadini lavoratori sarebbero messi di fronte a un semplice trade-off: ridurre il numero dei giorni di ferie in cambio di un aumento di reddito disponibile.
E le imprese potrebbero così ridurre il ricorso allo straordinario, un strumento molto utilizzato nonostante l’onerosità del costo.
Che impatto avrebbe questa misura sulle casse dell’erario? Ci sarebbero due effetti.
Da un lato, il gettito diminuirebbe, in quanto si sostituirebbero ferie regolarmente tassate con giorni lavorativi esenti da tassazione. Ma probabilmente aumenterebbero la produzione e il reddito, con effetti positivi finali sul gettito.
Certamente, diminuirebbe il gap di ore lavorate tra Italia e resto del mondo..

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Sommario 30 Marzo 2004

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L’Asia nei forzieri di Bce

  1. pietro gori

    Sarebbe di grande aiuto al lettore conoscere l’evidenza empirica sul numero delle ore lavorate che fa da presupposto all’articolo del professor Garibaldi. Negli Stati Uniti, cosi’ come in Corea del Sud, si lavora per un numero maggiore di ore che in Italia, ma senza ulteriori qualificazioni non e’ detto che questi due esempi rappresentino situazioni desiderabili o auspicabili per il nostro paese. Un raffronto con realta’ socio-culturali ed economiche piu’ omogenee sarebbe probabilmente molto istruttivo. E allora: quanto si lavora in Germania, in Francia, in Svezia e, in generale, nei paesi a noi prossimi, dell’Unione europea?
    Distinti saluti

    • La redazione

      Stiamo lavorando ad una segnalazione con comparazioni internazionali. Presto sul sito. Continui a seguirci

  2. alessandro

    La proposta di aumentare la quantità di lavoro (meno giorni di ferie, oppure più ore di lavoro, a parità di giorni lavorati) poggia su affermazioni recenti come quelle di Fiorella Kostoris Padoa Schioppa (“Sole 24 ore” del 30 marzo scorso) “se nel 2003 avessimo lavorato 38 ore annue di più, avremmo raddoppiato il tasso di crescita del Pil”. E’ un bell’atto di fede: come dire che, se per costruire una casa ci vogliono 3 muratori per un mese, in 6 ci mettono 15 giorni; in 12 circa una settimana, in 60 un giorno, e qualche centinaio di persone insieme, motivate e ben organizzate, l’edificherebbero in pochi minuti.
    E’ un paradosso datato; ma anche le tesi addotte dall’Autrice sono alquanto paradossali.
    “La proposta di aumento delle ore riguarda tutti i lavoratori … e implica un’espansione del loro tenore in termini reali”, sostiene lei. Compresi i dipendenti pubblici? I servizi, il commercio, l’edilizia (“aridaje,,)? E’ sufficiente aumentare le prestazioni orarie di addetti a scuole, sanità, carceri, Stato per ottenere “più Pil”? Oppure c’è qualche ripercussione iniziale sulla spesa corrente, e magari sul deficit, e quindi sui tassi, e allora anche sui prezzi?
    Inoltre, è proprio corretto dire che “c’è un’offerta eccedentaria di popolazione attiva”? C’è disoccupazione; ma è in calo; crescono i nuovi lavori, il part-time, la flessibilità, che son tutte forme di occupazione meno intensiva, garantita e remunerata rispetto ai dipendenti stabili, quelli inseriti con contratti a tempo indeterminato. La proposta che l’aumento di ore lavorate riguardi indiscriminatamente tutti cozza proprio con le esigenze di flessibilità e di moltiplicazione delle forme contrattuali all’origine delle riforme Treu e Biagi. Che, guarda caso, dovrebbero agevolare l’inserimento dei giovani, dei marginali, delle donne, ecc. salvaguardandone le esigenze di vita, di tempo libero da dedicare, magari, alle famiglie.
    E ancora, non si approfondisce mai le condizioni del mercato, della domanda internazionale, della competizione, salvo che esprimere un lieve dubbio sul fatto che “la proposta … comporta un possibile (sic) incremento del saldo delle nostre esportazioni nette”. Si provi a chiedere ad un titolare di una PMI esportatrice, se bastasse questo! Non si dovrebbe, invece, tentare di perequare orari, standard produttivi, di sicurezza, anti-inquinamento, di correttezza commerciale, invece di tentare di cinesizzarci noi (ahimè, battaglia persa in partenza) ?
    Infine, oggi, diminuire, anziché aumentare, l’orario di lavoro non è probabilmente praticabile. Tuttavia, la speranza di godere di più tempo libero è stata un motore formidabile per ottenere vantaggi di produttività, progressi tecnologici, migliori combinazioni di lavoro e capitale. Negarlo significa ignorare la modernità.

  3. Luciano Scarlatti

    Perchè lavorare di più? Perchè lavorare?
    Sono domande “strane” lo so. Ma che vorrei avessero una risposta. Vi è chi auspica una aumento dell’orario lavorativo per aumentare il PIL. Perchè?
    A vantaggio di chi, se ormai è chiaro che il PIL non è strettamente legato col benessere di una nazione. E poi perchè aumentare il lavoro umano quando da ormai molto tempo: 50 70 anni il lavoro viene per la maggior parte fatto dalle macchine. Aumentiamo le macchine allora! E magari riduciamo alle persone lo stress di qualcosa che è dato per scontato ma che scontato non è.

    • La redazione

      Ha ragione nel sostenere che la chiave della crescita risiede nel miglioramento tecnologico, nella crescita della produttività. Bisogna comunque rimuovere le barriere che oggi impediscono a molte donne e giovani di entrare nel mercato del lavoro e gli incentivi ad andare in pensione troppo presto.

  4. Roberto BERA

    Il tema aperto é vastissimo. non ho tempo , ma butto lí alcune provocazioni che spero vengano riprese.
    1) Ma cosa é il lavoro? Se il lavoro é qualsiasi attivitá che risponde ad un bisogno indipendentemente dal fatto che sia legata ad un contratto monetario, e da un beneficio che ricade sulla societá, allora é lavoro il tempo libero con i figli, é lavoro cantare in un coro amatoriale ma serio che “fa cultura” ne piú ne meno di un museo, é lavoro suggerire al comune e sui enti le migliorie possibili, … é lavoro addirittura mettere i vasi sul balcone perché contribuiscono al decoro urbano come le piantine messe dagli addetti del comune- pagati.
    2) Il netto e la tara. Quanto costa raggiungere il posto di lavoro? Mio suocero si compró un appartamento vicino al posto di lavoro. Io avrei davuto cambiare casa decine di volte…. Mia nonna faceva la bidella degli asili nido & scuola materna FIAT. Ora é un dramma familiare fare quadrare gli orari dei figli con quelli dei genitori.
    3) Quanto tempo trascorso in “azienda” é lavoro? Da un mio conto, solo di riunioni convocate ad una certa ora ed iniziate dopo = 1.75 giorni lavorativi nel 2003 (senza contare l’utilitá di tutte le convocazioni) Siccome da un certo livello in poi, purtroppo basso, gli straordinari non sono pagati, esiste una dilatazione dei tempi che difatto aumenta la improduttivitá. E la dilatazione improduttiva dei tempi diminuisce il tempo per il lavoro al punto 1.
    3.1) sarebbe opportuno per tutti i livelli attivare una spece di “banca ore” ed aumentare il lavoro ad obiettivi. Piú flessibilitá di orari per ottimizzare gli spostamenti.
    W il lavoro, Abbasso la sua cattiva organizzazione.

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