Il provvedimento sulla competitività prevede un aumento dell’entità e della durata dei sussidi di disoccupazione, che oggi in Italia sono molto bassi. Quale sarà l’effetto di questo intervento su disoccupazione, livello medio dei salari e disuguaglianza salariale? La riforma, seppur indirizzata nella direzione giusta, non porterà cambiamenti significativi. Un impatto ben maggiore si otterrebbe riformando l’intera materia delle provvidenze finanziarie e normative conseguenti ai licenziamenti, in particolare la cassa integrazione.

Il provvedimento sulla competitività intende aumentare la generosità e la durata dei sussidi di disoccupazione. Nella sua attuale formulazione, il decreto prevede di aumentare l’indennità dal 40 al 50-55 per cento dell’ultimo salario e di allungarne la durata dagli attuali sei mesi a sette mesi (da nove a dieci per gli over 50). Si tratta di un aumento di lieve entità in termini assoluti, limitato anche dal fatto che solo pochi dei lavoratori licenziati beneficiano di questi sussidi in quanto alcuni sono coperti dalla cassa integrazione guadagni e altri ancora non sono coperti per nulla.

Gli effetti del sussidio

L’aumento dei sussidi risponde a obiettivi di equità e assicurazione sociale. Attualmente in Italia i sussidi sono molto bassi in confronto ad altri paesi ed è quindi auspicabile un loro aumento. In linea di principio, tuttavia, vi è il rischio che sussidi troppo generosi costituiscano un disincentivo per chi li riceve alla ricerca effettiva di un nuovo lavoro e quindi contribuiscano ad aumentare la disoccupazione. Esiste una potenziale contraddizione tra l’esigenza di garantire una vita più dignitosa ai disoccupati e quella di incentivarli a trovare una nuova occupazione.
Tra le altre cose, gli effetti sul tasso di disoccupazione sono complicati dal fatto che un sussidio di disoccupazione più generoso può indurre chi non lo riceve a cercare un lavoro (aumenta la disoccupazione) o a emergere dal lavoro nero (diminuisce la disoccupazione) nella speranza di ottenere il sussidio in futuro. Vi è tuttavia un secondo aspetto dei sussidi di disoccupazione che spesso sembra passare in secondo piano, ed è quello che riguarda i salari. I sussidi di disoccupazione hanno un effetto sia sul livello medio dei salari, sia sulla disuguaglianza salariale.
In generale, sussidi più alti inducono un aumento dei salari medi. Ciò avviene attraverso meccanismi diversi, per esempio attraverso un aumento del potere dei sindacati in sede di contrattazione del salario. Qualora i disoccupati godano di sussidi più generosi, il sindacato contratterà salari maggiori preoccupandosi meno delle conseguenze in termini di disoccupazione. Un altro possibile meccanismo agisce invece direttamente all’interno delle imprese. Quando i sussidi di disoccupazione sono maggiori, le imprese hanno bisogno di incentivare i lavoratori con salari più alti, sia per indurre i disoccupati ad accettare un nuovo lavoro, sia per trattenere i lavoratori più produttivi.
I meccanismi che abbiamo citato agiscono diversamente su categorie di lavoratori diversi, per esempio lavoratori più o meno qualificati. In particolare, alti livelli dei sussidi di disoccupazione protratti nel tempo sono associabili a più alti salari per i lavoratori poco qualificati e quindi a una maggiore uguaglianza salariale. Questo avviene perché una maggiore generosità nei sussidi rafforza la posizione contrattuale dei lavoratori poco qualificati nei processi di contrattazione del salario. Gli effetti dei sussidi sulla disoccupazione e sui salari dipendono anche dalla durata di erogazione del sussidio: nei paesi in cui il sussidio alla disoccupazione è erogato per un tempo limitato, l’effetto della generosità del sussidio è molto inferiore rispetto a paesi in cui questo è erogato per un periodo più lungo.

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Cosa accadrà in Italia

L’impatto di questa riforma sul mercato del lavoro si potrà valutare solo tra qualche anno, sulla base di stime costruite tenendo conto dei dettagli della riforma e della particolarità italiana. Allo stato attuale delle cose, possiamo utilizzare recenti stime basate su dati storici che mettono a confronto l’esperienza dei maggiori paesi Ocse.
Nell’ipotesi che i meccanismi descritti operino in Italia in modo simile a quanto avvenuto negli altri paesi Ocse, quelle stime ci permettono di quantificare il probabile effetto dell’aumento dei sussidi e della loro durata previsto dal provvedimento sulla competitività. Tenendo conto dell’uso limitato dell’indennità di disoccupazione, le stime suggeriscono un aumento trascurabile del tasso di disoccupazione di circa lo 0,014 per cento e dei salari medi dello 0,012 per cento. Inoltre, il provvedimento indurrebbe una diminuzione della disuguaglianza salariale molto limitata, compresa tra lo 0 e l’1 per cento. (1) Per dare un’idea delle implicazioni sulla disuguaglianza in termini quantitativi, se il 10 per cento dei lavoratori più ricchi guadagna oggi in Italia circa 2,44 volte tanto ciò che guadagna il 10 per cento più povero, una diminuzione dell’1 per cento della disuguaglianza implica che il 10 per cento più ricco guadagnerà 2,42 volte tanto quanto guadagnerà il 10 per cento più povero. Ciò suggerisce che la riforma dei sussidi proposta dal Governo, seppur indirizzata nella direzione giusta, è ben lontana dall’apportare cambiamenti significativi alla distribuzione dei salari e al mercato del lavoro in generale.
Un effetto ben maggiore si otterrebbe se, invece di piccole riforme graduali dell’indennità di disoccupazione, fosse riformata l’intera materia delle provvidenze finanziarie e normative conseguenti ai licenziamenti, in particolare la cassa integrazione.

(1) Per gli effetti sulla disoccupazione e i salari medi vedi rispettivamente Nickell, Nunziata, Ochel (2005), Economic Journal e Nunziata (2005), Oxford Bullettin of Economics and Statistics, in stampa. Per gli effetti sulla disuguaglianza salariale, misurata come rapporto tra il novantesimo e il decimo percentile della distribuzione dei salari maschili, vedi Koeniger, Leonardi e Nunziata (2004), IZA DP 1291.

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