Dopo la crisi dei primi anni Novanta e la successiva moderata ripresa, quali sono le prospettive future degli investimenti pubblici in Italia? Non sembrano andare verso un vero rilancio. La Finanziaria 2005 ha introdotto la regola del 2 per cento, che sembra possedere un forte contenuto redistributivo tra programmi di spesa: si riducono gli investimenti per consentire la crescita della spesa corrente. Il nuovo Patto di stabilità interno per gli enti locali, poi, sottopone a vincoli anche le spese d’investimento, che in passato ne erano escluse.

La spesa per investimenti pubblici (investimenti delle amministrazioni pubbliche) in Italia mostra un andamento discontinuo nel corso del tempo. (Figura 1) Al trend decrescente, dopo il boom del dopoguerra, si contrappone una fase di crescita, sia pure altalenante, che dura fino alla metà degli anni Ottanta. Inizia poi un periodo di declino che culmina, tra il 1990 e il 1995, con una vera e propria crisi, seguita da una moderata ripresa tuttora in atto.

Il trend di lungo periodo

Quali le ragioni del declino?
Un elemento determinante è senza dubbio la riduzione delle risorse pubbliche destinate agli investimenti, nei primi anni Novanta, causata in buona parte dalle manovre di contenimento del deficit pubblico. Gli effetti delle manovre restrittive di finanza pubblica si manifestano soprattutto nel 1992 e nel 1993, con i provvedimenti volti dapprima a limitare e poi a congelare i pagamenti dello Stato e degli enti locali, con conseguente raffreddamento della capacità d’investimento di tutti gli enti del comparto delle amministrazioni pubbliche. Questo scenario è comune anche agli altri paesi europei (Figura 2), impegnati come l’Italia nel rispetto dei vincoli derivanti dall’entrata nell’Unione monetaria (poi del Patto di stabilità e crescita). Quasi tutti hanno dovuto attuare politiche di riequilibrio dei conti pubblici e non c’è dubbio che gli effetti si siano manifestati anche sulle spese d’investimento, che, per la loro discrezionalità, si prestano maggiormente a essere compresse, al contrario delle spese correnti, caratterizzate da un elevato grado di rigidità.

Tra declino e ripresa

In Italia, nel 1994, la situazione si aggrava per gli effetti del cosiddetto fenomeno di Tangentopoli, legato alle vicende giudiziarie dell’inizio degli anni Novanta in materia di appalti pubblici, che, per un certo tempo, bloccano, direttamente o indirettamente, parte dell’attività di investimento degli enti dell’amministrazione pubblica. A partire dal 1995, la fase di declino degli investimenti pubblici sembra superata, sia per la riattivazione dei programmi d’investimento sia per il consolidarsi delle nuove procedure finalizzate all’appalto delle opere pubbliche e alla stipulazione ed esecuzione dei contratti pubblici. La quota degli investimenti delle amministrazioni pubbliche sul Pil riprende a crescere e i primi anni 2000 mostrano che l’Italia si riporta al di sopra della media europea. In questi anni crescono anche gli investimenti delle imprese pubbliche, con uno sforzo nella direzione del potenziamento delle infrastrutture. Se si tiene conto anche degli investimenti di questi enti, si arriva nel 2003 a circa il 5,5 per cento del Pil. Il declino e la ripresa degli investimenti pubblici hanno riguardato tutti gli enti delle amministrazioni pubbliche, fermo restando il ruolo degli enti locali (i comuni e le province, ma soprattutto i primi), che da sempre rappresentano la forza trainante degli investimenti pubblici, con una quota intorno al 75 per cento. (Tabella 1)

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Le prospettive

Che cosa si può dire sull’evoluzione futura degli investimenti pubblici? Qualche indicazione si può trarre dalle disposizioni contenute nella Legge finanziaria per il 2005.
La prima considerazione riguarda l’applicazione della cosiddetta regola del 2 per cento, come tetto alla crescita della spesa pubblica complessiva. Poiché dal limite del 2 per cento sono escluse le più rilevanti categorie di spesa pubblica corrente (interessi sui titoli di Stato, prestazioni sociali in denaro, sanità; sono escluse di fatto anche le spese per il personale, in quanto previste tendenzialmente crescere esattamente del 2 per cento), che crescono a tassi superiori, il rispetto del vincolo sulla spesa complessiva implica che se ne riducano altre. Infatti, sul bilancio programmatico dello Stato per il 2005 è prevista una riduzione delle spese in conto capitale (trasferimenti e investimenti diretti) del 7,6 per cento, mentre la spesa corrente al netto degli interessi è programmata crescere al 4,1 per cento. Se si considerano invece i conti programmati per le amministrazioni pubbliche, le spese in conto capitale restano praticamente allo stesso livello del 2004, mentre le spese correnti al netto degli interessi crescono del 2,5 per cento. L’applicazione della regola del 2 per cento sembra quindi possedere un forte contenuto redistributivo tra programmi di spesa: si riducono gli investimenti per consentire la crescita della spesa corrente. La seconda considerazione concerne la nuova versione del Patto di stabilità interno per gli enti locali.
Il vincolo sugli enti locali non riguarda come in passato il saldo di bilancio (opportunamente corretto), ma la spesa complessiva (al netto di alcune componenti, non direttamente sotto il controllo degli enti locali o disciplinate a parte, quali spese per il personale, per la sanità, acquisizione di partecipazione azionarie, trasferimenti ad altri enti delle amministrazioni pubbliche). Per i comuni (con popolazione superiore a 3mila abitanti) le province e le comunità montane (con popolazione superiore a 10mila abitanti), il limite alla crescita della spesa nel 2005 è fissato al 10 per cento della spesa annua mediamente sostenuta nel triennio 2001-2003; tale limite è elevato all’11,5 per cento per gli enti che hanno sostenuto una spesa corrente pro capite inferiore alla media degli enti appartenenti alla stessa classe demografica. Il nuovo Patto sottopone dunque a vincoli anche le spese d’investimento, che invece in passato erano escluse, proprio al fine di evitare effetti disincentivanti. Il limite non è categorico, essendo data agli enti locali la facoltà di superarlo, “per spese di investimento e nei limiti dei proventi derivanti da alienazione di beni immobili, mobili, nonché delle erogazioni a titolo gratuito e liberalità”. D’altra parte, gli enti locali che non dovessero rispettare il Patto, nel 2006 sarebbero soggetti a limiti sugli acquisti di beni e servizi, non potrebbero effettuare assunzioni di personale a qualsiasi titolo e non potrebbero indebitarsi per finanziare le spese d’investimento.
In conclusione, non sembra che si stia andando nella direzione di un vero rilancio degli investimenti, soprattutto se si tiene conto delle previsioni non proprio ottimistiche per i conti pubblici nel 2005.

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Figura 1 – Investimenti pubblici in % del Pil
(aggregato delle amministrazioni pubbliche)


Fonte: Banca d’Italia, Supplemento al Bollettino statistico,
Statistiche di finanza pubblica nell’Unione europea

 

Figura 2 – Investimenti pubblici in % del Pil
(aggregato delle amministrazioni pubbliche)

Fonte: Banca d’Italia, Supplemento al Bollettino Statistico,
Statistiche di finanza pubblica nell’Unione Europea

 

Tabella 1- Spesa pubblica per investimenti 1990-2003 (% Pil)

 

1990

1995

2000

2003

Amministrazioni Centrali

0,82

0,52

0,59

0,69

Stato

0,38

0,33

0,42

0,55

ANAS

0,31

0,16

0,14

0,11

Altri Enti A.C.

0,13

0,04

0,03

0,03

Amministrazioni Locali

2,23

1,54

1,76

1,89

Regioni

0,37

0,24

0,26

0,39

Province e Comuni

1,36

1,01

1,16

1,33

Az. San. e Osped. Loc.

0,18

0,11

0,18

0,14

Altri Enti A.L.

0,32

0,18

0,15

0,16

Enti Previdenziali

0,21

0,11

0,03

– 0,06

Dismissioni

0,21

Totale PA

3,26

2,17

2,38

2,73

Fonte: Elaborazioni su Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese,
Ministero dell’Economia e delle Finanze, vari anni

 

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