Alti prezzi finali, vulnerabilità delle reti, insoddisfacente qualità del servizio sono i sintomi del malessere del sistema energetico italiano. La riforma avviata nei primi anni Novanta è ancora incompiuta. Occorre quindi mitigare il potere di mercato degli ex-monopolisti per favorire l’entrata di nuovi operatori. E rilanciare le funzioni di regolazione indipendente. Il controllo proprietario di entrambi gli operatori di rete andrebbe poi attribuito alla Cassa depositi e prestiti. Che per evitare conflitti di interesse dovrebbe cedere le sue quote di Enel ed Eni.

Il sistema energetico italiano è cresciuto attorno a due “campioni nazionali” di proprietà pubblica che hanno sostenuto lo sviluppo del paese con forniture di combustibili, di gas e di elettricità in condizioni di elevata sicurezza degli approvvigionamenti e di accettabile qualità del servizio.

Cosa è stato fatto

La riforma del sistema energetico italiano, avviata nei primi anni Novanta, è ancora incompiuta. In entrambi i settori, ma in particolare per l’elettricità consumata dalle Pmi, i prezzi rimangono alti nel confronto internazionale, esito di squilibri strutturali e di mercati fortemente concentrati, ancora poco integrati con quelli europei. (1)
La Borsa elettrica stenta a produrre l’attesa riduzione dei prezzi all’ingrosso, condizionati dalle rigidità del sistema, in particolare dalle strozzature della rete e dalla localizzazione degli impianti, e dai comportamenti strategici dell’operatore dominante. Anche nel gas, l’ex-monopolista continua a esercitare un rilevante potere di mercato mediante il controllo dei gasdotti ad alta pressione e dei contratti di importazione, come confermano le vicende degli accordi fra Eni e Gazprom.
Il modello italiano è quasi unico sotto il profilo degli assetti di regolazione: si è passati dal monopolio pubblico senza regolazione al semi-monopolio pubblico con regolazione. La cessione di azioni precede l’apertura dei mercati e crea un conflitto tra l’interesse privato dei nuovi azionisti e quello collettivo alla liberalizzazione del settore. Peraltro, non è ancora stata definita l’agenda della completa privatizzazione dei due gruppi dominanti che assicurano, con i loro rilevanti profitti, preziose entrate per il bilancio pubblico.
apertura di mercato è stata significativa sul lato della domanda sia per il settore elettrico, sia per il gas, dove da qualche tempo tutti gli utenti hanno la (teorica) facoltà di mutare fornitore, anche se il cambiamento di provider rimane un fenomeno assolutamente marginale. (2)
Ma altre scelte sono contraddittorie, come il ridimensionamento dei poteri dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, i ritardi nel completamento dei suoi vertici
, il varo di norme, sia nazionali, sia locali, in contrasto con il quadro complessivo della riforma. Le infrastrutture di rete mostrano preoccupanti segni di vulnerabilità e di degrado: basti pensare ai black out elettrici del 2003, alle tensioni sulla domanda di gas nella fase di clima più rigido dello scorso inverno e ai livelli di qualità del servizio elettrico certamente migliorati grazie ai meccanismi di premio e di sanzione attuati dall’Aeeg, ma ancora insoddisfacenti nella parte più debole del paese. (3)
Il rischio è che, se non si percepiscono i benefici della riforma, venga meno il sostegno per il suo compimento.

Il tempo delle scelte

Alti prezzi finali, vulnerabilità delle reti, insoddisfacente qualità del servizio sono i sintomi del malessere del sistema energetico italiano. Come in altri mercati, formulare la diagnosi implica verificare il funzionamento del mercato e delle regole; per l’energia occorre guardare anche alle infrastrutture e al loro governo.
Il mercato. Occorre mitigare il potere di mercato degli ex-monopolisti per favorire l’entrata di nuovi operatori. Nel caso del gas si tratta di indurre l’Eni a cedere parte dei contratti d’importazione e favorire la nascita di qualche terminale indipendente di rigassificazione di Gnl, utile a diversificare la provenienza delle importazioni, a rafforzare sicurezza e flessibilità del sistema e a stimolare la concorrenza con la creazione di un limitato eccesso di offerta.
Per l’elettricità è necessario modificare il mix degli impianti e la loro localizzazione territoriale. Un’ulteriore divestiture orizzontale della generazione non sembra realisticamente perseguibile, si potrebbero quindi sperimentare i cosiddetti Virtual Power Plant , proposti dall’Autorità. (4) Del resto, senza qualche intervento sul versante dell’offerta volto a ridurne il grado di concentrazione, sarebbe velleitario se non controproducente anticipare al 2006 il momento in cui tutti gli utenti domestici avranno la possibilità di scegliersi il fornitore, come proposto dal recente Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione. L’alternativa anti-concorrenziale è la reintegrazione verticale, sulla falsariga del tentativo in corso di incorporare Endesa in Gas Natural, che ripropone in terra iberica quanto attuato in Germania nel 2003 con la fusione fra Ruhrgas ed E.On.
Le regole. Occorre scegliere tra il rilancio delle funzioni di regolazione indipendente, magari nel contesto di un generale ripensamento del sistema delle Authority settoriali oppure continuare a lasciare spazio all’amministrazione, con inevitabili ripercussioni sugli investimenti privati, e quindi sulla competitività e la crescita. (5)
Nell’immediato è indispensabile completare il collegio dell’Aeeg. Nel medio periodo, va sciolto il nodo della proprietà di Eni ed Enel per evitare conflitti d’interesse tra Stato regolatore e Stato imprenditore.

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Tra pubblico e privato

Le reti e il loro governo. È un nodo cruciale per ambedue i settori. La persistente concentrazione di potere di mercato in capo ai due gruppi dominanti suggerisce la necessità di una riattribuzione del controllo delle reti che assicuri condizioni di terzietà e sappia al contempo favorirne lo sviluppo.
Una soluzione che facesse perno sulla proprietà privata avrebbe il vantaggio di assicurare maggiore attenzione ai profili di efficienza. Tuttavia, la dominanza dei maggiori operatori nelle fasi a monte e a valle dei due settori rende impraticabile la versione “canonica” di proprietà dei distributori, pur con correttivi sull’esercizio dei diritti di voto per sterilizzare l’effetto delle diverse dimensioni aziendali. Tra le “soluzioni private” – rare nel panorama europeo – resterebbe solo quella basata su un azionariato diffuso, un requisito assai poco frequente in Italia.
In linea teorica, la proprietà pubblica potrebbe garantire maggiori livelli di sicurezza e di sviluppo del sistema energetico: un obiettivo da non sottovalutare, visto il ruolo cruciale del settore, anche se sarebbero forse minori gli incentivi all’efficienza interna. Una soluzione interamente “pubblica” richiederebbe tuttavia il non agevole reperimento di risorse per il riacquisto del flottante di Terna e di Srg.
La soluzione preferibile nelle attuali condizioni di mercato potrebbe essere una “terza via”: l’attribuzione del controllo proprietario di entrambi gli operatori di rete alla Cassa depositi e prestiti, che però dovrebbe cedere le sue quote nel capitale di Enel ed Eni per evitare conflitti di interesse e tentazioni di comportamenti strategici, come recentemente messo in luce dall’Antitrust. Il capitale restante potrebbe essere ripartito per quote uguali tra i distributori, introducendo vincoli al possesso azionario che ne assicurino una sufficiente e permanente diffusione. Non si ipotizza qui una nuova Iri, e neppure fantasiose agglomerazioni fra i due operatori. La Cdp sarebbe soltanto proprietaria: l’investimento avrebbe natura finanziaria, mentre la gestione industriale spetterebbe alle società operative.
Vi è infine un nesso evidente fra efficacia della regolazione e assetto societario dell’operatore di rete. Era infatti molto complesso sottoporre a regolazione incentivante il “vecchio” Grtn, un soggetto privo di immobilizzazioni tecniche cui applicare meccanismi di premio e sanzione. Finalmente, compiuta la riunificazione fra gestore e proprietario della rete elettrica, occorre rendere neutrale la “nuova” Terna, così come l’operatore di rete del gas, già (fortunatamente) unificato.
La definizione dei programmi in vista delle elezioni del 2006 deve essere l’occasione per scegliere se nella politica energetica si intende arrivare all’erosione delle rendite o al loro consolidamento.

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* Rispettivamente, ministero dell’Economia e delle Finanze (Dps, Uval e Nars) e Banca d’Italia (Cna, Div. Analisi e studi sul sistema). Le opinioni espresse in questa nota sono strettamente personali e non coinvolgono in alcun modo gli Istituti di appartenenza.

(1) Dati sintetici di fonte Eurostat segnalano, per l’elettricità, divari a sfavore dell’Italia rispetto alla media dell’Unione a 15 dell’ordine del 25 per cento per le famiglie e del 35 per le imprese. Per le forniture di gas alle famiglie la distanza sale al 35-40 per cento, a seconda che si escludano o si includano le imposte di consumo, particolarmente elevate in Italia. I prezzi di fornitura alle imprese appaiono invece sostanzialmente allineati a quelli europei. La stessa Banca centrale europea ha sottolineato gli effetti sfavorevoli di elevati prezzi energetici italiani sulla competitività del sistema.

(2) La Commissione europea nel suo rapporto annuale sullo stato delle liberalizzazioni energetiche circoscrive ai soli grandi consumatori industriali il fenomeno di cambiamento di fornitore, indicando al 2003 una quota del 15 per cento, in linea con quella della Francia ma inferiore a quella di Germania, Olanda e Regno Unito. Ampie panoramiche sullo stato delle liberalizzazioni nel gas naturale (2004) e nell’elettricità (2005) sono contenute nelle indagini conoscitive congiunte fra Agcm e Aeeg, disponibili in rete.

(3) I dati di continuità del servizio elettrico rilevati dall’Aeeg per il 2004 segnalano un numero complessivo d’interruzioni per utente in bassa tensione circa doppio nel Mezzogiorno rispetto al Nord (3,4 contro 1,8), nonostante i forti miglioramenti e la stabile convergenza fra le diverse aree del paese in atto dal 1998. Una situazione più omogenea caratterizza invece la durata media dei distacchi (97 contro 88 minuti persi per utente).

(4) Si veda la delibera dell’Aeeg n. 212/05. Si tratta in sostanza di porre all’asta una quota della capacità di generazione dei due operatori principali (Enel ed Endesa), cedendo a terzi la sola gestione operativa degli impianti, non la loro titolarità patrimoniale. Soluzioni di questo tipo, utili a mitigare il potere di mercato degli incumbents, sono state sperimentate in Francia e Olanda.

(5) Una recente indagine dell’Ocse aggiorna al 2003 un’analisi condotta per il 1998 sugli ostacoli potenzialmente intrusivi per la concorrenza nei mercati dei beni e dei servizi riconducibili a un eccesso di regolamentazione. L’indagine – che si fonda su un ampio insieme di indicatori misurabili, non su opinabili business survey – documenta il perdurante ritardo dell’Italia rispetto ai principali competitor industriali. P. Conway, V. Janod e G. Nicoletti, Product Market Regulation in OECD Countries: 1998 to 2003, ECO/WKP(2005) 6, aprile 2005.


 

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