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L’imposta di successione per un fondo-giovani

Nel 2001 è stata abolita in Italia l’imposta di successione. Portava nelle casse dello Stato circa un miliardo di euro all’anno. Esistono buone ragioni per reintrodurla, vincolandone i proventi all’accrescimento delle opportunità di autodeterminazione dei giovani italiani. Si potrebbe, ad esempio, introdurre un fondo di cittadinanza sul modello del Child Trust Fund britannico. Si tratterebbe di un diritto individuale, che prescinde dalle condizioni economiche della famiglia. Dunque, renderebbe i ragazzi più indipendenti e, forse, più responsabili

Nel 2001 è stata abolita in Italia l’imposta di successione. Portava nelle casse dello Stato circa un miliardo di euro all’anno. Esistono alcune buone ragioni per reintrodurla, vincolandone i proventi all’accrescimento delle opportunità di autodeterminazione dei giovani italiani. Si potrebbe, ad esempio, introdurre un fondo di cittadinanza sul modello del Child Trust Fund britannico.

Il Child Trust Fund

Il Child Trust Fund è stato introdotto in Gran Bretagna nel 2005. Si tratta di un programma per il quale ogni neonato (non i genitori), indipendentemente dal reddito familiare, riceve una dotazione in denaro dallo Stato: oggi sono 250 sterline alla nascita e un ulteriore versamento a sette anni. I bambini nati in famiglie povere ricevono 500 sterline. La somma viene erogata in forma di voucher ai genitori che possono investirla scegliendo tra una rosa di opzioni. Non possono però usarla: rimane di proprietà del bambino che potrà disporne, senza restrizioni, solo una volta compiuta la maggiore età. I genitori possono tuttavia contribuire volontariamente al fondo, fino a un massimo di 1.200 sterline l’anno, senza alcuna tassazione.
L’obiettivo del programma è assicurare che i cittadini raggiungano l’età adulta con un minimo di ricchezza finanziaria che possa aiutarli a migliorare le proprie possibilità di avere una vita soddisfacente. Il fondo può essere usato, ad esempio, per facilitare l’accesso a studi universitari o di specializzazione. Può contribuire all’avvio di una attività propria, all’acquisto di una casa e così via. Certo, le somme oggi distribuite dal Child Trust Fund sono modeste. È tuttavia lecito guardare a questo programma come all’embrione di un progetto più ambizioso che potrebbe portare a un ripensamento complessivo del ruolo dello Stato nella sfera del welfare e delle pari opportunità.

Perché il fondo

L’idea di dotare ogni cittadino di un capitale iniziale può essere giustificata con numerose considerazioni di natura sia filosofica che economica. È anche molto antica e viene fatta risalire fino a Thomas Paine, uno dei founding fathers degli Stati Uniti. Più di recente, è stata sostenuta da economisti come Anthony Atkinson e Julian Le Grand o da giuristi come Bruce Ackerman e Anne Alstott. Questi ultimi propongono che il capitale venga direttamente distribuito ai diciottenni di oggi, cosa che avrebbe il vantaggio di rendere immediati i benefici del fondo, senza dover attendere una ventina d’anni prima che si dispieghino i suoi effetti. La somma da loro proposta è di 80mila dollari a persona, da finanziarsi con una imposta patrimoniale del 2 per cento all’anno. (1)
Le disuguaglianze alla nascita non corrispondono né a una logica egualitaria né a una meritocratica. Chi, ad esempio, riceve in eredità una vasta dotazione di capitale, con il benessere e il potere che questo comporta, non lo deve né ai suoi bisogni, né al suo impegno, né alle sue capacità. Da qui l’idea di riequilibrare, almeno in parte, i punti di partenza e di offrire a tutti un minimo di ricchezza finanziaria.
Esistono, a supporto di questo progetto, anche valide giustificazioni di natura economica. Contrariamente a quanto succede per molte voci di spesa sociale, per le quali si configura un trade off fra le ragioni di equità e quelle di una efficiente allocazione delle risorse, una redistribuzione delle opportunità alla nascita può comportare miglioramenti nel funzionamento dei meccanismi di mercato. Gli incentivi all’acquisizione di capitale umano, ad esempio, possono dipendere dalle connessioni familiari quando si accede al mercato del lavoro. Creare opportunità significa dunque creare incentivi e pertanto un sistema economico più efficiente. Per dirla con le parole del filosofo John Rawls, il punto non è tanto o solo “redistributing income to those with less at the end of each period, so to speak, but rather (…) ensuring the widespread ownership of productive assets and human capital (…) at the beginning of each period”. (2)
Una dotazione iniziale può inoltre contribuire al superamento delle imperfezioni dei mercati del credito, che colpiscono soprattutto i giovani e che non consentono la realizzazione di molti investimenti con valore atteso positivo. Numerosi studi tendono a dimostrare, per esempio, che coloro che iniziano la vita adulta con una dotazione di capitale sono molto più propensi a mettersi in proprio e a creare un’impresa.
Affinché il meccanismo funzioni occorre che i giovani siano messi in condizione di fare scelte appropriate attraverso una adeguata formazione. Questa possibilità è stata esplicitamente prevista dal legislatore britannico che offrirà corsi di financial education legati al Child Trust Fund. Inoltre, disporre di un capitale personale fin dalla tenera età può aumentare il senso di responsabilità individuale. Infine, diversamente dalla soluzione adottata in Gran Bretagna, si possono imporre restrizioni all’uso del fondo, in maniera che possa essere destinato solo a investimenti e non anche a consumi.
Si può obiettare che le tasse necessarie a finanziare il fondo di cittadinanza introducono disincentivi al lavoro e al risparmio. Se da un lato questo può essere vero, dall’altro occorre chiedersi se i vantaggi non possano risultare più che sufficienti a compensare tali distorsioni. La possibilità di fare gli investimenti giusti a diciotto anni (in capitale umano o fisico) può avere notevoli conseguenze sulle opportunità che successivamente si offrono a un individuo. Entro certi limiti, dunque, creare maggiori opportunità all’inizio della vita adulta di ciascun cittadino può portare a maggiore crescita economica, a successive riduzioni di spesa assistenziale e a minori tensioni sociali.

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Per un fondo di cittadinanza in Italia

È possibile introdurre un fondo di cittadinanza in Italia a dispetto delle gravi condizioni in cui versano le nostre finanze pubbliche? Trattandosi di un meccanismo di redistribuzione delle opportunità, il metodo più appropriato per finanziarlo appare quello di tassare redditi che non derivino da sforzi e capacità individuali. Esistono dunque, a parità di distorsioni introdotte nel sistema, buoni motivi per tassare le eredità, soprattutto quando sono di entità ingente.
Una controindicazione è che tale imposta potrebbe ridurre gli incentivi all’accumulazione di capitale. L’evidenza empirica al riguardo è molto limitata e tutt’altro che univoca. (3)
Occorre in ogni caso chiedersi se le distorsioni siano maggiori o minori di quelle introdotte da altre imposte, quali ad esempio quelle sul reddito o sui consumi. Appare inoltre assai probabile che, una volta stabilito per legge il nesso fra imposta e spesa (il gettito verrebbe immediatamente versato nei fondi di proprietà dei bambini, e dunque non si configurerebbe nessun problema di commitment da parte dello Stato), una vasta maggioranza degli italiani risulterebbe avvantaggiata dal programma.
Il fondo di cittadinanza potrebbe essere implementato a costo zero per lo Stato. In Italia nascono in media mezzo milione di bambini all’anno. Ciascun bambino potrebbe ricevere una dotazione di circa duemila euro, semplicemente ristabilendo l’imposta di successione nella sua ultima incarnazione, ossia esentando i patrimoni inferiori a 180.700 euro: assicurava infatti un gettito di circa un miliardo di euro l’anno. Assumendo un rendimento annuo del 5 per cento, a diciotto anni il neo-cittadino riceverebbe una dotazione di circa 4.800 euro. Se inoltre un genitore versa sul fondo la cifra di dieci euro al mese, l’ammontare al diciottesimo compleanno sarà di quasi 8.500 euro.

Il distacco dalla famiglia

Si tratta di somme che difficilmente possono imprimere svolte fondamentali nell’esistenza di un giovane, purtuttavia significano qualcosa per molti italiani. Se ben spese, possono fare qualche differenza all’inizio della vita adulta, se non altro facilitando la delicata fase di inserimento nel mercato del lavoro. “Limare” patrimoni ingenti nella fase di trasmissione ereditaria per allentare i credit constraints che pesano su molti ragazzi appare operazione i cui benefici potrebbero facilmente superare i costi.
Occorre inoltre non trascurare un altro elemento importante: il fondo di cittadinanza, a differenza di tutti gli altri meccanismi esistenti, non si configura come un sostegno alla famiglia bensì come un diritto individuale, che prescinde dalle condizioni economiche del nucleo di appartenenza: si tratterebbe, dunque, anche di un passo verso la riduzione del noto “mammismo” dei giovani italiani. Dare il beneficio direttamente al giovane, anziché ai suoi genitori, significa renderlo più indipendente e, in qualche modo, più responsabile. Nel nostro paese, a fronte di un mercato del credito relativamente arretrato per un paese avanzato, corrisponde un sistema di supporto familiare che non facilita il distacco dei giovani dai nuclei di appartenenza. Le conseguenze sul funzionamento del mercato del lavoro e sullo spirito di iniziativa sono sotto gli occhi di tutti. Ogni misura volta a togliere ai genitori per dare ai figli appare, anche da questo punto di vista, desiderabile.

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(1) Bruce Ackerman and Anne Alstott (1999): The Stakeholding Society. New Haven: Yale University Press.
(2) “(…) redistribuire il reddito a coloro che hanno meno alla fine di un dato periodo di tempo, ma piuttosto (…) assicurare una diffusa distribuzione delle attività produttive e del capitale umano (…) all’inizio di ogni periodo”. John Rawls (1999 [1971]), A Theory of Justice. Harvard University Press.
(3) Si veda, ad esempio, Rethinking the Estate and Gift Tax: Overview di William Gale e Joel Slemrod, Nber Working Paper n. 8205 (2001).

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15 commenti

  1. massimo consolini

    A mio parere il fondo giovani potrebbe, nel medio periodo, contribuire ad aumentare la propensione dei giovani a cercare un lavoro anche fuori dal proprio luogo di origine fornendo un piccolo capitale utile ad affrontare le spese di prima installazione. Un problema spesso irrisolvibile o affrontato a costo di grandi sacrifici.

    • La redazione

      Chiunque abbia un minimo di familiarita’ con giovani alle prime esperienze lavorative sa che Lei ha perfettamente ragione. I credit constraints non favoriscono la mobilita’ e possono essere un ostacolo ad un buon funzionamento del mercato del lavoro.

  2. Ugo Celauro

    Se si seguisse l’unico criterio razionalmente possibile e costituzionalmente ammesso di distribuire la spesa politica, qualunque sia la sua motivazione ed entità, in base alla ricchezza reale (redditi e rendite al netto degli oneri di produzione+patrimonio mobile ed immobile) statisticamente rilevato alla fine di ogni anno, si capirebbe meglio la sconsideratezza di una imposta sulle successioni, che non rappresentano per il paese un incremento di ricchezza, ma solo passaggio di titolarità, a meno di considerazioni morali che non sono ammissibili se si pagassero le imposte in misura corretta.
    Applicando il medesimo rigore ad altre operazioni imponibili: nelle compravendite risalterebbe subito la incongruenza dell’Iva, nella imposizione sul reddito da lavoro la finta feroce tosatura e nelle rendite finanziarie la fantasiosa regolamentazione, sugli immobili la inadeguatezza dell’Ici, nei monopoli l’arbitrarietà incontrollabile, nelle accise e nelle lotterie la ereditarietà medievale.
    Nelle coperture della spesa non si deve MAI procedere alla ricerca di chi deve pagare, perché il criterio di distribuzione deve esere unico ed immutabile, se si tratta di fare fronte allo costruzione e mantenimento dello zoccolo comune del funzionamento dello Stato, altrimenti bisogna parlare di tasse e correlarle al ricevimento personale di servizi pubblici.
    In definitiva, bisognerebbe puntare rapidamente alla eliminazione di tutte le imposte come Ici, Ire, Iva, Monopoli, Accise, Lotterie e dare significato al fatto che siamo ormai nel 3° millennio con la istituzione di un’imposta unica annuale sulla capacità contributiva, alias ricchezza reale, che renderebbe più semplice anche le operazioni di conguaglio per avanzo o disavanzo tra previsione e consuntivo di spesa.

    • La redazione

      Le vostre osservazioni sono interessanti e meriterebbero un discorso a parte ma sono, francamente, anche un po’ fuori tema. Questa e’ una proposta per le opportunita’ dei giovani italiani, non per una riforma radicale del sistema di prelievo. Peraltro l’earmarking (ossia il legame fra specifiche imposte e specifiche spese) puo’ contribuire molto a fare chiarezza per i cittadini circa l’uso che viene fatto dei soldi pagati. Anziche’ finire nel calderone generale, il gettito di specifiche imposte viene dedicato a delle cause ben chiare. Se poi esiste anche un legame ideale fra la tassa e l’utilizzo del gettito (tipo: tassa sulla benzina – spesa per l’ambiente) credo che sia piu’ facile per i cittadini vedere il senso di quello che succede. Il problema in questo caso non e’ economico: e’ che i governanti non sono necessariamente pianificatori benevolenti.

  3. Corrado Matcovich

    La proposta del fondo-giovani è interessante, soprattutto riuscendo a vincolarne la destinazione verso degli investimenti. Avrei però una domanda relativa all’ipotesi di finanziamento con la reintroduzione dell’imposta di successione. I suoi detrattori la indicavano come un’imposta la cui esazione costa quanto il suo gettito. Era vero? Il miliardo di euro da Lei indicato come valutazione del gettito è al lordo o al netto dei costi di esazione?

    • La redazione

      Una cosa sono le entrate (gettito) derivanti dalle imposte, e
      un’altra la spesa per far funzionare la pubblica amministrazione, che raccoglie le imposte e fa tante altre cose. Si tratta di due voci separate. E’ dunque difficile stimare quale sia il costo di amministrare una singola imposta. Nello specifico, non mi risulta che amministrare l’imposta di successione fosse operazione piu’ macchinosa che amministrare altre imposte. Il problema era, piuttosto, l’evasione. Ma questo e’ ovviamente un altro discorso.

  4. Andrea Garnero

    La proposta di questo articolo è molto importante e da valorizzare al massimo.
    Un’unica domanda: perchè la somma iniziale dovrebbe essere uguale per tutti e non basata sul reddito? Dopotutto genitori abbienti possono finanziare senza problemi studi e sviluppo di capitale umano e fisico anche senza i duemila euro (per alcuni irrisori) dello Stato. Non sarebbe un intervento più equo e solidale se differenziato per reddito? E non sarebbe più facile anche da fare accettare alla classe politica e alla gente?
    Grazie se mi vorrà rispondere su questo punto.

    • La redazione

      Il Suo dubbio e’ piu’ che legittimo. Credo tuttavia che sia importante, in un progetto che si propone di uguagliare i punti di partenza, dare preminenza agli individui sulle famiglie. Se il legame familiare non da’ titolo a ricevere tutta intera l’eredita’, nemmeno dovrebbe costituire motivo per non ricevere il fondo di cittadinanza: e’ una questione di coerenza che, credo, nel lungo periodo puo’ essere importante nel garantire il successo di progetti di questo genere. Credo inoltre che un progetto basato su diritti individuali ed universali avrebbe maggiori possibilita’ di successo politico, perche’ non si tratterebbe di assistenza alle famiglie povere, cui non sempre i ceti medi guardano con favore. Un fondo di cittadinanza universale conviene alla stragrande maggioranza degli italiani. Infine, da un punto di vista pratico, si avrebbero meno costi di amministrazione: niente domande, niente verifiche etc etc., dunque meno soldi che si perdono per strada. Si tenga presente che anche cosi’ il programma sarebbe molto progressivo, visto che il gettito proverrebbe (in misura proporzionale) solo dai patrimoni piu’ alti.

  5. Luca

    Peccato che non tutte le pentole hanno i coperchi. Guardiamo agli effetti dell’introduzione della suddetta tassa che, a mio avviso, sono stati leggermente edulcorati nell’articolo.
    Gli stessi Gale & Slemrod sopra citati, infatti, riportano che se la tassa viene fatta pagare ai discendenti (come avveniva in Italia) allora questa tassa sia estremamente progressiva (piu’ della imposta sul reddito). E piu’ una imposta e’ progressiva, si sa, piu’ e’ distrosiva. Inoltre, l’estate tax e’ simile a una tassa sui capital gains: questo sarebbe estremamente disincentivante al creare/ rafforzare finalmente un sistema finanziario decente in Italia. Non e’ quindi chiaro se il governo istituendo il child fund potrebbe davvero “contribuire al superamento delle imperfezioni dei mercati del credito” come sostiene l’autore. Terzo, negli USA, sempre secondo Gale & Slemrod, la tassa di successione viene fatta pagare quando la ricchezza e’ superiore ai 675,000$. E a dir la verita’ il sito web del Center on Budget and Policy Priorities (www.cbpp.org) riporta che “the first .5 million of the value of any estate ( million for a couple) is totally exempt from the tax in the US”. Questo non era il caso in Italia.
    Quarto, l’effetto sul risparmio e’ quasi pressoche’ certo. Lo disincentiva. Un paper di John Laitner del 2000 (o 2001?) lo conferma. La magnitudine dell’effetto magari e’ incerta. Ma vogliamo veramente introdurre un altro disincentivo alla crescita in Italia?
    Infine, cosa farebbe la reintroduzione di questa tassa al mercato immobiliare italiano?

    • La redazione

      Nel suo commento Lei cita il Center on Budget and Policy Priorities (www.cbpp.org <http://www.cbpp.org/> ) facendo giustamente notare che il limite di esenzione negli USA e’ oggi di 1,5 milioni di dollari (era 675.000 nel 1998, anno a cui il paper di Gale & Slemrod si riferisce). Tuttavia, nello stesso sito Lei avrebbe potuto trovare le risposte a buona parte dei suoi quesiti, alla pagina “The estate tax: myths and realities” (http://www.cbpp.org/pubs/estatetax.htm). Le consiglio di dare un’occhiata.
      Le rispondo seguendo lo stesso ordine dei suoi commenti:

      1) A pagare l’imposta di successione sono sempre i discendenti, visto che il donatore, di solito, e’ morto. Il problema e’ piuttosto quale sia la base imponibile rilevante, e qui si puo’ distinguere fra donatore e ricevente. Il grado di progressivita’ e’ maggiore quando l’imposta viene fatta ricadere sul donatore ( “decedent”, ossia il deceduto, non il discendente). In pratica la differenza e’ pressocche’ nulla per patrimoni molto elevati.
      2) Le tasse sui capital gains colpiscono al momento della realizzazione del guadagno. Dunque, ingenti guadagni non vengono mai tassati perche’ mai realizzati. L’imposta di successione puo’ essere anche un modo per tassare guadagni non realizzati e dunque per far pagare piu’ tasse a chi ne ha pagate meno. Non vedo nessun problema, anzi un ulteriore vantaggio.
      3) Questo mi sembra un dettaglio: la soglia di esenzione puo’ essere alzata se lo si ritiene opportuno. Personalmente sono a favore di esenzioni piu’ ampie: il punto non e’ colpire chi eredita la casa di famiglia ma tassare i patrimoni di una certa entita’.
      4) L’effetto sul risparmio e’ pressocche’ certo? Se cosi’ fosse, il paper da lei citato di tale John Leitner sarebbe un classico, visto che economisti di indubbia fama non riescono a fornire conclusioni chiare. Di tale paper purtroppo non c’e’ traccia da nessuna parte. Si inseriscano su google le parole “Leitner”, “John Leitner” combinate con “saving”, “tax” o quant’altro: niente. La prossima volta sarebbe opportuno dare indicazioni piu’ precise. Altrimenti e’ un po’ troppo facile dire che c’e’ un paper di “Tizio e Sempronio” che prova “quello che mi pare”. In realta’, un report del Servizio Studi del Congresso Americano ha di recente reiterato che l’ evidenza empirica per quanto riguarda il risparmio privato e’ tutt’altro che ferma. In termini teorici, l’imposta genera un effetto di reddito ed uno di sostituzione, e non e’ possible determinare quale sia prevalente. Esiste, poi, anche un effetto “sesso, droga e rock&roll”: anche ammettendo (ma non concedendo) che un ricco possidente possa essere indotto a risparmiare di piu’ quando sa che potra’ trasmettere al 100% l’eredita’, e’ altrettanto vero che i suoi rampolli potrebbero essere indotti a risparmiare meno, esattamente per lo stesso motivo. Per finire, un punto interessante del Congress report e’ che, mentre l’effetto sul risparmio privato e’ incerto, quello sul risparmio pubblico e’ molto piu’ facilmente prevedibile ed e’ negativo.
      5) Anche in questo caso, credo che non ci siano risposte nette. Qualunque sia l’effetto credo, francamente, che se contribuisse a ridurre le rendite immobiliari a favore delle opportunita’ per i piu’ giovani farebbe senz’altro un’opera meritoria.

  6. Enzo Valentini

    L’Italia ha una bassa mobilità intergenerazionale nei livelli di educazione. Segnalo un paper che affronta il problema: “Bequest Taxation, allocation of talents, education and efficiency”, Staffolani-Valentini, (http://www.dea.univpm.it/quaderni/pdf/248.pdf). Nel paper ci si concentra sui legami tra i livelli di istruzione raggiunti da genitori e figli, evidenziando aspetti legati all’efficienza piuttosto che all’equità. Individui più bravi dovrebbero accedere a livelli di formazione più elevati, ma questo spesso non si verifica a causa dei vincoli di liquidità. L’evidenza empirica contenuta nel paper conferma l’esistenza di “individui male allocati”: figli di famiglie meno istruite che cessano gli studi, ma che per la loro abilità avrebbero potuto raggiungere livelli più elevati, e figli di genitori “istruiti” che ottengono titoli elevati che, in base al loro talento, non avrebbero dovuto conseguire. Viene poi proposto un modello teorico che, ipotizzando l’esistenza di vincoli di liquidità, replica l’evidenza empirica e analizza gli effetti di una tassa proporzionale sulle eredità il cui gettito sia utilizzato al fine di una redistribuzione intergenerazionale egualitaria per tutta la popolazione. Questa politica rilassa il vincolo di liquidità per i figli di famiglie più povere e, aumentando la mobilità intergenerazionale, consente un guadagno di efficienza (misurata con l’utilità media) perchè permette di ridurre il problema dell’allocazione “sbagliata”. Questo, anche considerando gli effetti disincentivanti che la tassa ha sull’impegno lavorativo. Il positivo “effetto di allocazione delle abilità” non emerge se il gettito è utilizzato per finanziare l’istruzione e destinato in modo egualitario solo agli studenti. “A proportional bequest taxation increases both equity and efficiency of the economic system if its yields are used to redistribute among all individuals of the following generation, pushing the economic system toward a world of equal opportunities”.

  7. michele

    Emergono, periodicamente, proposte che, almeno dal punto di vista della reale maggiore equità d’opportunità dei cittadini che inducono, mi sembrano caratterizzate più dall’innamoramento per la discussione sui presupposti tecnici che ne dovrebbero consentire o meno l’attuazione che da altro.
    Da bambino (e cioè prima del 1960), l’ente dove lavorava mio padre usava regalare – in occasione di non so più quale festività – un libretto di risparmio ai piccoli, con tanto di salvadanaio metallico destinato a raccogliere i risparmi successivi, che si riteneva evidentemente sarebbero stati incentivati dalla donazione iniziale.
    Promotori dell’iniziativa erano sia il suddetto ente che una Cassa di risparmio famosa in Lombardia.
    Risultato? Il piccolo capitale iniziale, ovviamente, poteva crescere solo in rapporto al reddito famigliare, e dunque alla disponibilità di risorse da aggiungere: essendo questa quasi inesistente, noi bambini, nella maggior parte dei casi, si provvedeva prima o poi – per bisogni urgenti – a “scassinare i salvadanai metallici e non a riempirli. Dunque, se qualcosa si imparava, non era esattamente l’arte di risparmiare.
    Si è accorto Larcinese del contrasto che esiste tra affermare l’opportunità di “Limare patrimoni ingenti nella fase di trasmissione ereditaria ” e suggerire che “Ciascun bambino potrebbe ricevere una dotazione di circa duemila euro, semplicemente ristabilendo l’imposta di successione nella sua ultima incarnazione, ossia esentando i patrimoni inferiori a 180.700 euro”?. Ritiene che la soglia di 180.701 euro corrisponda. OGGI!, a un patrimonio graziosamente tassabile? Suvvia: non creiamo ulteriori sperequazioni colpendo ancora ceti (gran parte del lavoro dipendente) già tartassati e scivolati verso l’incapacità quasi assoluta di produrre risparmio. Provvediamo seriamente a recuperare evasione ed elusione fiscale, senza inventare marchingegni che, francamente, mi paiono inefficaci e iniqui sotto ogni profilo.

  8. Giovanni

    Siamo stati tutti ragazzi, ciascuno può raffrontare lo stato di benessere o malessere fra le diverse generazioni. Ero ragazzo negli anni ’60 e nessuno, se non mio padre mi dava qualche spicciolo. In pizzeria e al cinema ci si andava quando capitava, nelle sale da ballo (ora discoteche) 4 o 5 volte l’anno…potrei continuare. Finite le scuole dove si studiava e non si era promossi solo per la presenza in aula, si andava a fare qualche lavoretto da privati per avere qualcosa in tasca per il successivo inverno. Ci si divertiva con niente, anche con un vecchio pallone. Ora vedo quasi tutti i giovani, anche figli di persone economicamente modeste, che spendono e spandono a piene mani. Tutte le sere in pizzeria, scooters, piercing, braccialetti, discoteche, telefonini cambiati ogni anno (io ne ho uno da oramai 7 anni e ci sto bene), bere di tutto a volontà. Il senso del sacrificio e della responsabilità a zero. CI SONO ECCEZIONI, MA SOLO ECCEZIONI A TUTTO QUESTO.
    Ma diciamo sul serio di volere dare una specie di mini-pensione prima ancora di aver iniziato a lavorare? La gran parte la spenderebbero per divertirsi! Non sarebe meglio dare questi ipotetici soldi provenienti dell’imposta successione solo a quei giovani che scelgono di lavorare in mestieri manuali, nell’artigianato che sta morendo, nel modo dell’arti che vivacchia…?

  9. stefano

    Bertrand Russel (Storia della filosofia Occidentale, p. 592, Mondadori, 1984), dopo aver spiegato come Sir Robert Filmer difendesse, alla fine del XVII secolo, il diritto divino di ereditarietà dei Re, scrive:
    “Il principio ereditario è stato ormai quasi bandito dalla politica. […] E’ curioso che il rifiuto del principio ereditario in politica non abbia avuto quasi alcun effetto nel campo economico nei paesi democratici. […]. Ci sembra ancora naturale che un uomo lasci la sua proprietà ai figli; accettiamo cioè il principio ereditario per quel che riguarda il potere economico, mentre lo respingiamo nei riguardi del potere politico. […] Non intendo ora prendere posizione pro o contro questo diverso trattamento delle due forme di potere. […]. Riflettete a quanto ci sembra naturale che il potere sulla vita degli altri, derivante da una grande ricchezza, debba essere ereditario, e capirete meglio come uomini come Sir Robert Filmer potessero sostenere lo stesso principio nei riguardi del potere dei Re. […] Il possessore di una terra ha molti e svariati diritti, […] e noi riconosciamo a chi ha ereditato una tenuta il diritto a tutti i privilegi che la legge gli concede in conseguenza di questo fatto. Tuttavia, in fondo, la sua posizione è la stessa di quella dei monarchi i cui diritti Sir Robert Filmer difendeva.”
    Credo che le parole di Russell siano illuminanti. E’ forse molto diverso ereditare un piccolo Stato o il diritto di controllare una multinazionale?
    Nel dibattito in corso non si discute di eliminare l’eredità, ma di tassarla. Non è vero che esistano ragioni per ritenere che una tassazione riduca gli incentivi al lavoro. Dipende… se un genitore è interessato al benessere del figlio, il suo attaccamento al lavoro e il suo lascito potrebbero addirittura aumentare in caso di tassazione! La parte dell’eredità che è dovuta a cause accidentali non dipende dalla tassazione.
    Si discute di tassarla per redistribuire il gettito tra i giovani, prima del loro ingresso nel mondo del lavoro. L’idea è quella delle parì opportunità. Come ci dice Enzo, questo significa aumentare le probabilità di accesso all’educazione superiore dei “bravi” piuttosto che dei “ricchi”, quindi (forse) di migliorare l’efficienza del sistema.
    Pertanto, appoggiando le idee di Valentino, spero che le parole di Russell facciamo riflettere!

  10. raffaello lupi

    Siamo d’accordo che l’imposta sulle successioni è un modo per riequilibrare le “disuguaglianze non meritate”. Ricordo però che bisogna fare i conti con le diverse possibilità di individuare e determinare le varie forme di capacità economica. Il grande difetto dell’imposta sulle successioni come la conoscevamo, e fino alle riforme del centrosinistra al crepuscolo, era quella di colpire in pratica solo i patrimoni immobiliari. Non per cattiva volontà, ma per i modi in cui circola la ricchezza; gli immobili circolano attraverso notai ed iscrizioni in pubblici registri, la ricchezza mobiliare e societaria no. Quest’ultima era di fatto esente, almeno fino alla riforma del tardo 2000, che restò in vigore pochi mesi e non ebbe modo di essere messa alla prova. Questa riforma era già timidissima, in quanto accertare i trasferimenti informali di ricchezza (ad esempio pagamenti di debiti dei figli, attraverso i quali essi acquistano quote sociali) comporterebbe intromissioni molto pesanti e ingestibili nella sfera privata. La soluzione adottata era quella di utilizzare una aliquota molto bassa, in modo da invogliare i beneficiari a “palesare” di aver ricevuto i beni di cui in futuro sarebbero stati titolari. Non è molto, ma ci avevamo lavorato per mesi, e penso che non ci fossero alternative.

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