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Governo nuovo, vecchia politica agricola

Se si vuole evitare che la riduzione del cuneo fiscale comporti un ulteriore aumento degli aiuti all’agricoltura, si possono contestualmente tagliare i sussidi di disoccupazione ad hoc per i lavoratori salariati agricoli. Tuttavia, le dichiarazioni del neo-ministro confermano la volontà di proseguire sulla strada dei sussidi. Un sistema che difende i privilegi e impedisce la riconversione dell’agricoltura europea. Si dovrebbero invece concentrare le risorse pubbliche su riforme strutturali che riducano i costi di produzione e diano veri benefici ambientali.

Il presidente Prodi annuncia una riduzione del cuneo fiscale del 5 per cento. A chi suggerisce di confinarlo ai salari più bassi (o in somma fissa), si obietta che si favorirebbero i lavoratori salariati agricoli. Questi lavoratori beneficiano relativamente poco degli abbondanti sussidi agricoli, che sono percepiti dagli agricoltori e favoriscono nel lungo termine prevalentemente i proprietari fondiari. Se si vuole comunque evitare di aumentare i sussidi agricoli attraverso la riduzione del cuneo fiscale, si possono contestualmente ridurre i sussidi di disoccupazione ad hoc per i lavoratori salariati agricoli. Ma il problema dei sussidi all’agricoltura è di dimensioni molto più ampie.

Dove nascono i sussidi

Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa–Schioppa annuncia che sarà necessaria una manovra di 45 miliardi, focalizzata specialmente sulla riduzione della spesa pubblica, mentre il suo collega delle Politiche agricole, Paolo De Castro, rilascia alla stampa dichiarazioni di tutt’altro tono, che ci sembrano anche contraddittorie. (1) Dopo aver affermato che “la politica agricola comune serve a tutti i cittadini europei” e che dobbiamo cercare di fare riforme “nel segno di una maggiore competitività“, il ministro dichiara che il Governo “è assolutamente intenzionato a proseguire sulla strada dei sussidi all’agricoltura“.
Attualmente l’agricoltura, oltre a un sostegno dei prezzi riceve sussidi dall’Unione Europea per oltre 6 miliardi di euro, dallo Stato e dalle Regioni per oltre 4 miliardi. Gode inoltre di agevolazioni previdenziali e contributive per 2,7 miliardi di euro, di una riduzione delle tasse sui carburanti di poco più di un miliardo, di riduzioni fiscali (Irpef, Irap, Ici) di oltre un miliardo. (2)
Il gruppo più rilevante dei sussidi pagati direttamente ai produttori fu istituito all’inizio degli anni Novanta al fine di concludere l’Uruguay Round. Si ridussero le barriere doganali nel comparto dei cereali e, per evitare una repentina riduzione del reddito dei produttori, si istituirono “pagamenti compensativi” pari alla riduzione del livello di sostegno dei prezzi. Era evidente che, per eliminare le distorsioni dei prezzi e degli investimenti sul mercato interno e su quello internazionale, gli aiuti compensativi dovevano essere decrescenti e limitati nel tempo, come si è fatto spesso nei periodi transitori di adesione dei nuovi membri. Infatti, nei primi anni Novanta il commissario all’Agricoltura MacSharry metteva in guardia gli agricoltori europei dicendo che non potevano certo aspettarsi di ricevere i pagamenti compensativi della riduzione dei prezzi fino al 2000. Evidentemente, anche lui sottovalutava il potere politico di alcune lobby agricole, specialmente francesi. Fatto sta che questi “pagamenti compensativi” rimasero grosso modo immutati, pur cambiando nome: dopo la metà degli anni Novanta, si chiamarono “aiuti alla produzione”, senza mai accennare alla loro riduzione o eliminazione. Furono successivamente giustificati con vantaggi non monetari che la produzione agricola apporterebbe all’ambiente e più in generale alla collettività.
La riverniciatura delle motivazioni, però, non può convincere i cittadini europei. Se i sussidi sono concessi per i benefici, ambientali o di altro genere, generati dalla produzione agricola, perché si danno ancora in proporzione al vecchio sostegno dei prezzi? In altre parole, perché un produttore di grano, magari in collina, dove provoca una forte erosione del suolo con riduzione della fertilità e danni idrogeologici al fondovalle, riceve per la sua azienda varie centinaia di euro a ettaro, mentre un floricoltore, che probabilmente contribuisce molto di più alla bellezza del paesaggio, non riceve praticamente nulla perché il prezzo dei fiori non è mai stato sostenuto dalla Pac? Evidentemente, anche con la nuova normativa, il disaccoppiamento del sussidio dal tipo di prodotto e dalla quantità prodotta non è completo.

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Senza competitività. E senza equità

La vera ragione dei sussidi è la difesa dei vecchi privilegi, che hanno frustrato finora la riconversione della nostra agricoltura, continuando a favorire la produzione di prodotti non voluti dal mercato. Per evitare le ingenti spese per distruzione delle eccedenze fdei decenni scorsi, ora l’Unione Europea paga circa 1800 milioni di euro all’anno di sussidi agli agricoltori per non coltivare circa il 10 per cento della superficie arabile. È questo il modo per aumentare la competitività della nostra agricoltura? Distribuendo la stragrande maggioranza dei sussidi a pioggia, frenando la mobilità intersettoriale del lavoro e ritardando l’aggiustamento strutturale delle imprese? Come può il nostro ministro dire che questa politica agricola “serve a tutti i cittadini europei” quando sussidia con una mano produzioni non richieste dal mercato e con l’altra la non coltivazione della terra, sempre a spese dei cittadini? È difficile trovare un altro esempio di peggiore allocazione delle risorse economiche a danno della collettività.
Si potrebbe obiettare che, pur essendo disastrosi in termini di efficienza, i sussidi vengono concessi per raggiungere altre importanti finalità sociali, come una migliore distribuzione del reddito. Purtroppo, non è così. Nonostante le recenti riforme, i sussidi vengono ancora distribuiti largamente in relazione alla superficie coltivata o al volume della produzione. Di conseguenza, gli agricoltori con grandi aziende ne traggono benefici molto elevati, mentre quelli con piccole aziende ne beneficiano in quantità molto modesta. I lavoratori salariati fissi o avventizi, poi, ne beneficiano pochissimo e in modo molto indiretto. Il risultato è un notevole peggioramento della distribuzione del reddito fra i cittadini italiani ed europei, favorendo chi è più benestante e le rendite fondiarie.

Ma il nostro ministro sostiene che gli effetti positivi per i cittadini sono prevalentemente di tipo ambientale. È quasi certamente vero per i sussidi agro-ambientali, che però costituiscono solo il 2 per cento dei trasferimenti all’agricoltura generati nel nostro paese dalla politica agraria. (3)
Gran parte degli altri sussidi, invece, costituiscono un incentivo più o meno forte ad un maggiore uso di prodotti inquinanti, che inevitabilmente peggiorano l’ambiente rurale. È abbastanza logico che un cerealicoltore, specialmente quando riceve sussidi per non coltivare parte della superficie arabile, cerchi di massimizzare il suo profitto aumentando l’uso dei restanti fattori di produzione e mezzi tecnici, fra cui pesticidi e fertilizzanti, sulla parte dell’azienda coltivata. Va anche detto che agli agricoltori non si applica il principio generale “chi inquina paga”.
La determinazione del ministro nell’ “andare avanti con i sussidi all’agricoltura” lascia molto perplessi. Risulta difficile immaginare come non si vogliano contenere almeno quelle spese pubbliche che non solo non aumentano il benessere dei cittadini italiani ed europei, ma lo abbassano sicuramente, sprecando miliardi di euro o riducendo l’utilizzazione delle nostre risorse produttive come le terre arabili.
Una intelligente politica agricola può migliorare i redditi degli agricoltori pur senza questi sprechi, rinunciando a distribuire a pioggia aiuti assistenziali, e concentrando le risorse pubbliche laddove esistono veramente benefici ambientali e su riforme strutturali che riducano i costi di produzione.
Una tale politica sarebbe sicuramente nell’interesse congiunto di agricoltori e cittadini. Al contrario di quella attuale, che da vari decenni si vuole cambiare, ma che si riforma solo a parole o nelle modalità di trasferire reddito al settore agricolo senza mai arrivare a una efficace riduzione di quella spesa pubblica che è palesemente inefficiente, iniqua e non sostenibile.

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(1) Il ministro De Castro ha rilasciato queste dichiarazioni dopo il suo intervento al Festival dell’Economia di Trento sul tema “Dobbiamo sussidiare l’agricoltura?”.
(2) Istituto nazionale di economia agraria (2006), Annuario dell’Agricoltura Italiana, tab. 13.11
(3) Con le misure agro-ambientali si erogano sussidi per ridurre l’impiego di mezzi tecnici inquinanti, anche se in gran parte dei casi non è possibile controllare efficacemente se la riduzione c’è stata o meno.


Figura 1 Composizione del sostegno complessivo all’agricoltura. Italia, 2004

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Una riforma in dieci punti

  1. Bessi

    Come spiega che tutti i grandi paesi danno sovvenzioni all’agricoltura?? Gianni Bessi

    • La redazione

      Perché parte delle sovvenzioni sono anche nell’interesse generale in quanto correggono effettivi svantaggi dell’attività agricola. Un esempio è la stabilizzazione dei mercati per combattere l’eccessiva variabilità dell’offerta agricola dovuta ad andamenti meteorici sfavorevoli o eccessivamente favorevoli. La faceva già Giuseppe quando era plenipotenziario del faraone d’Egitto, compensando i sette anni di abbondanza con i sette anni di carestia! Dobbiamo però evitare o eliminare i
      provvedimenti inefficienti, iniqui o non sostenibili che, purtroppo, sono ancora molti, specialmente nella PAC.
      Non dimentichiamo poi che la maggior parte dei paesi membri del WTO chiede una rapida liberalizzazione dei mercati agricoli e lo smantellamento dei sussidi distorcenti il commercio. Gli stessi Stati Uniti hanno chiesto per due volte, prima dell’Uruguay Round e pochi anni fa, lo smantellamento totale di questi sussidi all’agricoltura. Per essere più efficace la liberalizzazione dovrebbe esssere multilaterale, per questo motivo molti
      paesi non vogliono fare liberalizzazioni unilaterali. Alcuni paesi invece, come la Nuova Zelanda, lo hanno fatto e con buon successo.

  2. Filippo Biscarini

    Perché i sussidi privilegiano le grandi proprietà terriere arricchendo ulteriormente chi già è molto ricco? Non sarebbe meglio capovolgere il sistema a vantaggio dei piccoli agricoltori delle aree marginali (montagna), lasciando che i facoltosi grossi proprietari di pianura se la cavino da soli (cosa che potrebbero fare comodamente)?
    In questo modo si peggiora le redistribuzione del reddito e non si ottengono vantaggio socio-ambientali (freno allo spopolmaneto e abbandono delle aree marginali).

    • La redazione

      Quasi totalmente d’accordo. E’però importante lasciare fare
      all’economia e al mercato quello che può fare per massimizzare il benessere della collettività, favorendo se necessario migliori strutture produttive.
      L’intevento pubblico può inoltre essere anche permanente se non si possono risolvere altrementi i problemi esistenti. Nel caso specifico occorre innanzitutto favorire unità produttive efficienti, che permettano di organizzare sufficientemente bene i fattori di produzione. In Italia e in Europa le principali economie di scala in agricoltura si sfruttano bene anche con dimensioni aziendali abbastanza limitate e con conduzioni di tipo familiare. Purtroppo la dimensione della maggioranza delle nostre aziende è ancora molto al di sotto di questi livelli. E’ evidente che le grandi aziende già efficienti non hanno bisogno di sussidi di ristrutturazione.
      Se le condizioni territoriali e/o ambientali sono tali da non permettere redditi sufficienti alle imprese ristrutturate ed i cittadini giudicano che in quell’area l’attività agricola è importante per svariati motivi: sociali, ambientali, ecc., allora anche un sussidio permanente può essere certamente
      giustificato.
      Oggi purtroppo la stragrande maggioranza degli aiuti all’agricoltura sono concessi senza finalità strutturali né ambientali, e contribuiscono a mantenere inefficienti anche aziende che potrebbero ristrutturarsi con vantaggio degli agricoltori e di tutti i cittadini. Questo è uno spreco di
      risorse per tutta la collettività, generato da uno sbagliato atteggiamento assistenziale o da interessi corporativi.
      Ricordi quel veccho aforisma che era anche scritto all’ultimo piano di una delle “Tween Towers”: “Dai un pesce ad un affamato e lo sfami per un giorno,insegnagli a pescare e lo sfamerai per tutta la vita!” Non vale solo per i pesci.

  3. Davide Prandi

    Su una più corretta ridistribuzione dei sussidi sono d’accordo ma sulla loro eliminazione NO. Perchè lasciare fare al mercato significa uccidere la già debole (7% del PIL italiano) presenza dell’agricoltura in italia e soprattutto centinaia di piccoli agricoltori che con fatica MAI compensata abbastanza producono alimenti di qualità inimitabile (in Nuova Zelanda non fanno il Parmigiano o il Pecorino di Pienza o il lardo di colonnata). Piuttosto è da rividere il sistema per cui, io produco latte e nei supermercati della mia città viene venduto latte ucraino! Così come per tanti altri prodotti. La realtà è molto più complessa di un semplice sussidio.

    • La redazione

      In Italia l’agricoltura rappresenta solo il 2.2% del Pil ed il 4.2% dell’occupazione (Commissione Europea), ciò non toglie che si debbano comunque utilizzare sempre bene i finanziamenti pubblici, come credo desideri anche lei. I piccoli produttori dovrebbero essere messi in condizione di adattarsi all’evoluzione del mercato e del progresso tecnologico producendo a costi più bassi nell’interesse proprio e dei cittadini. Lo stato dovrebbe intervenire per neutralizzare le inefficienze del mercato favorendo però l’interesse congiunto di produttori e consumatori, i quali hanno anche il diritto di comprare prodotti importati, se lo preferiscono.

  4. Michele Bianco

    Abbiamo senz’altro il dovere di concentrare le risorse pubbliche per ottenere benefici ambientali dal lavoro degli agricoltori. Se correttamente incentivate, questi lavoratori possono essere di grande beneficio per le aree, in Italia ed in Europa, che soffrono per una crescente vulnerabilità dei propri terreni, erosione, perdita di elementi nutritivi, salinizzazione e altro.
    Ma quando si avrà uno studio serio della situazione del territorio italiano? Molto fragile soprattutto nelle sue aree montuose, collinare e nelle sue valli, che costituiscono, all’insaputa di molti, la maggior parte del territorio italiano?
    Perchè si continua a sovvenzionare solo la produzione?

    • La redazione

      In effetti si stanno già spostando finanziamenti dal sostegno alla produzione alla tutela del’ambiente e del territorio, ma lentamente e senza un preciso piano di lungo termine che possa permettere agli agricoltori di fare i loro investimenti con riferimenti precisi sull’evoluzione della politica agricola e sulla redditività futura.

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