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Ma la giustizia sportiva è giusta

Due critiche principali hanno accompagnato il processo sugli scandali del calcio: colpe di pochi dirigenti ricadono su calciatori e tifosi incolpevoli e sommarietà procedurale. Ma il fatto che le società possano essere chiamate a rispondere degli illeciti commessi da propri esponenti è norma generale del nostro ordinamento dal 2001. Per impedire che gli stakeholder si avvantaggino di comportamenti scorretti dei manager a danno dei concorrenti. E forse, dovrebbe essere la giustizia ordinaria a imitare quella sportiva, almeno in tema di celerità.

La lunga estate calda del calcio italiano sottopone tifosi e appassionati a una continua doccia scozzese. A pochi giorni dalla conquista di una storica e insperata Coppa del mondo, l’attesa sentenza della Caf sarà, con ogni probabilità, anch’essa storica, anche se purtroppo per opposti motivi. Con la più che probabile retrocessione della Juventus (in B o C poco importa), con le sanzioni inflitte ai correi, si chiude un’epoca del nostro calcio, che sinora appunto aveva avuto nella squadra torinese il proprio baricentro. Salvo infatti poche parentesi, la storia secolare del nostro sport più popolare è storia di duelli a due, bianconeri da una parte, contendente del momento dall’altra.

 

Critiche ingiuste

 

Non sorprende allora la vivacità del dibattito alimentato nelle settimane scorse dalla prospettiva che il prossimo campionato di serie A perda una delle sue storiche protagoniste. Via via che il processo dello stadio Olimpico compiva il suo iter, personalità di vertice della politica e del diritto (tra gli altri il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, il giurista Giuliano Pisapia) hanno criticato, anche aspramente, la corte presieduta da Cesare Ruperto, e prima ancora il contesto normativo in cui questa si è trovata a giudicare.

Due i principali filoni di critica. Il primo, con tono neppure troppo celatamente demagogico, si chiedeva se fosse giusto che assi amati dal pubblico come i neo-campioni del mondo Cannavaro e Buffon giocassero il prossimo anno in una delle serie cadette. E più in generale se fosse accettabile che le colpe di pochi dirigenti fossero pagate da milioni di incolpevoli tifosi, colpiti nel loro passatempo domenicale preferito. Il secondo, più tecnico, seppure illustrato con immaginifici paragoni (l’aula del processo sportivo come il Colosseo in cui poveri innocenti venivano dati in pasto ai leoni) criticava la sommarietà procedurale della giustizia sportiva, che in pochi giorni perviene a sentenze che interessano realtà che sono ormai a tutti gli effetti colossi economici privati, ai quali dunque sarebbe necessario assicurare ben altre garanzie di difesa.

Entrambe le questioni, alle quali ha peraltro già risposto il commissario straordinario della Figc Guido Rossi nell’audizione del 12 luglio alla Camera, sono a ben vedere mal poste. Pur senza entrare nel merito del giudizio (ancora in corso) è comunque possibile svolgere alcune considerazioni di carattere generale.

 

Il decreto 231

 

Il fatto che società e altri enti possano essere chiamate a rispondere per gli illeciti commessi da propri esponenti è, ormai dal 2001, norma generale del nostro ordinamento.

Il decreto legislativo 231, approvato in esecuzione di una convenzione Ocse contro la corruzione, è volto a evitare che taluni soggetti economici collettivi (società di capitali, ma non solo) possano trarre vantaggio – a danno dei propri concorrenti diretti – da alcuni specifici reati previsti dallo stesso decreto, compiuti dai loro dirigenti. Prevede sanzioni pecuniarie e interdittive (come il divieto a contrattare con la pubblica amministrazione) a carico dell’ente, irrogate dallo stesso giudice che giudica sulla responsabilità penale delle persone fisiche. Sanzioni che possono essere preventivamente evitate, ove l’ente si sia dotato di modelli organizzativi volti a minimizzare il rischio della commissione di quei medesimi reati. È evidente l’incentivo alla prevenzione, che è il vero obiettivo della legge. Oltre a infrangere il millenario principio del nostro ordinamento societas delinquere non potest (derivante direttamente dal diritto romano), il decreto legislativo 231, come la giustizia sportiva, pone ovviamente il problema di bilanciare tutela della competizione economica e difesa dei diritti dell’ampia platea di incolpevoli stakeholder dell’ente sanzionato (pensiamo ai lavoratori, ma anche agli azionisti, ai clienti o ai fornitori), che sono certamente danneggiati, sia pure in modo prevalentemente indiretto, dalla sanzione alla società. Ma il problema di individuare questo difficile equilibrio non si risolve certo consentendo che questi stessi stakeholder beneficino, come accadeva in passato, delle malefatte dei dirigenti. Ciò infatti implicherebbe un vulnus al funzionamento del mercato, che ove invece sia tutelato, come appunto cerca di fare il decreto, costituisce il miglior meccanismo di tutela di quegli stessi stakeholder. Clienti e fornitori possono rivolgersi a soggetti più corretti, gli stessi lavoratori possono cambiare posto di lavoro. Così, tornando al mondo del pallone, e per quanto ciò possa sembrare oggi doloroso al tifoso bianconero, i neo-campioni del mondo Buffon e Cannavaro possono andare a giocare altrove.

 

Non è giustizia sommaria

 

Quanto alla sommarietà della giustizia sportiva, il solo porre la questione come l’abbiamo letta sui giornali è indice di scarsa dimestichezza con l’intero movimento. Provate a immaginare un ordinamento che preveda tre gradi di giudizio contro il fischio dell’arbitro, che pure con l’assegnazione di un rigore, con la convalida o l’annullamento di un gol (decisioni assunte in una frazione di secondo, magari dopo l’affannosa rincorsa a un contropiedista di venti anni più giovane) può determinare redistribuzioni di reddito dell’ordine di centinaia di milioni di euro (anzi decine di miliardi, se stiamo all’ormai famoso studio di Abn Ambro sugli effetti della vittoria mondiale). Scherzi a parte, introdurre le corpose garanzie giustamente previste nei tribunali ordinari vorrebbe dire risolvere, forse, i problemi procedurali, con grande soddisfazione dei giuristi, ma uccidere il campionato, con grande scoramento dei milioni di tifosi (quegli stessi che oggi sono abbattuti dalla sentenza Caf). Che senso avrebbe una competizione in cui uno dei contendenti gioca sub iudice, o l’arbitro è sotto processo per collusione con uno di loro? Provocatoriamente, ma non tanto, visto l’infelice stato della nostra giustizia ordinaria, civile e penale, potremmo ribaltare le critiche giunte alla Caf nelle ultime settimane. Invece di invocare per la giustizia sportiva le garanzie di quella ordinaria, sarebbe più opportuno invocare per questa almeno un po’ della celerità e speditezza della prima.

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Sommario 10 luglio 2006

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Il decreto in via di cambiamento

10 commenti

  1. Edoardo Riccio

    Per quanto di principio il contenuto dell’articolo sia in parte condivisibile, una simile giustizia puт essere difesa se produce sentenze eque e adeguatamente motivate. Leggendo la sentenza sulla Juve la Corte non rileva partite truccate o aggiustate, non sorteggi arbitrali falsati, nessuna cupola Moggi, nessuna ammonizione “ad hoc” e assolve tutti gli arbitri relativi a partite riguardanti, direttamente o indirettamente, la Juve. La Juventus viene condannata per responsabilitа diretta in illecito sportivo ripetuto in virtщ delle seguenti considerazioni: “La Procura Federale ……. ha individuato talune condotte, costituenti di per sй comportamenti contrari ai principi di lealtа, correttezza e probitа ….(art. 1), ed ha ritenuto che l’insieme di tali condotte sia stato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus, e quindi sia stato violato l’art.6, integrando la pluralitа delle condotte l’attivitа diretta a procurare alla Juventus un vantaggio in classifica”. Inoltre sempre la sentenza: “и concettualmente ammissibile l’assicurazione di un vantaggio in classifica che prescinda dall’alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara. Infatti, se di certo, la posizione in classifica…..и la risultante aritmetica della somma dei punti conseguiti sul campo, и anche vero che la classifica nel suo complesso puт essere influenzata da condizionamenti, che, a prescindere dal risultato delle singole gare, tuttavia finiscono per determinare il prevalere di una squadra”. Di fatto quindi l’esito del processo и che da una serie di slealtа si presume derivi un illecito, nonostante si sia dimostrato che non ci sono state irregolaritа di sorta in nessuna delle partite della Juve o di dirette concorrenti. E’ logico ? Chi si sottoporrebbe serenamente ad una giustizia simile ?

    • La redazione

      Il mio articolo, replicando ad alcune posizioni emerse nel dibattito sullo scandalo calcistico, voleva confutare le critiche a mio avviso più grossolanamente infondate all’impianto della giustizia sportiva. Non intendeva affermare che il sistema produce sempre e comunque sentenze corrette nel merito, nè tantomeno difendere questa sentenza della CAF (anche perchè è stato scritto prima). Se essa contiene passaggi illogici, incoerenti o non suffragati da prove, esiste una sede apposita per correggerli, il processo di appello. Se si condividono i principi di base dell’ordinamento sportivo – che tutti i protagonisti, nell’entrarvi, dichiarano di accettare -, è lì che dovrebbero essere fatte valere le proprie doglianze.

  2. celito

    Una sentenza ridicola,forcaiola,mediatica,persecutrice oltre ogni misura.Come non ricordare,il processo doping, anni di indagini, pile di incartamenti, servizi televisivi ,magistrati impegnati full time ( si sа la juve ti dа un palcoscenico non indifferente )fughe di notizie e quant’altro.Risultato?Nulla.Si badi bene,questa indagine,che sembrerebbe su commissione,riguarda solo ed esclusivamente la juventus,perche?Ma perche non interessa il doping nel calcio,come si trombazza sui vari titoloni,ma interessa il doping alla juventus.Ma il doping non c’и,il dispositivo della sentenza d’appello non lascia chance, e allora che si fa ?Non resta che utilizzare l’enorme mole d’intercettazioni (ma quanto costeranno ? ) servite cosм si dice per la suddetta inchiesta.Dopo attenta analisi, a parte la rozzezza dei personaggi coinvolti ,e lo squallore generale in cui si svolgono tali conversazioni ,non appare nulla di penalmente rillevante, penalmente, perchи sportivamente,emerge un mondo, un modo di operare,e dei rapporti fra gli adetti ai lavori,non propio cristallini per usare un eufemismo.E quм ,entra in scena la famigerata giustizia sportiva,completamente assente per anni ,quando non compiacente(si vedano i passaporti falsi,i bilanci tarroccati,fidejussioni cartastraccia e molto altro) ci si aspetterebbe una indagine a tutto campo ,approfondita,seria,esaustiva,e invece in nome dei calendari (quindi degli enormi interessi economici ,spesso dimenticati dai grandi moralizzatori)si dа il via a una kermesse di stampo cinematografico parente nemmeno lontano di un processo bulgaro,in cui il dibattimento diventa un fastidio da espletare velocemente,perchи tanto si и gia deciso.E lo conferma la sentenza ,le sue motivazioni piene di contradizioni ,incongruenze,iniquitа tra pena e colpa.Se si vuol fare cosм,si faccia,ma non si parli per favore di giustizia,non si vesta un asino da cavallo,le orecchie lo tradirebbero.

    • La redazione

      Il processo penale sul doping nel calcio mi risulta ancora in corso, dopo le condanne in primo grado e le assoluzioni in secondo. Pur nel rigoroso rispetto della presunzione di innocenza, mi sembra opportuno sospendere il giudizio su quella vicenda. Quanto ai suoi (e di altre poco pulite storie
      analoghe) mancati risvolti sportivi, e comunque alla gestione un po’ (per usare un eufemismo) cauta dei controlli federali negli ultimi anni, effettivamente c’è da pensare. Non mi sembra però un caso che il dimissionario presidente FIGC sia stato condannato dalla CAF (anche qui, in attesa della sentenza definitiva) a 4 anni e mezzo di inibizione (poco meno di un “ergastolo sportivo”, atteso che la pena massima è di 5 anni). Per il resto, mi sembra che la prospettiva “complottista” non sia generalmente la
      migliore per analizzare le vicende giudiziarie, anche quelle di carattere sportivo. Diamo almeno il beneficio del dubbio a questo sistema, e rimandiamo giudizi definitivi alla conclusione del processo in corso. Se però concordiamo sul fatto che le intercettazioni, magari non penalmente
      rilevanti, hanno comunque posto in luce comportamenti “non proprio cristallini”, dobbiamo anche riconoscere che ciò basta alla giustizia sportiva – che si basa su principi diversi da quella ordinaria – per trarre le sue conclusioni.

  3. federico ferro-luzzi

    Il discorso fila via liscio con un piccolo, significante, particolare tralasciato: sono le società sportive che sono volute entrare nel “mondo reale” ed è dunque giusto che si assoggettino alla giustizia reale.
    In altri termini: il discorso fatto andrebbe bene se le società di calcio fossero ancora delle associazioni senza fine di lucro, ma visto che sono s..p.a. ed alcune, addirittura, quotate, le regole del gioco “giiustizia” debbono necessariamenhte essere improntate alla certezza anche a scapito della celerità.
    In via meramente esemplificativa quanto esaustiva.
    Premesso che sono giallorosso (e dunque la lazio in B non è che non mi faccia dormire come evento in se considerato) se fossi azionista della lazio ricorrerei immediatamente alla giustizia ordinaria visto che (almeno da ciò che si legge) la condanna è assolutamente meno che indiziaria e gli effeti economici sul mio investimento sarebbero devastanti.
    Delle due l’una: o è un giuco, ed allora valgono le regole che si pone (non si ricorre certo al Tar per essere stati aggrediti alle spalle in una partita di Risiko) o è un affare, ed allora valgono le regole di questi.
    f.f-l

    • La redazione

      Effettivamente quello delle società calcistiche quotate in Borsa è forse il problema più spinoso tra quelli che Guido Rossi è chiamato a gestire, e richiederebbe ben più che una semplice replica al suo puntuale intervento.
      Per limitarsi ad una battuta, credo sia appropriato l’orientamento che la Consob espresse già due anni fa: “i ricorrenti e generalizzati squilibri economici delle società di calcio italiane rendono nuovamente attuale un dibattito sull’opportunità della loro quotazione, in termini di
      costi/benefici per il mercato” (audizione del 4 maggio 2004 alla Commissione Spettacolo e Sport della Camera). Gli otto anni trascorsi dalla prima quotazione di una società calcistica a Piazza Affari (la Lazio, nel 1998) hanno dimostrato che le prospettive di sviluppo del mercato in cui questi soggetti operano non si sono del tutto realizzate. Far discendere dal solo fatto della quotazione la necessità di travolgere l’intero ordinamento sportivo mi sembra però eccessivo. Anche in questo caso (e scusandomi per l’eccesso di semplificazione), chi ha investito era (o avrebbe dovuto essere) a conoscenza dell’attività esercitata da queste società, e delle peculiari regole cui questa è sottoposta. Delle due l’una: o è stato
      informato correttamente, e allora il discorso non si pone, o
      quell’informazione è mancata, e allora potrà al più esperire un’ordinaria azione di responsabilità da prospetto (o similari) verso chi è venuto meno a doveri di legge.

  4. Edoardo Riccio

    Provo a rispondere, anche per il piacere del dibattito, ad entrambe le Sue risposte. Quanto alla prima le domando quale sarebbe il giudizio sulla giustizia sportiva se anche in appello venissero confermate quelle sentenze e quelle motivazioni. Voglio dire che se la giustizia sportiva consente di addivenire e blindare una sentenza “scritta prima”, in totale mancanza di prove e senza che una seria indagine sui vizi del sistema sia fatta, vuol dire che c’è comunque qualcosa che non funziona. Vuol dire almeno che c’é un codice che lascia troppo spazio all’interpretazione sia del concetto di illecito sia della misura delle sanzioni. E in fondo il risultato non è così irrilevante visto che il club più importante d’Italia ne esce letteralmente massacrato (e dubito ne verrà fuori). Quanto alla rilevanza delle intercettazioni esse possono al più provare comportamenti sleali, ma non il resto. Allo stato attuale delle cose sarebbe come se intercettassero me e lei che vogliamo far fuori qualcuno e ci condannassero senza nemmeno verificare se omicidio o tentato omicidio ci sia realmente stato. In realtà a me sembra emergere in modo chiaro che il mondo del calcio fosse regolato da una serie di rapporti lobbistici che, però, finivano per controbilanciarsi ed avere uno scarso impatto sul risultato sportivo. Ora le lobby nello sport non dovrebbero esistere, ma per cambiare le regole andrebbe fatta senz’altro prima un’indagine seria volta a capire le dinamiche vere.

    • La redazione

      La ringrazio di questo secondo commento. Ribadisco però la mia posizione, che si limitava a confutare alcune prese di posizione emerse del dibattito pubblico, cercando di dimostrarne l’infondatezza. Continuo inoltre a ritenere opportuno – nel discutere gli assetti di un ordinamento giuridico, sia pure sui generis come quello sportivo – prescindere da un singolo caso.
      Quanto al merito, mi limito ad osservare che la sua posizione è molto più intransigente della stessa linea difensiva juventina, la quale sostanzialmente si limita a contestare l’entità della pena, arrivando ad “accettare” in anticipo una eventuale retrocessione (in primo grado addirittura accompagnata da una “congrua” penalizzazione).

  5. Omar Sivori

    Solo un mese dopo e l’intervento del prof. Corrado appare vecchio come un papiro egizio. La sentenza d’appello e la ‘conciliazione’ hanno dimostrato che la giustizia sportiva è tutt’altro che giusta, o meglio ben amministrata, e che è stata incapace di considerare tutte le variabili e ciò nonostante la mano invisibile di un grande esperto di ‘regole del gioco’, Guido Rossi. Chi può non riconoscere che si è cercato di punire con la Juve, e solo lei, tutto il marcio appena scoperchiato? Che il Milan (Berlusconi, un ostacolo molto visibile ma tanto poco discutibile sulle pagine sportive), la Fiorentina (Della Valle/Mastella e un’intera città come Firenze) e la Lazio (tante migliaia di tifosi che chiamerò ‘border-system’) potessero pagare non è mai parso verosimile, dall’inizio. Guido Rossi però, quello che riscriverà le ‘regole del gioco’, ha dimostrato di essere assai poco distaccato prima saltando con gioia mentre Cannavaro alzava la Coppa (ma non era tutto marcio attorno e dietro a quel capitano? non era meglio un certo distacco?), poi assegnando o facendo assegnare lo scudetto 2005-2006 all’Inter senza che ci fosse tanta urgenza e prima che la corsa giudiziaria finisse del tutto. Troppa sicumera ed eccesso di pressione giacobina, mettiamola così, anche se Saint-Just sarebbe stato meno in vista e meno premiante. Purtroppo, oggi si può ben dire che – qualsiasi sia l’esito del ricorso al TAR da parte della Juventus o dei passaggi successivi – la ferita (il professor Rossi direbbe ‘vulnus’) sarà difficile da guarire. Non si dimentichi che il calcio è anche un sport seguito da tanti tifosi, tifosi e cittadini, e non vedo come uno possa fare il profeta e legislatore dopo aver tentato di ‘giustiziare’ con le vecchie regole solo il capro espiatorio (o perlomeno aver partecipato con interesse al sacrificio rituale). Caro professore, riscriverebbe lo stesso articolo?

    • La redazione

      Si, lo riscriverei. Perché mio obiettivo non era affermare che quello della giustizia sportiva é il migliore de mondi possibili, bensí (come ho cercato di illustrare negli altri contributi pubblicati su La Voce) che i principi su cui
      essa si basa (e che all´epoca in cui scrivevo venivano quotidianamente scherniti da autorevoli personalitá della politica e del diritto) devono tener conto delle peculiaritá di un sistema che non puó essere integralmente regolato con norme di diritto comune, ma che anzi richiede una disciplina
      spiccatamente specialistica. Quanto all´esito specifico del
      processo “sportivo”, sono solito non commentare decisioni in relazione alle quali non abbia approfondita conoscenza delle “carte”. Se tuttavia non concordo con lei circa l´ipotesi del capro espiatorio (di solito é un soggetto debole, definizione che mal si attaglia alla Juve sotto tutti i profili), non posso negarle una certa perplessitá (per ragioni molto probabilmente diverse dalle sue, che comunque rispetto) di fronte a certe oscillazioni tra primo e secondo grado. Ma sono problemi che a mio avviso si devono risolvere
      dall´interno del sistema (alcune delle mie proposte in tal senso sono sempre su questo sito), in via generale, non rovesciando il tavolo quando certi assetti normativi, evidentemente perfettibili, ma comunque accettati da tutte le parti in causa e mai sinora messi in discussione, portano all´applicazione di sanzioni dolorose sí, ma ampiamente note a priori.

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