Non servono nuovi controlli nel calcio, che sotto questo profilo rischia la saturazione. Si devono invece disinnescare i tanti incentivi alla collusione che restano anche dopo la sentenza della corte federale. Bene allora il ritorno alla contrattazione collettiva dei diritti televisivi e un ripensamento del settore dei procuratori sportivi. Ma si dovrà anche riformare la Lega e il meccanismo di designazione degli arbitri. Oltre a metter mano all’impianto della giustizia sportiva.

Al di là delle singole responsabilità accertate, e delle conseguenti pene irrogate, la vicenda che ha concluso il suo iter avanti agli organi di giustizia sportiva ha messo in luce come una cattiva configurazione di alcuni meccanismi chiave del calcio professionistico abbia contribuito a creare un ambiente che forniva a tutti i principali protagonisti significativi incentivi a colludere, con grave nocumento per la regolarità della competizione sportiva.

La ripartizione delle risorse televisive

Alla contrattazione individuale per la cessione dei diritti di trasmissione televisiva delle partite si era passati nel 1999, anche a seguito di un importante intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, trascurando il fatto che a essere in vendita è il prodotto “campionato”, al di fuori del quale la singola partita non avrebbe senso. La contrattazione individuale ha quindi fatto esplodere il divario di risorse tra le squadre di serie A e ha fatto sì che talune delle società più piccole divenissero vere e proprie “succursali” delle grandi, con legami contrattuali (determinati ad esempio dal prestito di giovani calciatori) talmente stretti da far spesso dubitare della bontà dei risultati nelle partite che opponevano squadre entrambe appartenenti a queste singolari holding di fatto. Queste relazioni improprie erano inoltre aggravate dalla notevole concentrazione nel mercato dei servizi resi dai “procuratori sportivi”, agevolata da norme che “non trovano alcun riscontro nel Regolamento Fifa”, come ha rilevato l’Agcm nel maggio scorso. (1)

L’assetto istituzionale

A loro volta, i legami contrattuali tra le squadre hanno determinato nel tempo crescenti distorsioni nei meccanismi di selezione dei vertici degli organi di governo del calcio professionistico. Lega in primis, come testimoniano le turbolenze verificatesi in occasione degli ultimi rinnovi, e la stessa composizione delle coalizioni che si sono affrontate in quelle sedi, specchio più di quegli impropri legami contrattuali che di vere comunanze di interessi tra i partecipanti alle varie cordate. Queste distorsioni hanno dal canto loro accresciuto il conflitto insito nelle stesse attribuzioni della Lega, un po’ istituzione (è infatti un’articolazione della Federazione, responsabile dell’organizzazione dei campionati), un po’ associazione di categoria.
Anche le norme che presiedono al funzionamento del settore arbitrale non sono esenti da critiche. Il meccanismo della designazione nasconde più di un’insidia, seppure in astratto apprezzabile. (2) In primo luogo, non si capisce perché debba essere capovolto nel caso del campionato di calcio ciò che vale per la giustizia ordinaria, dove vigono regole ferree per la predeterminazione del “giudice naturale”, dal quale a norma dell’articolo 25 della Costituzione, “nessuno può essere distolto”, e volte appunto ad evitare che la scelta sia fatta ad hoc, per favorire l’una o l’altra parte. Eppure, ben altri sono gli interessi in gioco: la libertà delle persone, la repressione dei crimini, la tutela dei diritti, la sopravvivenza economica di un imprenditore. In secondo luogo, proprio la designazione, unitamente al bisogno che l’arbitro desideroso di far carriera ha di dirigere incontri di grande visibilità, di per sé costituisce un condizionamento degli ufficiali di gara, indipendentemente da espliciti interventi fuori dalle righe di questo o quel dirigente di società.
La situazione è stata efficacemente descritta dal commissario straordinario Guido Rossi, nell’audizione alla Camera del 12 luglio: “l’aspetto più preoccupante della crisi del sistema calcio è la cattura e l’asservimento a interessi di parte dei vertici e degli organi di controllo della Figc e delle sue componenti più importanti (come gli arbitri): indipendentemente dalla rilevanza penale e/o per la giustizia sportiva, il cuore dello scandalo è la fortissima capacità di condizionamento e influenza dei e sui soggetti che avrebbero dovuto garantire, in posizione di terzietà, la regolarità dei campionati, la corretta distribuzione delle risorse economico-finanziarie, l’esistenza di meccanismi elettivi dei vertici federali realmente democratici”.

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Le vie d’uscita dalla crisi

Il consenso sostanzialmente bipartisan sul disegno di legge del Governo (3), che prevede il ritorno alla contrattazione collettiva per la cessione dei diritti di trasmissione televisiva dei campionati calcistici, è il segno che almeno su un punto Calciopoli ha messo tutti d’accordo: un campionato sportivo è un meccanismo estremamente delicato, e ancorché i suoi protagonisti siano società di capitali, in assenza di adeguati correttivi il mercato non è lo strumento più idoneo ad assicurarne, da solo, l’efficiente funzionamento. La decisione del Governo segna dunque una netta inversione nella tendenza prevalente sino a pochi mesi fa, che vedeva tutti i soggetti in campo magnificare, in nome appunto della concorrenza, il sistema varato nel 1999.
Benché la vicenda giudiziaria, almeno temporaneamente conclusa, abbia lasciato un inevitabile strascico di polemiche, essa ci consegna un importante monito: anche le norme più rigorosamente formulate, i controlli più capillari, sono facilmente vanificati in presenza di significativi incentivi a comportamenti anti-sportivi nascosti nelle pieghe del sistema. Le riforme che verranno dovranno dunque muoversi nel solco di quella, già avviata, dei diritti televisivi, e di quella, suggerita dall’Agcm, relativa al settore dei procuratori sportivi (4): non tanto aggiungere nuovi controlli a un settore che rischia sotto questo profilo la saturazione, bensì disinnescare i tanti incentivi alla collusione che anche dopo la sentenza della corte federale permangono.
Così, non appare più procrastinabile una riforma della Lega che – separando, per affidare ad altri soggetti, le competenze “istituzionali” – le consenta di operare come associazione di categoria senza per questo far passare in secondo piano i valori dello sport. Come pure il meccanismo di designazione degli arbitri dovrà essere profondamente rivisto: davvero un movimento che vanta una base di milioni di iscritti, che raggiunge punte di eccellenza tecnica testimoniate da ultimo dalla vittoria di Berlino, non è capace di esprimere 15-20 arbitri di buon livello medio tra cui effettuare il sorteggio integrale?

Giustizia sportiva da rimodellare

Prima ancora però si dovrà mettere mano all’impianto della giustizia sportiva. Il suo ordinamento attuale, che pure ha retto l’urto di una vicenda che rischiava di travolgerlo, necessita evidentemente di interventi volti a tutelare più efficacemente i diritti della difesa e a ridurre la discrezionalità del giudice nella determinazione delle pene. Sotto questo profilo, il quadro oggi è estremamente carente, come dimostra l’oscillazione verificatasi tra primo e secondo grado, pur nella sostanziale conferma del quadro fattuale, espressamente riconosciuta dal presidente della corte federale Sandulli.
Ciò avrebbe due importanti effetti. In primo luogo, permettendo al verificarsi di un illecito una prognosi ragionevolmente affidabile dell’esito del processo sportivo, consentirebbe agli interessati di scontarne in anticipo gli effetti, vantaggio non da poco ove si osservi che le squadre sono oggi società di capitali di rilevante complessità gestionale, alcune delle quali quotate in Borsa. D’altro canto, la prevedibilità permetterebbe – così come è accaduto con il lodo Petrucci, che ha dettato regole chiare per fronteggiare i fallimenti delle “grandi” – di internalizzare gli effetti sul settore di shock esogeni al fatto sportivo, prevenendo e contenendo le reazioni anti-sistema, che rappresentano una minaccia per l’intero movimento, potendo determinare conseguenze le più disparate: ne sono esempi il minacciato ricorso alla giustizia ordinaria, con consapevole violazione della clausola compromissoria, che pure per l’amministratore di una spa diventa un passo sostanzialmente obbligato, pena la sua possibile responsabilità verso la società. Ma anche le turbative all’ordine pubblico delle frange più violente di tifosi, che possono più facilmente verificarsi proprio in ragione della mancanza di una cornice normativa univoca, che impedisce che le sanzioni irrogate siano percepite come giuste da coloro che ne sono colpiti.

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(1)
Vedi l’Indagine conoscitiva sul calcio professionistico, conclusasi il 24 maggio scorso, disponibile al sito
www.agcm.it, dove tra l’altro si osserva che “le previsioni [del Regolamento agenti Figc, n.d.r.] sono suscettibili di condizionare in maniera significativa la condotta degli agenti di calciatori sul mercato, così da ostacolare le opportunità di confronto concorrenziale tra gli operatori e da favorire comportamenti collusivi”.
(2) Visti gli interessi in gioco, è certo inopportuno rischiare che uno scontro di cartello sia deciso da un errore dovuto all’inesperienza dell’arbitro.
(3) Approvato nel Consiglio dei ministri del 21 luglio scorso.
(4) Nella Indagine sopra citata, l’Agcm indicava quattro punti su cui intervenire: “i) vincoli all’accesso alla professione; ii) standardizzazione dei rapporti contrattuali agente-calciatore; iii) clausole leganti; iv) inidoneità delle attuali previsioni in materia di conflitto di interessi a garantire pari opportunità agli agenti attivi sul mercato”.

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