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Un uovo di Colombo per i flussi migratori

La scelta del Governo di emanare un secondo decreto-flussi per il 2006 permette di accogliere le domande giacenti. E’ una soluzione corretta in attesa di una riforma complessiva della materia. Se le domande possono essere presentate durante tutto il corso dell’anno, e sono considerate pendenti una volta raggiunta la quota fissata, si ottengono molti vantaggi: dalla riduzione del periodo di soggiorno forzatamente illegale allo svuotamento del problema della repressione dell’immigrazione illegale, che dovrebbe riguardare i criminali, più che colf e badanti.

L’ingresso di lavoratori stranieri in Italia è regolato da decreti di programmazione dei flussi, con i quali il Governo fissa il numero massimo di visti per lavoro rilasciabili, per l’anno di riferimento, a persone residenti all’estero (le cosiddette quote). Formalmente, l’ingresso di un lavoratore è autorizzato, entro le quote programmate, sulla base di una richiesta nominativa avanzata dal datore di lavoro soggiornante in Italia. Ciò rende molto difficile, se non impossibile, l’incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro e, quindi, la costituzione stessa del rapporto, almeno per quelle mansioni per le quali non si può prescindere da una preventiva conoscenza tra le parti, come i servizi alla persona.
La conseguenza è che l’immigrazione per lavoro in Italia passa, forzatamente, attraverso un periodo di soggiorno illegale: l’incontro tra le parti avviene per vie informali, il rapporto si costituisce, e per farlo emergere si spera nei futuri decreti di programmazione.

Lavoratori fantasma

Tutto questo ha molti effetti collaterali indesiderati: condizione di soggiorno illegale prolungata per i lavoratori stranieri, rischio di sfruttamento, evasione contributiva, concorrenza aggressiva nei confronti dei lavoratori italiani, invisibilità del fenomeno (percepito, per questo, come socialmente minaccioso), eccetera.
Per di più, non è affatto ovvio che soggiorno e rapporto di lavoro possano approdare alla regolarità con la programmazione dei flussi relativa all’anno successivo: le quote vengono infatti fissate, in modo assai striminzito, sulla base di stime quasi del tutto prive di relazioni col dato reale, e a dispetto di richieste assai più cospicue avanzate da Regioni e associazioni di categoria. Per il 2006 il rapporto tra domande presentate e posti disponibili è stato di tre a uno; negli anni scorsi era ancora più elevato. Le richieste che vengono respinte corrispondono ad altrettanti lavoratori stranieri, di fatto inseriti nel mercato del lavoro, ma formalmente inesistenti. Quando la pressione di questa popolazione inesistente, ma crescente nel tempo, diventa troppo rilevante si procede all’adozione di un provvedimento di sanatoria. Dal 1987 al 2002 ne hanno beneficiato circa un milione e mezzo di stranieri: circa il novanta per cento di quanti sono riusciti ad ottenere un permesso di soggiorno per lavoro.
Le sanatorie, però, hanno due difetti principali: sono oggetto di scontro politico e sono per questo forzatamente rare, costringendo così lavoratori e rapporti di lavoro a restare per lungo tempo nel sommerso. In queste condizioni, il riuscire o meno a rientrare nella quota programmata diventa un fatto capace di cambiare la qualità della vita degli immigrati.
Data l’esiguità delle quote rispetto alla domanda effettiva, fino a oggi si è scelto di ignorare l’effetto “sanante” della programmazione dei flussi, e di curare solo una sorta di equità nell’assegnazione dei pochi posti disponibili. Si è deciso quindi di considerare esaminabili solo le domande avanzate dai datori di lavoro successivamente alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto, e di accoglierle fino a completamento della quota. Superata questa, le domande giacenti vengono semplicemente rigettate. Se, prima, le domande potevano essere presentate solo presso le Direzioni provinciali del lavoro (uno sportello per provincia), negli ultimi due anni si è consentito di spedirle dagli uffici postali (molti sportelli per provincia). Con conseguenti problemi di controllo della regolarità delle operazioni: necessità di sincronizzazione della timbratura oraria; rischio di vendita del posto in fila; spedizione di una molteplicità di domande da parte di uno stesso soggetto, per conto terzi, con esaurimento, in un sol colpo, di molti posti disponibili, e così via.

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La via amministrativa

Il sistema, che pure il Governo di centrodestra ha in parte reso più fluido, è stato criticato duramente da Romano Prodi in campagna elettorale, durante il primo dei confronti televisivi diretti con Silvio Berlusconi. Dunque, dal Governo di centrosinistra ci si potrebbe aspettare una revisione radicale della normativa. È verosimile, però, che la maggioranza non abbia né la forza né la coesione interna per affrontare una riforma così rischiosa in termini di consenso elettorale. Un miglioramento drastico della situazione si può però ottenere per via puramente amministrativa. In piena conformità con le norme di legge (articolo 21, commi 4 bis e 7, decreto legislativo 286/1998), è sufficiente lasciare che le domande siano presentate durante tutto il corso dell’anno, e che siano considerate pendenti una volta raggiunta la quota fissata dall’ultimo decreto di programmazione. Il Governo, al momento di emanare il successivo (volendo, ne può emanare diversi in uno stesso anno), valuta il fabbisogno di manodopera (anche) in base al numero di domande pendenti. Ha così una misura diretta del dato, e non deve affidarsi alle capacità divinatorie dei tecnici. Può anche stabilire di fissare una quota più bassa di quel numero. Ma deve farlo per una ragione valida; soprattutto perché sa – e tutti lo sanno – che si tratta di lavoratori già in Italia e già inseriti nel mercato del lavoro: negare loro l’accesso alla legalità non significherebbe affatto limitare gli ingressi.
Si avrebbero molti vantaggi, in attesa di una riforma: riduzione a un anno o poco più del periodo di soggiorno forzatamente illegale; nessuna necessità di mettere su commissioni e gruppi tecnici; nessuna lotta per la sopravvivenza davanti agli uffici postali; svuotamento del problema della repressione dell’immigrazione illegale (le forze e gli strumenti esistenti potrebbero essere destinati al contrasto dei criminali, più che di colf e badanti). Basta disporre che le poste mettano a disposizione in modo ininterrotto i moduli per la presentazione delle domande o, meglio ancora, che si possano usare, per questo, i moduli scaricati dal sito del ministero dell’Interno.
La scelta del Governo di emanare un secondo decreto-flussi per il 2006 corrisponde esattamente a quanto qui proposto, vale a dire all’accoglimento delle domande giacenti. È superfluo, allora, il suggerimento contenuto in questo articolo? Niente affatto. Si applica, intanto, alle domande che saranno presentate, a quota esaurita, da oggi in poi.

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Sommario 19 luglio 2006

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Per la neutralità della rete

  1. Alberto

    Vorrei segnalare una piccola possibilità accessoria, che potrebbe affiancarsi a quelle da voi argomentate.
    Perché non fare qualcosa di simile alla Green Card americana? Potremmo estrarre a sorte 2000 permessi all’anno con biglietto aereo e corso di italiano in omaggio. Questi permessi sarebbero quinquennali non rinnovabili, a meno che uno trovi un lavoro stabile.
    Le estrazioni potrebbero essere pilotate, in modo da favorire certi Paesi e sfavorirne altri. Logicamente, i Paesi favoriti sarebbero quelli che collaborano di più con l’Italia. Infine, potrebbero essere date quote di precedenza, nelle estrazioni, a persone con eccellenze (ad esempio ingegneri indiani o cinesi) o che svolgono lavori che ora mancano (tecnici specializzati).

    • La redazione

      Le Sua proposta richiede una riforma della normativa. Credo sia una proposta intelligente, a condizione – come Lei stesso sottolinea – che si guardi all’istituto della Green Card come ad una via complementare, e non alternativa, ad altre forme di ingresso piu’ adatte ad una immigrazione meno qualificata, ma numericamente assi piu’ cospicua. Un’obiezione: se si tratta di immigrazione qualificata, perche’ farla regolare da un meccanismo aleatorio come il sorteggio?

  2. Alberto

    Ringrazio dell’attenzione riservata alla mia proposta. Intendo rispondere all’obiezione.
    Credo che i meccanismi burocratici aleatori, nei confronti degli stranieri, siano migliori perché sono meno difficili da mettere in pratica. Richiedono meno burocrazia, meno spese, meno graduatorie, meno commissioni che ne decidono i parametri…
    Direi che il ragionamento sarebbe questo: sei un giovane cinese o indiano laureato in una materia spendibile con un voto accettabile? Fai domanda al consolato italiano e, se sei fortunato, vinci un viaggio in Italia (di andata E ritorno), un corso di italiano per sei mesi, un po’ di soldi ed il permesso di soggiorno di 5 anni. Il lavoro che ti trovi è affar tuo.
    Giriamo il ragionamento: sei un’azienda manifatturiera che non trova un tecnico che programmi i tuoi PLC o i tuoi microcontrollori (le aziende italiane faticano a trovarne, so che sembra strano ma è così)? Beh, cerca fra questi cinesi o indiani, fai il colloquio di persona, scegli quello che fa per te e scarti gli altri. Per l’azienda sarebbe ottimo.
    Inoltre, ritengo che molti giovani neolaureati americani, giapponesi o canadesi gradirebbero lavorare in Italia qualche anno, anche quasi gratis. Oggigiorno devono fare domande in programmi di scambio difficili da gestire. Se alcuni di loro venissero in Italia potrebbero trovarsi il lavoro che cercano senza grossi problemi (anche in un ristorante, se lo desiderassero, per aiutare i turisti stranieri che non sanno mai cosa ordinare).
    Avremmo grossi vantaggi, in quanto questi ragazzi conoscerebbero e amerebbero l’Italia. Invece forziamo le aziende a assumere prima che i lavoratori vengano in Italia… ma come fanno, se non lo conoscono?

    • La redazione

      D’accordo sulla ricerca di soluzioni non costose. Nel caso italiano, pero’, non si vede quale sia la necessita’ di accogliere certe domande di soggiorno per lavoro, respingendone altre. Le cose, dal 1986 ad oggi sono andate cosi’: ammissione formalmente striminzita; inserimento di stranieri nel mercato del lavoro molto piu’ cospicuo di quanto formalmente ammesso; sanatoria ex post delle situazioni reatesi in modo illegale.

      Se stiamo pensando alla porzione di immigrazione ad alta
      qualificazione, perche’ aggiungere l’elemento fortuna, quando si puo’ fare prevalere quello di merito?

      Questo dell’immigrazione giapponese o canadese o americana e’ comunque un problema di scarso rilievo. Niente in contrario che per questo si usi il meccanismo lotteria. La mia attenzione e’ pero’ rivolta all’immigrazione “vera”.

      La pretesa di un incontro a distanza tra domanda e offerta e’ il baco della normativa sull’immigrazione, e risale al 1986. La soluzione richiede una riforma legislativa, incardinata sulla possibilita’ di ingresso per ricerca di lavoro per quesgli stranieri che dimostrino di disporre di disponibilita’ di mezzi di sostentamento propri o garantiti da terzi.

      Cordiali saluti
      sergio briguglio

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