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Calcio: una clausola contro la beffa

Non sono cambiate le regole del calcio e prevale un atteggiamento assolutorio nei confronti dei principali protagonisti di calciopoli. Bisogna trovare un modo di punire i dirigenti colpevoli degli illeciti sportivi. Per evitare di dover coinvolgere la giustizia ordinaria e intentare lunghe e incerte cause patrimoniali, si potrebbero inserire clausole nei contratti di lavoro stipulati tra gli amministratori e i club: se la società è punita dalla giustizia sportiva per fatti commessi dai suoi dirigenti, questi dovranno versare una penale alla società, graduata in base all’entità della sanzione comminata dalla giustizia sportiva. Almeno non saranno i soli tifosi a pagare, ma anche chi ha commesso gli illeciti.

“Juventus e Milan possono condizionare a loro vantaggio le partite scegliendo arbitri mediocri, abituati a squadre minori, e accondiscendenti (almeno nel loro subconscio) nei confronti dei grandi clubs (..). Altri arbitri che hanno preso decisioni contro la Juve si sono visti relegati ad arbitrare partite di serie B. (…) Solo in poche occasioni alcuni di questi sordidi fatti sono emersi alla luce del sole. (…) La cosa più scioccante è che spesso la Juventus ha vinto il campionato alla fine della stagione, sulla base di un qualche arbitraggio discutibile. (…) E anche se la Juve commetteva più falli di ogni altra squadra, riceveva il minor numero di cartellini rossi, una regolarità statistica alquanto sospetta.(…)”

Sembra il rapporto di un giudice sportivo. Invece si tratti di stralci di un libro scritto due anni fa (1) , in epoca non sospetta, da un giornalista americano, Franklin Foer, in passato collaboratore del New York Times e del Washington Post. Fa riflettere per due ragioni: i) dimostra che calciopoli era evidente tra gli addetti ai lavori e, ii) induce a pensare che forse una stampa sportiva più indipendente avrebbe potuto giocare un ruolo importante nel denunciare la corruzione nel calcio. Senza l’intervento della magistratura e le intercettazioni, gli illeciti sportivi probabilmente non sarebbero mai venuti a galla.
Il mondo del calcio non ha saputo in tutti questi anni isolare, denunciare e reprimere gli illeciti di cui era testimone. Senza che si cambino le regole, non lo sarà neanche in futuro. Non ha gli anticorpi per farlo. Perché chi commette gli illeciti, non paga. Luciano Moggi ha ricevuto nello scorso esercizio, quello in cui è maturato lo scandalo, 2 milioni e mezzo di euro dalla Juventus! E la Juventus ha riconosciuto 970 milioni alla GEA World che fa capo a suo figlio, Alessandro Moggi, per servizi di consulenza. Pagano solo i tifosi, quelli destinati comunque a sostenere la squadra. Non c’è neanche sanzione sociale contro chi è accusato di avere compiuto gli illeciti. Al contrario, Luciano Moggi può permettersi oggi di avere una rubrica tutta per sé su “Libero” da cui invita i lettori ad accettare gli errori degli arbitri!

Non devono pagare solo i tifosi

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Solo i tifosi pagano le calciopoli. Non sanno smettere di seguire la loro squadra. Scoprono che avevano sofferto, che la loro squadra era stata retrocessa per favorire irregolarmente un’altra squadra. Oppure apprendono di aver gioito per titoli conquistati e partite vinte con l’aiuto di pratiche illecite. Questi tifosi non si vedranno mai restituiti i soldi da loro spesi per i biglietti dello stadio, le trasferte o l’abbonamento alla pay per view. E sono gli unici ad essere danneggiati anche dalle (poche) sanzioni prese dalla giustizia sportiva: le retrocessioni e i punti di penalità tolgono interesse al campionato e fanno fuggire altrove i propri giocatori preferiti.
Gli ex amministratori delle società, i veri responsabili degli atti illeciti (dal punto di vista della giustizia sportiva) anche questa volta se la sono cavata benissimo. Sono sì fuori dal sistema calcio e senza telefonino aziendale, ma non sembra che risponderanno economicamente (se non per cifre irrisorie) per il loro comportamento. Dimettendosi dalle loro cariche, hanno determinato automaticamente la loro uscita dall’alveo della giustizia sportiva. Nessuno parla di responsabilità patrimoniale. Non vi è infatti alcuna traccia di iniziative di responsabilità nei confronti degli amministratori. Si tratta di procedimenti particolarmente difficili, e non sarebbe nemmeno chiaro se gli atti dei singoli amministratori potrebbero essere considerati illeciti da un giudice. E’ difficile quantificare, una volta compiuto l’illecito, il danno patrimoniale derivante dalla retrocessione o da ogni punto in meno. E poi, anche se tali iniziative fossero messe in atto, gli amministratori probabilmente finirebbero per dire che le società stesse erano in realtà al corrente di tutte le telefonate. Insomma, quello della responsabilità patrimoniale degli amministratori sembra essere una strada che nessuna società vuole intraprendere. Di qui l’impunità degli amministratori. Per i tifosi, oltre il danno, c’è la beffa.

Una clausola nel contratto

C’è un modo per evitare almeno la beffa, facendo sì che gli amministratori delle società che intraprendono pratiche illecite dal punto di vista della giustizia sportiva siano, almeno in parte, sanzionati: si tratta di pretendere che i contratti di lavoro stipulati tra le singole società di calcio e gli amministratori contengano apposite penali legate ad atti di illecito sportivo.
In sostanza, il contratto dovrebbe contemplare la possibilità che la società venga punita dalla giustizia sportiva per fatti illeciti commessi dagli amministratori. A diverse sanzioni dovrebbero corrispondere diverse penali. Se la squadra del cuore dovesse essere retrocessa per colpa degli amministratori, questi ultimi dovrebbero pagare alla società milioni e milioni di euro, senza contenzioso sulla responsabilità per il danno. Il contratto dovrebbe, in altre parole, contenere una clausola in cui si stabilisce che un comportamento illecito di un dirigente – sancito da una decisione definitiva della giustizia sportiva – sarà sanzionato, ad esempio, con 1 milione di euro per la retrocessione, 100.000 euro per ogni punto di penalità, etc…E’ un modo di risolvere ex-ante il problema della quantificazione dell’illecito.

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Possibili obiezioni alla proposta

Primo, si può obiettare che il dirigente in questione può anche aver concorso all’illecito e quindi non è giusto che paghi solo lui. In questo caso la sanzione potrebbe essere proporzionata al suo grado di coinvolgimento e la FIGC potrebbe prescrivere ai giudici sportivi di indicare chiaramente la “percentuale” di responsabilità (ad esempio, Moggi 60%, Giraudo 40%). La peculiarità dell’ordinamento sportivo faciliterebbe la diffusione di tali clausole, se vi fosse consenso sulla loro utilità: la FIGC potrebbe semplicemente imporle, tramite un’apposita modifica delle NOIF.
Secondo, i dirigenti posti di fronte a contratti capestro potrebbero rifarsi richiedendo compensi più alti. Vero, ma obbligando le società (anche quelle non quotate) a rendere noti i compensi dei loro dirigenti, si avrebbe un freno a questo fenomeno. Dopotutto, una società che paga tanto il proprio amministratore per compensarlo per la presenza di queste penali confessa che in casa sua gli illeciti, se non proprio tollerati, non vengono identificati e prevenuti.
Terzo, chiaramente, qualsiasi tipo di responsabilità patrimoniale è impotente di fronte all’incapienza del patrimonio del debitore: basterebbe che il dirigente di turno intestasse tutto a moglie e figli (a meno che siano essi stessi agenti o dirigenti sportivi ….), per ridurre la penale. Ma questo è un limite che chiaramente si pone di fronte a qualsiasi provvedimento di giustizia civile, non solo sportiva. Le clausole di cui sopra non sono alternative al possibile coinvolgimento della giustizia penale. Bene avere le clausole e, al contempo, rendere più incisive le sanzioni per frode sportiva, che già ci sono.
Quarta, e ultima obiezione. Invece delle clausole, non sarebbe meglio prescrivere alle società di dotarsi di modelli di organizzazione volti alla prevenzione delle frodi? La clausola contrattuale non esclude affatto questa possibilità. Al contrario, incoraggia comportamenti di prevenzione dell’illecito. Infatti, una volta firmato il contratto, si rompe la collusione fra società e amministratore nell’avvantaggiarsi dell’illecito. Dopo aver sottoscritto queste penali, c’è da giurare che i dirigenti utilizzerebbero il telefonino con molta più cautela.
Morale: con la clausola noi tifosi continueremo comunque a soffrire; ma almeno, la prossima volta, il conto del cellulare lo pagheranno anche gli amministratori.

1) How soccer explains the world : an unlikely theory of globalization. HarperCollins, 2004

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  1. michele caronti

    Secondo me all’argomento oggetto di discussione andrebbero applicate altre statistiche. A mio modo di vedere esse renderebbero tutto molto piu’ interessante anche se, lo ammetto, piu’ sconveniente e meno “politically correct”. Mi spiego: il mondo del calcio italiano e’ uno delle poche “produzioni” locali di cui possiamo (o potevamo prima dello sciagurato intervento dei vari borellini…) andare fieri nel mondo. Calcoliamo quante coppe internazionali abbia vinto il Milan o la Juve o le altre sqaudre e compariamole con gli altri Paesi. Non so se ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando, un dominio pressoche’ assoluto che dura (durava) ormai da decenni. Per non dire che il calcio italiano era forse l’unico settore della vita economica dove il rapporto inflow/outflow era a ns. favore (non mi sembra che i migliori cervelli facciano a gara a venire in Italia, ma i migliori “piedi” per tanti anni ci sono sicuramente venuti). Ne desumo, senza avere alcun phd, mi rendo conto, ma sulla base di tanto senso comune, che tanto pirla i dirigenti e manager di questo settore non dovevano poi essere. Andiamo poi a vedere i ratio di efficienza della c.d giustizia ordinaria il cui intervento tanto demagogicamente si invoca: lunghezza media dei proceesi in Italia, ritorno a delinquere dei criminali ritornati in liberta’ prima dello sconto della pena etc. etc. Beh, per me e’ evidente chi e’ da condannare e chi no. Ma sono sicuro che questo non lo pubblicherete.

  2. Michele

    Non entro nel merito delle proposte di Boeri per contrastare le degenerazioni di Calciopoli. Mi fa una qualche impressione, però, il presupposto che siano i tifosi quelli che maggiormente hanno pagato e pagano ciò che è avvenuto.
    Da quanto sento e vedo nei talk show televisivi e nelle mail che i tifosi vi scrivono, tutto sta girando come prima, solo con qualche recriminazione in più, buona – del resto – per far spettacolo (nel senso di aggiungere elementi di contesa ai confronti da Bar sport). La Compagnia di giro che c’era, insomma, è lì tutta (persino Biscardi ecc.). Non credo sia realistico pensare ai tifosi come a difensori di un’etica dello sport percepita in maniera così acuta da produrre una sorta di danno patrimoniale e biologico. Bisognerebbe che essi, prima che legati alla propria squadra indipendentemente da ogni considerazione razionale, avvertissero quanto meno l’immoralità del vincere – e non solo del perdere – con manipolazioni varie. Il che, per la maggioranza dei tifosi, credo proprio non sia. Chi ci ha perso davvero, invece, sono altri soggetti: l’erario, grazie all’elusione ed evasione fiscale attuata dalle squadre (complici a volte i giocatori), gli scommettitori legali, il senso dello stato che deve rassegnarsi ancora una volta a veder impuniti protagonisti di uno scandalo calcistico che sono spesso gli stessi che dirigono importanti aziende e istituzioni private e pubbliche.
    Se si sentono danneggiati, i tifosi, si consolino con un brandy Stock (brandy, non option), come diceva una nota pubblicità che intervallava le trasmissioni telefoniche sul calcio. E’ tutto quel che gli si può onestamente concedere, visto che – pur di vincere – son generalmente disposti a tutto e son già pronti ora a recitar la stessa parte di prima.

  3. claudio

    Vero:tuttavia si rischiano di apgare le conseguenze di una gestione della vicenda a dir poco improvvida.La foga giustizialista di Rossi e Borrelli ha prodotto sentenze assurde illogiche immotivate facilmnte contestabili in punto di diritto e di fatto dai mestatori che sono ancora tutti lì. “L’organizzazione del Calcio”era affidata con il tacito consenso di tutti a Moggi e Galliani con Moratti a pietire i diritti televisivi.Il dramma è che con le regole vigenti la maggior parte delle attività di Moggi di semplice tipo lobbistico erano lecite (ben ha fotografato la situazione Ostellini in un recente fondo sul Corriere) e del tutto tollerate da tutti i vertivi (Federazione Lega Coni) A Moggi si consentiva tale attività perchè altri si potevano avavlere di amicizie politiche (vedi spalma debiti,)che risolvevano le questioni addirittura alivello normativo.”L’organizzazione del calcio era tale che tutto si teneva:secondo lei se il Ministro dell’interni si rivolge a Moggi per la Sassari Torres a che livello è la acquiescenza con i metodi moggiani? Allora aver colpito solo alcuni non è giustizia ma il suo esatto contrario.Si doveva:non affrettare le decisioni;solgere procedimenti meditati;denunciare “l’organizzazione calcio”;prendere atto che le regole vigenti sono inadeguate; formularne di adeguate alle nuove fattispecie;adottare i provvedimenti sanzionatori che oggettivamente potevano essere adottati (senza far diventare una reiterata violazione dell’art. 1 violazione dell’art. 6 – sarebbe come condannare per omicidio consumato taluno che ha minacciato di morte un altro sepur più volte). In realtà Rossi hanno agito sotto l’impulso mediatico: adesso il rischio è che si cambi qualcosa perchè tutto resti com’è….
    Claudio Poli

  4. Adriano Sala

    C’è una soluzione semplice alla beffa del calcio: far pagare le tasse alle squadre di calcio e chi non ha soldi fallisce. Le squadre di calcio sono società per azioni, lo hanno voluto diventare, mica glielo aveva ordinato il medico. E allora siano soggette alle leggi che regolano le SpA. Vorrei vedere la risposta della Agenzia delle Entrate ad una SpA che chiede di diluire il debito fiscale in dieci anni! E per di più non paga nemmeno le tasse correnti.

    Cordialità

  5. Giulio Zotteri

    Nel mese di Febbraio scorso ho scritto un tema d’esame sull’analisi di regressione applicata alla Juventus per mostrare con i dati riferiti al campionato allora in corso che il processo casuale di valutazione di quella squadra presentava delle anomalie statistiche…..
    Il numero di ammonizioni ricevute è incompatibile con il numero di falli fischiati (statisticamente al 5%): quindi o fischiano dei falli a vuoto o non davano tutti i gialli che dovrebbero arrivare. Il numero di ammonizioni effettivo era di 36 a fronte di un numero atteso condizionato al numero di falli pari 63,5. Insomma proprio come sostieneva il Professor Boeri in un suo articolo non ci volevano le intercettazioni telefoniche bastava qualcuno che avesse voglia di vedere.
    E i dati erano e sono disponibili on line.
    Giulio Zotteri
    Professore Associato Politecnico di Torino

  6. Sante

    Moggi è un grande tecnico selezionatore e non ho mai pensato che la Juve fosse al difuori di tutto (il processo di cui si è tenuto conto dell’opinione pubblica e non delle prove che con un anno e mezzo di intercettazioni non si sono potute acquisire), ma ha pagato il tifoso e la società con la retrocessione, debiti e impopolarità che ancora va avanti.
    Moggi con quello che ci ha dato e le sue capacità, mi piacerebbe rivederlo li, ma è un personaggio scomodo ora, lui fa bene a difendere il figlio ma non può addossarci a noi e alla Juve ogni colpa si assuma anche qualche responsabilità.
    Chissà per quanto tempo noi subiremo frecciatine e bastonate ma le nuove rivelazioni sulle altre società porteranno a qualche vera penalità o solo a qualche multa. Credo di sapere la fine del racconto.

  7. Fichera Giancarlo

    Calciopoli è ancora tutto da dimostrare. L’unico fatto certo sono le telefonate ma non è affatto dimostrato che queste abbiano prodotto comportamenti dolosi. I processi sportivi sono stati una vera farsa, condotte con procedure illegali che hanno negato il diritto alle difese di produrre prove a discarico. I processi penali in corso si risolveranno con delle assoluzioni perchè i pm hanno prodotto solo indizi e non prove. Tra l’altro le procure non hanno mai richiesto neanche una perizia tecnica calcistica che dimostrasse l’eventuale dolo degli arbitri "telefonati". Ma sia ben chiaro che i dirigenti di tutte le squadre hanno sempre telefonato agli arbitri, chi più chi meno. Il processo penale dovrà, comunque, porsi un problema di fondo che non è stato ancora risolto. Se un arbitro è un pubblico ufficiale, come sembra, allora non è perseguibile per le decisioni discrezionali che assume e una partita di calcio è tutta discrezionale. Se è così sarà impossibile dimostrare il dolo e, di conseguenza, anche calciopoli. Seguo il calcio da 50 anni: gli arbitri hanno sempre sbagliato a favore delle grandi squadre, ma i giornalisti e il pubblico se ne sono accorti solo adesso!

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