Lavoce.info

Si fa presto a dire media company

Le media company nascono perché le aziende di telecomunicazioni fisse e mobili cercano di offrire nuovi servizi che sfruttino la crescente capacità di trasporto della rete in segmenti dove la concorrenza di prezzo è meno forte. I contenuti video si prestano bene allo scopo. Ma i ricavi delle Iptv derivano quasi esclusivamente dalla sottoscrizione degli abbonamenti. Sono quindi decisamente inferiori a quelli della telefonia fissa. La riconversione richiede poi grandi sforzi organizzativi e culturali per le competenze richieste.

Il piano di ristrutturazione approvato dal consiglio di amministrazione di Telecom Italia sembra molto influenzato da ragioni finanziarie. Tuttavia, può essere utile chiarire i possibili contorni della media company indicata come direzione di sviluppo qualora la società procedesse alla cessione della telefonia mobile e della rete fissa.

Il sistema Iptv

Gran parte delle aziende di telecomunicazioni fisse e mobili cercano di aggiungere alla voce e alla trasmissione dati, ulteriori servizi che usino più intensamente la crescente capacità di trasporto della rete, entrando così in segmenti dove la concorrenza di prezzo sia meno forte e che consentano di aumentare il ricavo per abbonato. I contenuti video si prestano bene a questo scopo perché richiedono molta larghezza di banda, molta varietà di assortimento e hanno una domanda crescente. La strada tipica percorsa da numerose imprese di telecomunicazione è quella di costruire un sistema di Iptv (televisione via Internet) che offra un servizio di contenuti a pagamento simile a quello proposto dalle televisioni via cavo o, in parte, a quello delle televisioni via satellite.
operatore di rete acquista sul mercato intermedio una cinquantina di canali e li rivende ai propri abbonati, in parte con un servizio “basic” che include un certo numero di canali, in parte come canali “premium” opzionali. È esattamente il modello di business seguito da Fastweb ed è abbastanza simile all’attività di Sky.
Ai canali del bouquet vengono inoltre aggiunti servizi video on demand, mediante i quali i consumatori acquistano i contenuti, generalmente film o avvenimenti sportivi, titolo per titolo, con prezzi e termini contrattuali simili a quelli dell’affitto di un dvd. Questa componente dell’attività, tuttavia, ha un peso molto limitato sul fatturato, generalmente inferiore al 5 per cento. I consumatori acquistano infatti mediamente uno-due eventi al mese perché i prezzi unitari (5-6 euro) sono molto superiori al costo orario pagato per i canali del bouquet (30-40 centesimi): risulterebbe quindi proibitivo acquisire il grosso dei propri consumi televisivi in modalità on demand.
La Iptv basa dunque gran parte dei propri introiti sulla sottoscrizione degli abbonamenti: anche immaginando una crescita veloce, con il raggiungimento di 3 milioni di abbonati, traguardo che Sky ha raggiunto in dieci anni, i ricavi di una Iptv sarebbero inferiori al 10 per cento della sola telefonia fissa.

Leggi anche:  Italia al bivio: intervista a Romano Prodi*

Competenze e concorrenza

Le competenze richieste in una media company quale quella che stiamo descrivendo sono molto diverse da quelle tipiche di una società di telecomunicazioni, e la riconversione richiede grandi sforzi organizzativi e culturali. L’avventura di La7 che in sei anni è rimasta attorno al 2 per cento di share, lo stesso con cui era arrivata nel gruppo Telecom Italia, dimostra che gestire la componente editoriale è meno facile di quello che appare a prima vista.
Nel modello statunitense i canali premium di film e sport sono assemblati da editori specializzati, separati dalle piattaforme via cavo che li acquistano. In Europa prevale l’integrazione verticale: le piattaforme per i canali premium acquistano direttamente i diritti di film e sport invece di intermediare canali, mentre nei più numerosi canali basic prevale l’acquisto esterno, cioè l’inserimento nel pacchetto della programmazione dei canali (solitamente offerti anche in chiaro via etere) più popolari.
La Iptv compete con le altre piattaforme di pay-tv per attrarre gli abbonati, mentre la competizione con le televisioni generaliste sul terreno della audience e degli investimenti pubblicitari è assai più limitata, proprio perché raggiunge in media quote di telespettatori molto basse.
La crescita di una media company di questa natura ha un impatto relativamente limitato sulla concorrenza nei mercati dei media. Ad esempio, abbassa la concentrazione del mercato televisivo solo se si considerano assieme ricavi di natura diversa, come quelli pubblicitari e quelli degli abbonamenti. Se si guarda agli ascolti, l’impatto è molto più basso. Infatti nelle piattaforme di pay-tv, la maggior parte degli ascolti viene realizzata con i canali tradizionali della televisione generalista, che solitamente fanno parte del bouquet base. Alcuni eventi (ad esempio incontri sportivi) possono raggiungere punte di audience anche rilevanti, ma rappresentano un piccolo intervallo temporale all’interno della programmazione.
Dal punto di vista degli scambi con l’estero, lo sviluppo di una pay-tv retail si traduce in un aumento delle importazioni dai principali fornitori di contenuti statunitensi, poiché l’industria audivisiva nazionale, abituata a lavorare come contoterzista per i grandi distributori tradizionali, non ha né le dimensioni né la soggettività necessaria per sfruttare e riempire i nuovi canali disponibili. Per rafforzarla forse occorre abbandonare atteggiamenti regolatori sostanzialmente protezionisti come le quote, per guardare all’organizzazione del mercato dei diritti. Ad esempio, limitando la possibilità dei distributori di trattenere in esclusiva i diritti sui programmi che non utilizzano.
In tutto il mondo le imprese dei media sono più piccole di quelle di telecomunicazioni, hanno meno investimenti fissi ed esternalizzano in modo flessibile molte più attività. Un’impresa dei media si avvicina a una dimensione di una decina di miliardi di euro generalmente solo attraverso la presenza in diversi grandi mercati nazionali.
La dimensione economica del gruppo Telecom Italia non sembra quindi, a prima vista, comparabile con sua riconversione in una media company.

Leggi anche:  Fin dove arriva la responsabilità delle piattaforme

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Fin dove arriva la responsabilità delle piattaforme

Precedente

Oltre il taxi: Il traffico da problema a opportunità di mercato

Successivo

Un rientro dal lato sbagliato

  1. Verio Massari

    Condivido l’analisi integralmente per quanto riguarda la possibile e difficile evoluzione di TI verso la media company. Tuttavia l’articolo assume un modello “unico” di IPTV pay , senza sottolineare i rischi ancor più grandi che ne vengono alla minacciata Neutralità della Rete. La TV su “una Internet aperta” , come processo virale e dal basso, anche in modalità wireless di accesso, sarà un’altra cosa e forse vedrà la sua luce ben prima di una Media Company di TI. A questo riguardo, la vera questione economica decisiva nel settore della Convergenza, che crea occupazione e sviluppo, è la possibilità che gli Autori/Editori si moltiplichino su una rete non proprietaria, con diritti gestiti in modo originale ed interoperabile (vedere la proposta di Chiariglione su http://www.dmin.it) tra più piattaforme di Larga Banda.
    Una, cento, mille TV su IP (alcune degli Editori nazionali maggiori) non sono la miglior risposta competitiva all’attuale soffocante oligopolio di SKY, ALICE TV e Fastweb su tutto ciò che non è ETERE?
    Spero che LA VOCE dia ascolto ad una linea di spinta di nuovi possibili mercati della Convergenza, poi se TI ce la fa buon per loro!

  2. Fabio Cantoni

    L’IP TV rischia di essere per gli operatori di telecomunicazioni “fisse”, quello che è stato per gli operatori mobili l’UMTS: un fiasco finanziario e commerciale.
    Scondo un’indagine di Accenture (www.accenture.com/iptvmonitor1) recentemente svolta insieme alla Economist Intelligence Business Unit, la maggior parte dei dirigenti del settore Media e Telecom non si aspetta a breve termine ricavi significativi dalla IP TV. Emerge anche una carenza di strategie di marketing, dettata dall’incertezza del successo di tali servizi multimediali. Al momento, la maggior parte degli operatori che offrono IP TV, lo fanno più per trattenere gli esistenti clienti fonia/ADSL, ed evitare il churn, che non per sviluppare nuove fonti di ricavi.
    Le perplessità sono confermate da un altro report della Forrester (www.forrester.com), che addiruttura ammonisce gli incumbent europei a non lasciarsi trascinare dalla concorrenza ad investimenti ingenti nel mercato del triple play. Addirittura viene predetta una “cumulative per-subscriber loss of €4,418 in year 10, thanks to low revenue growth and massive backhaul costs”.
    La cosa che sorprende è che tali dubbi vengano, non tanto dagli opertaori del settore, ma da società di consulenza che tradizionalmente tendono a sopravalutare le vision ottimistiche (UMTS docet…). L’esperienza ci insegna che il trapianto di vecchi contenuti e business model su nuove tecnologie non ha mai avuto grande successo. Perchè il consumatore dovrebbe spendere decine di euro di abbonamento mensile, quando per un paio può comodamente noleggiare il DVD che preferisce, semplice ed affidabile?

    • La redazione

      Il tema della rete aperta è molto importante specie se collegato ad una riflessione più generale sul tema dei diritti e dell’esclusiva.
      Mi sembra però che le proliferazioni dal basso favoriscano la comparsa di grandi quantità di contenuti, ma non necessariamente nel breve periodo una modifica sostanziale dei consumi (le 3-4 ore al giorno di televisione) verso queste forme.
      L’innovazione tecnologica abbassa drasticamente le economie di scala tecniche (costo delle telecamere e dell’editing video) e mette a disposizione di tutti gli aspiranti autori la possibilità di esprimenrsi, ma i costi dei programmi sono poco legati alle componenti tecniche quanto al costo del lavoro dei numerosi specialisti coinvolti. In molti casi le produzioni artigianali possono fornire video piacevoli e comporre programmi anche di successo, ma per il momento non c’è all’orizzonte una
      trasformazione strutturale della filiera complessiva di produzione dei contenuti.
      Le cose naturalmente cambiano rapidamente e anche nel video i contenuti prodotti dagli utenti e da autori indipendenti possono assumere importanza crescente.
      Per la tv su una internet aperta manca ancora un modello di business che renda possibile la concentrazione di energie nella produzione di programmi di alto costo.

  3. Stefano Lacentra

    Mi permetto di scrivere alcuni commenti all’autore ed ai commentatori

    [Q] Perchè il consumatore dovrebbe spendere decine di euro di abbonamento mensile, quando per un paio può comodamente noleggiare il DVD che preferisce, semplice ed affidabile?

    [A] Perchè è più comodo nel processo di selezione, decisione e consumo? Puo’ essere una delle motivazioni vista la parcellizazione del tempo libero cui siamo tutti sottoposti in seguito ai ritmi cui siamo sottoposti ed ai molteplici ruoli che ricopriamo ogni giorno.

    [Commento] la maggior parte degli operatori che offrono IP TV, lo fanno più per trattenere gli esistenti clienti fonia/ADSL, ed evitare il churn, che non per sviluppare nuove fonti di ricavi

    [Considerazione] Concordo in pieno. Ma qui riemerge il tema proposto dall’autore sulle competenze richieste da una media company e da una telco. Forse in termini di gestione sarebbe proponibile applicare il concetto di Team HeavyWeight. Cioè creare delle unità di business ad-hoc multifunzionali che introducano nuovi modelli di business e processi e che avendo costi di struttura inferiori possano ben plasmarsi sul mercato IPTV sia in termini operativi sia in termini di ricavi (certo per la grande Telco il mkt IPTV è nocciolina in termini di crescita del fatturato ma rappresenta un potenziale futuro).

    [Commento] L’esperienza ci insegna che il trapianto di vecchi contenuti e business model su nuove tecnologie non ha mai avuto grande successo.

    [Considerazione] Concordo anche con quanto sopra esposto. Lo abbiamo più che sperimentato sul web e anche sul mobile. Forse è necessario tempo per poter effettuare analisi di circostanze d’uso del nuovo mezzo per comprendere cosa e comepossa “andare” e cosa invece no. Forse cambieranno modalità e tempi di produzione anche grazie all’avanzamento tecnologico e alla riduzione dei costi di impianto.

    Vedo probabile, in caso di RETE APERTA GESTITA, una situazione simile a quella vista con radio e tv private agli albori.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén