A prima vista, sembra che in Italia e in genere nel Sud Europa, le donne godano di una maggiore parità retributiva rispetto agli uomini. Ma dove le differenze salariali sono elevate, come in Usa e Regno Unito, i differenziali nei tassi di occupazione sono fra i più bassi dei paesi Ocse. Perché il vantaggio delle italiane è solo apparente e scompare quando si tiene conto del problema della selezione nella forza lavoro. Da approfondire il ruolo delle norme di comportamento sociale e dei pregiudizi verso la domanda e l’offerta di lavoro femminile.

Negli ultimi decenni le donne hanno fatto notevoli progressi nel mercato del lavoro, rappresentati soprattutto dall’aumento dei tassi di occupazione femminile e dalla riduzione dei differenziali salariali rispetto agli uomini . Ciò nonostante, esiste un’importante eterogeneità nella posizione lavorativa delle donne all’interno dei paesi Ocse. Per esempio, è nota la varietà a livello internazionale dei differenziali salariali fra uomini e donne. Basti pensare che negli Stati Uniti e nel Regno Unito le donne in media guadagnano il 25-30 per cento in meno degli uomini, mentre questa cifra scende al 10-20 per cento in vari paesi del Centro e Nord Europa, fino a un 10 per cento in Italia e negli altri paesi del Sud Europa. Questa osservazione potrebbe indurre all’ipotesi che le politiche di pari opportunità salariale introdotte a partire dai primi anni Settanta abbiano portato ai risultati sperati in Italia e fallito nei paesi anglosassoni. Il nostro lavoro dimostra che è una conclusione affrettata.

Sono davvero pari opportunità?

Meno noto è infatti che esiste una relazione inversa tra differenziali salariali e i corrispondenti differenziali tra tassi di occupazione di uomini e donne. Là dove i differenziali salariali sono elevati, come in Usa e Regno Unito, i differenziali nei tassi di occupazione sono fra i più bassi osservati nei paesi Ocse – intorno ai 10 punti percentuali. All’estremo opposto troviamo l’Italia e gli altri paesi del Sud Europa, dove, a fronte di differenze salariali ridotte, si osservano differenziali nei tassi di occupazione fra uomini e donne elevatissimi, fino a raggiungere in certi casi i 40 punti percentuali. In Italia, il 45 per cento delle donne in età lavorativa ha attualmente un’occupazione, a fronte di tassi occupazionali maschili intorno al 75 per cento. (1)
Questo tipo di evidenza empirica internazionale è potenzialmente riconducibile a fenomeni di selezione nella forza lavoro. In particolare, se le donne occupate hanno in media caratteristiche con maggiori tassi di rendimento sul mercato del lavoro (per esempio, livelli di istruzione più elevati), paesi con bassi tassi di occupazione femminile finiscono per avere differenziali salariali minori, semplicemente perché le donne con bassi salari potenziali non lavorano. (2)

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La distribuzione potenziale dei salari

Per corroborare questa ipotesi occorre stimare i differenziali salariali tra uomini e donne al netto del fenomeno di selezione nella forza lavoro. Il metodo da noi proposto consiste nel ricostruire la distribuzione “potenziale” dei salari che si produrrebbe se tutti gli individui nella popolazione lavorassero e nel calcolare, su questa base, i differenziali salariali.
La distribuzione “potenziale” dei salari si può ricostruire utilizzando diversi criteri e tecniche di imputazione al fine di recuperare informazioni sui salari che verrebbero percepiti da individui non occupati qualora lavorassero. Nel nostro lavoro utilizziamo diversi criteri di imputazione. (3)
Un primo criterio consiste nello sfruttare il fatto che alcuni individui non lavorano in modo continuativo, e si estrinseca nell’attribuire loro il salario che essi stessi ricevevano quando erano occupati. Un secondo criterio, si basa sull’osservazione (sia per occupati sia per non occupati) di caratteristiche quali livello di istruzione, esperienza lavorativa e capacità retributiva del coniuge, e sull’attribuzione ai non occupati di un salario “potenziale” determinato sulla base dei salari effettivamente percepiti da occupati con caratteristiche comparabili. In questo caso, la nostra procedura di imputazione si basa su semplici teorie economiche tra cui, ad esempio, la teoria del capitale umano secondo cui individui con più alti livelli di istruzione e con maggiore esperienza lavorativa tendono a ricevere salari superiori a quello del lavoratore medio.
I risultati ottenuti con entrambi i criteri puntano nella stessa direzione: rivelano che una volta tenuto conto del problema della selezione nella forza lavoro, i differenziali salariali potenziali tra uomini e donne aumentano sostanzialmente rispetto a quelli effettivamente osservati in Italia e negli altri paesi del Sud Europa, ma anche in Irlanda e Francia, cioè in tutti i paesi in cui esistano importanti differenziali di occupazione. Al contrario, la discrepanza tra differenziali osservati e potenziali è minima (o nulla) nei paesi in cui i differenziali di occupazione sono molto bassi, come Stati Uniti e Regno Unito. Per dare un’idea quantitativa del fenomeno, basti pensare che secondo le nostre stime, la correzione per il problema di selezione nella forza lavoro produce differenziali salariali tra uomini e donne fino al 25-30 per cento in Italia e negli altri paesi del Sud Europa. Ovvero, la correzione elimina l’apparente vantaggio in termini di pari opportunità salariali delle donne italiane e del Sud Europa.
I risultati sono rilevanti per valutare la performance relativa delle donne sul mercato del lavoro in Italia e negli altri paesi Ocse. Mentre a prima vista si dovrebbe concludere che in Italia, Spagna, Francia, e negli altri paesi del Sud Europa le donne godono di una maggiore parità retributiva rispetto agli uomini, bisogna riconoscere che l’apparenza nasconde una sostanziale ineguaglianza occupazionale.
Il risultato implica che la comprensione di cause e caratteristiche delle ineguaglianze tra sessi sul mercato del lavoro richiede un approfondimento di quali fattori determinano i differenziali di occupazione osservati. E tra questi non solo il ruolo delle istituzioni, ma anche di norme di comportamento sociale e pregiudizi verso la domanda e l’offerta di lavoro femminile.

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Differenziali Salariali Osservati

Differenziali Salariali Imputati

USA

0.339

0.35

Regno Unito

0.255

0.226

Finlandia

0.169

0.127

Danimarca

0.119

0.083

Germania

0.22

0.225

Belgio

0.128

0.1

Austria

0.223

0.22

Irlanda

0.157

0.248

Francia

0.124

0.161

Italia

0.067

0.268

Spagna

0.12

0.297

Portogallo

0.088

0.283

Grecia

0.107

0.491

 

 

(1) Fanno eccezione a questa regola i paesi scandinavi, dove sia i differenziali salariali sia i differenziali di occupazione sono relativamente bassi, intorno al 10 per cento. La Francia e gli altri paesi del Centro Europa si attestano su posizione intermedie sia in termini di differenziali salariali che di occupazione (entrambi variano fra il 15 e il 25 per cento).
(2) Più precisamente perché le donne con bassi salari potenziali risultano essere sotto-rappresentate nella distribuzione osservata dei salari.
(3) Tecnicamente nel nostro lavoro il processo di imputazione consiste semplicemente nell’utilizzare diversi criteri per determinare la posizione di ciascun non-occupato rispetto alla mediana della distribuzione dei salari “potenziali” di ciascun genere. I differenziali salariali tra uomini e donne vengono stimati sulla base delle mediane delle distribuzioni dei salari “potenziali” così ottenute. Il modello econometrico, i dati utilizzati e i test empirici sottostanti a questo articolo sono disponibili presso http://people.bu.edu/olivetti/papers/paper_jan07.pdf e http://personal.lse.ac.uk/petrongo/ms.pdf.

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