Dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi si possono già trarre alcuni insegnamenti. I francesi tornano a occuparsi di politica e confermano la fiducia al sistema presidenziale. In un momento crisi si affidano ai grandi partiti, rinunciando al voto di protesta. Si rinnova anche la contrapposizione destra-sinistra, sempre più orientata verso il bipartitismo. Quanto agli elettori di centro, chiedono pluralismo e lanciano un appello di modernizzazione e di apertura alle due formazioni principali.

I risultati del 22 aprile chiudono le innumerevoli e annose discussioni sul rapporto dei francesi con il loro sistema politico, amplificate a dismisura dai risultati dell’elezione presidenziale del 2002.

Il sistema politico

Primo insegnamento: no, i francesi non si disinteressano di politica. No, non hanno rotto con il loro sistema politico. Hanno anzi risposto con un plebiscito all’elezione presidenziale, confermando così – contro il parere di coloro che auspicano un rafforzamento del parlamentarismo – che tale appuntamento elettorale è il più importante del loro sistema politico e dimostrando anche di aver ben afferrato che l’elezione quinquennale del presidente rafforza il potere di quest’ultimo nei confronti dell’esecutivo. Tramite queste elezioni, i francesi, preoccupati per il loro avvenire e per quello dei loro figli, hanno inviato un doppio segnale agli uomini politici: ascoltateci e forniteci delle soluzioni. Votando con una percentuale che ha raggiunto quasi l’85 per cento, come nella prima elezione presidenziale del 1965, hanno sostenuto il regime della Quinta Repubblica.

No al voto di protesta

Secondo insegnamento: a differenza del 2002, i francesi non hanno espresso le loro angosce per mezzo di un voto di protesta. È invece proprio ai grandi partiti di governo e ai loro candidati che hanno dato, se non proprio la loro fiducia, almeno il mandato di gestire gli affari della Francia e di trovare soluzioni ai problemi del paese. I tre candidati, rappresentanti di quei partiti che hanno retto le sorti della Francia dal 1970 in poi, hanno da soli raccolto tre quarti dei suffragi. Le ali estreme (sinistra e destra) hanno totalizzato solo il 16 per cento dei voti contro il 30 per cento del 2002. I francesi si sono quindi rivolti ai partiti centrali, respingendo le soluzioni pericolose e irrealistiche delle frange più estreme. Coscienti della gravità della situazione, hanno dimostrato di preferire i rappresentanti di quei partiti che hanno esperienza di governo. Sotto questo profilo si può affermare che il popolo francese si è allineato alla situazione degli altri paesi europei.

Destra e sinistra. E Bayrou

Terzo insegnamento: la bipolarizzazione sinistra/destra continua a caratterizzare il funzionamento del sistema politico francese. Nel secondo turno, infatti, il candidato del principale partito di destra si dovrà confrontare con la candidata del principale partito di sinistra. La posizione di François Bayrou, né a destra né a sinistra, non è riuscita a smantellare la contrapposizione netta dei due blocchi che, da più di trent’anni, caratterizza il sistema politico francese. Anche se è riuscito a passare dal 7 per cento del 2002 al 19 per cento circa del 2007, Bayrou ha comunque perso la sua scommessa. Non essendo stato ammesso al secondo turno, ha considerevolmente indebolito le sue possibilità di trasformare in profondità il sistema. La sua volontà di creare un partito centrista autonomo paga duramente i meccanismi del sistema elettorale. Cosa ne sarà dell’Udf, dopo queste elezioni, se Bayrou, come appare probabile, non farà una scelta di campo per una parte o per l’altra? Ciò che era la sua forza, non essere né di destra né di sinistra, diviene oggi la sua debolezza, preso nella morsa della re-bipolarizzazione. Molti deputati uscenti dell’Udf si sono già pronunciati in favore di un’alleanza con l’Ump. Isolato, il partito rischia di essere penalizzato in seggi alle prossime elezioni legislative, a meno di non tornare all’ovile della destra, il che significherebbe ovviamente il fallimento totale della strategia del leader centrista e rafforzerebbe ulteriormente la bipolarizzazione.

Leggi anche:  I rischi del no dell'Italia alla riforma del Mes

Verso il bipartitismo

Quarto insegnamento: l’evoluzione del sistema partitico francese verso il bipartitismo. La bipolarizzazione non significava solamente l’organizzazione del sistema attorno alla contrapposizione dei due blocchi sinistra/destra, ma consisteva anche nel fronteggiarsi di due alleanze politiche ed elettorali. Da una parte, l’alleanza dei due grandi partiti di destra Rpr/Udf e dall’altra, l’intesa tra Partito socialista, Partito comunista, Verdi e Radicali di sinistra.
Questo sistema ha cominciato a fare acqua da tutte le parti a partire dal 2002 e ciò per numerose ragioni. Innanzitutto, per l’atteggiamento sempre più prevaricante dei due partiti maggiori, mal sopportato dai loro alleati, specie per quanto riguarda la destra dove la fondazione dell’Ump è stata interpretata come volontà di emarginare l’Udf, il che del resto corrisponde alla realtà. In secondo luogo per la progressiva emarginazione dei partiti ex-partner dei grandi partiti. I risultati del 22 aprile rafforzano la tendenza al bipartitismo, vale a dire al controllo del sistema da parte dei due grandi partiti. Non era mai accaduto, dal 1974 in poi, che i due candidati passati al secondo turno, totalizzassero assieme la percentuale di voti accumulata in questa elezione da Segolène Royal e Nicolas Sarkozy: quasi il 57 per cento. E nel 1974, Mitterrand era il candidato unico di una sinistra unita da un programma comune.
Questi risultati confermano il carattere strutturante dell’elezione presidenziale. La natura dei due grandi partiti è progressivamente divenuta diversa da quella delle altre formazioni politiche. La loro “presidenzializzazione“, la maniera in cui hanno occupato per mesi il paesaggio politico durante la preparazione della campagna elettorale, la scelta dei rispettivi candidati e il modo in cui è avvenuta, tutto ciò non fa che confermare la loro posizione di grandi partiti presidenziali. Ambedue i partiti, Ps e Ump, il 22 aprile, hanno potenziato il loro spazio vitale: quello di sinistra, che grazie alla sua candidata, ha aumentato i suoi voti del 10 per cento rispetto al 2002 e ha raccolto il 70 per cento dei voti di sinistra, sbaragliando i suoi compagni di percorso. L’altro, quello di destra, che ha accresciuto dell’11 per cento i suoi voti rispetto a quelli ottenuti da Chirac e, soprattutto, è riuscito a ridimensionare l’estrema destra, portandola dal 20 per cento del 2002 all’attuale 10, sferrando quindi a Jean Marie Le Pen lo stesso colpo decisivo inflitto da Mitterrand a Gorge Marchais nel 1981. L’Ump, a destra, non ha più nemici pericolosi e rappresenta i tre quarti di quell’elettorato. Tuttavia, ora i due grandi partiti non dispongono più di potenziali e potenti alleati, magari necessari, quindi sono obbligati a giocarsi la carta del bipartitismo, vale a dire affrontare l’accoppiata delle elezioni presidenziali-legislative, tentando di impadronirsi sia della Presidenza della Repubblica che della maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. Per riuscire in questo obiettivo, devono – al secondo turno – saper conquistare voti al centro, dopo aver saputo – al primo turno – neutralizzare le ali estreme. Ed è qui che bisogna esaminare l’equazione Bayrou.

Leggi anche:  Israele, una democrazia divisa

Il voto al centro

Quinto insegnamento: i due grandi partiti devono differenziarsi e aprirsi maggiormente per imporre un chiaro sistema bipartitico alla Francia. La percentuale raccolta da François Bayrou, anche se non è sufficiente a rimettere in questione l’evoluzione verso il bipartitismo, mostra tuttavia che quest’ultima può essere accelerata o frenata, a seconda della propensione dei due grandi partiti a tener conto della domanda espressa dagli elettori del centro.
Con il loro voto essi hanno esplicitamente richiesto pluralismo, oltre che trasformazione dei due grandi partiti in qualcosa di più aperto e anche di più lucido, in grado di rispondere alla sfida della globalizzazione. In attesa che vengano compiute disamine più approfondite su questo elettorato, è evidente che gli elettori di centro-sinistra si aspettano un Partito socialista finalmente capace di prevedere nel suo progetto una Francia pienamente inserita nell’Europa e nel mondo. Il Partito socialista non può più considerare l’alleanza a sinistra come la sola strategia possibile. Deve trovar la forza di trasformarsi, modernizzarsi, acquistare una nuova credibilità di governo. Segolène Royal ha compiuto qualche passo in questo senso, ma c’è ancora molto da fare, per tirar fuori la sinistra dalle secche di uno scarso 40 per cento, che rende molto incerta qualsiasi prospettiva di vittoria elettorale.
Un sistema bipartitico non significa necessariamente l’alternanza regolare dei due partiti al governo. Il Partito socialista deve scoprire quali sono i mezzi per tornare al potere. Il che significa una profonda trasformazione della sua identità. Se, il 6 maggio, la Royal è sconfitta – ma anche se non lo è – il Partito socialista deve compiere la sua mutazione, uscendo dall’isolamento in cui è relegato all’interno del movimento socialista europeo.
Quanto agli elettori di François Bayrou, col loro voto, hanno inviato un messaggio all’Ump. Quest’ultimo dovrà infatti accogliere nel suo Dna anche l’identità centrista – che del resto nel 2002 ha politicamente contribuito alla sua nascita – instaurando così un pluralismo interno, che non appartiene né alla natura del vecchio partito gollista, né forse al temperamento del suo leader.
Possiamo quindi analizzare l’ottimo risultato ottenuto da Bayrou in due modi: sia come prefigurazione della creazione di un partito centrista autonomo in grado di mettere i bastoni tra le ruote al duopolio dei due grandi partiti, sia come appello di una porzione cospicua dell’elettorato francese a trasformare e modernizzare i due grandi partiti, un appello volto ad ottenere un bipartitismo duraturo, purché rappresentativo della diversità dell’elettorato francese, in grado di giocare la partita dell’alternanza, come avviene in quasi tutte le grandi democrazie. La parola quindi ai dirigenti dei partiti.

* La versione originale dell’articolo appare sul sito www.telos-eu.com; traduzione dal francese da Daniela Crocco

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  La Gran Bretagna si sveglia laburista