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Dai telefoni alle autostrade: la strana storia del “decreto fantasma”

Per bloccare la fusione Autostrade-Abertis, due ministri sono giunti a evocare una norma dello Stato che non esiste. Per niente chiari i motivi delle interferenze sulla vendita Telecom. Possedere un’impresa espone quindi a rischi diversi dai mutamenti delle condizioni di mercato o della tecnologia: il rischio politico costituisce un fattore autonomo e anche molto concreto. E diventa rapidamente un problema dei consumatori, quando si traduce in un maggiore costo del capitale e, di conseguenza, in un aumento, o in una minore diminuzione, delle tariffe.

Nell’aprile 2006 Autostrade e Abertis annunciarono la loro fusione, tentativo (finora) abortito a seguito di reiterate interferenze politiche. A un anno di distanza, errori simili si sono ripetuti nella vicenda di Telecom Italia. La storia di Autostrade è diversa, ma vale la pena di ricordarne almeno un episodio. (1)

La vicenda Autostrade-Abertis

Nel caso Autostrade, il governo non gradì il fatto che l’impresa avrebbe potuto essere controllata da una maggioranza con passaporto spagnolo. Nazionalismo? Forse, ma la partita verteva soprattutto attorno alle concessioni autostradali, che secondo i più erano sbilanciate a favore delle imprese. Il fatto che il governo volesse rivedere le concessioni era legittimo, ma il “come” si fanno le cose è fondamentale.
Se oggi ci si lamenta delle interferenze nel caso Telecom, si pensi che per bloccare la fusione di Autostrade, i ministri dell’Economia e delle Infrastrutture giunsero perfino a evocare una norma dello Stato che, con ogni evidenza, non esiste. La vicenda, poco nota ma tristemente vera, ha dell’incredibile.
Una delle materie del contendere era se un’impresa di costruzioni potesse controllare Autostrade per l’Italia. (2) Questo era stato escluso dal prospetto sulla base del quale Iri aveva venduto le prime azioni di Autostrade nel 1997, specificando che per tre anni nessun azionista di controllo avrebbe potuto cedere le proprie quote. Ma nulla era specificato per gli anni successivi, nel prospetto o in alcuna norma. E se anche tale vincolo fosse stato posto (come cercò di fare il governo nel 2006), la Commissione europea ha precisato che questo avrebbe costituito una illegittima limitazione alla circolazione di capitali.
Il 4 agosto 2006 i due ministri hanno invece inviato una lettera ad Anas, a cui poi Anas ha dovuto attenersi, dichiarando che un decreto del presidente del Consiglio dei ministri del maggio 1997 vietava la partecipazione di costruttori all’azionariato di controllo di Autostrade per l’Italia. Poiché un costruttore era presente in Abertis, la fusione era quindi vietata.
È un “decreto fantasma“. Nel maggio 1997 il Consiglio dei ministri si limitò a dare blande indicazioni in materia al ministero del Tesoro, che a sua volta le trasmise a Iri, e che Iri poi riportò nel prospetto di vendita (come indicato sopra, con un vincolo di tre anni). Ma non esisteva né esiste alcuna legge dello Stato che impediva la partecipazione di costruttori all’azionariato di controllo di Autostrade per l’Italia. E il fatto che due ministri certo non inesperti abbiano scritto il contrario è piuttosto curioso.

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Qual è la strategia?

Nel caso Telecom Italia non si sono forse toccati questi vertici, ma ora come allora ci si chiede se questo governo abbia un “centro delle strategie” (espressione a suo tempo cara al presidente del Consiglio) e soprattutto se esista una strategia condivisa. Se nel caso Autostrade il fine era almeno in parte dichiarato (rivedere la concessione), nel caso Telecom la ratio sfugge; perché questa ondata di apparente nazionalismo (che ha poi finito per favorire la spagnola Telefonica)? Chi dà il diritto al governo di selezionare gli azionisti di un’impresa privata?
Tutto questo aumenta il rischio degli investitori. Hai una concessione dello Stato? Sappi che alcuni politici ritengono che lo Stato la possa modificare unilateralmente, e se non accetti, rischi di vedere anche leggi inventate ad hoc. Vuoi vendere un’impresa? Sappi che alcuni politici ritengono di avere il diritto di interferire nella vendita, non per tutelare evidenti interessi pubblici, ma per fini mai dichiarati, il che aumenta l’imprevedibilità. Possedere un’impresa espone quindi a rischi diversi dai mutamenti delle condizioni di mercato o della tecnologia; il rischio politico costituisce un fattore autonomo e anche molto concreto. (3)
Ma non è (solo) un problema delle imprese. Diventa rapidamente un problema dei consumatori, quando il maggiore rischio si traduce in un maggiore costo del capitale per le imprese, e se le tariffe devono coprire i costi, questo significa aumento (o minore diminuzione) delle tariffe pagate dai consumatori. La politica costa, ma compito dei politici non è di esporre le imprese al loro arbitrio: presto o tardi saranno comunque i consumatori a pagare il conto.


(1)
Per l’intera storia e altri “dettagli” si rinvia a C. Scarpa, “Lo strano caso di Autostrade-Abertis: una Love story dal finale aperto”, Mercato concorrenza, regole, 2007, per i dettagli e ulteriori considerazioni.
(2) Più precisamente, si diceva che “saranno esclusi dalla procedura quei soggetti il cui fatturato derivi, per oltre la metà, dai settori delle costruzioni e dei trasporti di merci e/o persone, nonché quelli che appartengano o controllino un gruppo il cui fatturato consolidato derivi per oltre un quarto da detti settori”.
(3) Un tentativo di misurarlo è contenuto in Bortolotti e Faccio (2006).

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Sommario 11 maggio 2007

  1. G.PERA

    Egregio Dottore, Lei parte da una assunto falso, (il gorverno non voleva un investitore spagnolo), per sostenere una tesi assai misera e cioè che Lo Stato può intervenire in una vendita di quote di una società concessionaria solo sulla base degli accordi passati, anche se poi gli stessi sono già disattesi dalla stessa controparte in più punti. Quello dei cittadini è in questo caso il diritto a non essere sputati in faccia, senza che ci sia una legge che lo vieti senza rendersi conto che anche il Re poi lo potrebbe ricevere lo stesso trattamento. Quello di Autostrade è stato il regalo di un monopolio che dalla venidta dei panii, alla pubblicità ai pedaggi alla mancanza dei reinvestimenti. Facciamo salvo per una volta almeno il monopolio del buon senso e dell’interesse della collettività che sembra abbia finora caretterizzato l’azione di lavoce.info.
    saluti
    G.PERA

    • La redazione

      Egregio lettore,

      la situazione delle concessioni autostradali è già stata criticata da tanti su questo sito (Boitani; Ponti; Ragazzi; …) e non ho molto da aggiungere.
      Quello che osservo è che – banalmente – una persona vale quanto vale la sua parola. E se un Governo viene meno a un contratto stipulato (non a una semplice parola…) la sua credibilità viene totalmente meno. E di questo siamo tutti a pagare.
      Cordialmente

      carlo scarpa

  2. riccardo boero

    Egregio professore,
    nel caso Telecom la “ratio” appare anche troppo evidente, e si inquadra in una malaugurata e infelice politica antiatlantica che caratterizza questo esecutivo.
    Il nostro governo e` un sopravvissuto dell’era Chirac-Schroeder, che sognava un’Europa potenza politica e militare competitiva con gli USA. Epoca fortunatamente conchiusa dal nuovo tandem Merkel-Sarkozy, che non fa mistero di stringere legami piu’ stretti con gli USA proseguendo la strada intrapresa con la creazione di Nyse-Euronext.
    Se nel caso di Telecom, non si e` aperta la porta agli yankees di At&t, non mi pare che analoghi blocchi sono stati fatti al settore bancario francese e alla sua irresistibile progressione nello Stivale, ne’ si grida al patriottismo economico di fronte alla realistica e temibile minaccia posta su Alitalia da un organismo pilotato da un brutale stato totalitario, gia`purtroppo legato fortemente alla nostra impresa piu’ brillante, la ENI.
    Assistiamo purtroppo all’asservimento dell’economia ad una politica geostrategica viziata da sogni ideologici irrealistici.
    I grandi vantaggi tecnologici e di accesso al mercato USA che Telecom poteva avere con At&t sfumano di fronte all’amicizia con l’ormai isolatissimo e perdente Zapatero, ad un antiamericanismo di bandiera di cui tutti ormai si vergognano da Parigi a Varsavia.
    Grazie di una cortese risposta.

    • La redazione

      Caro lettore,
      spero lei abbia torto. E in parte lo credo. Noti in primis che anche il ritiro dell’americana At&t non ha cambiato la situazione.
      Inoltre (a quanto affermava l’ambasciatore US in Italia qualche sera fa in televisione) l’Italia è il grande paese europeo dove “storicamente” gli americani investono meno, dal dopoguerra in poi.
      Non credo sia colpa dell’ultimo governo di turno. E questo mi
      preoccupa ancora di più, perchè vuol dire che abbiamo aspetti “di lungo periodo” della relazione tra politica ed economia che scoraggiano certi investitori.
      Cordialmente

      carlo scarpa

  3. Luro62

    Non so se il metodo seguito sia stato corretto ma se ha portato al risultato di bloccare la vendita di come ci muoveremo ne prossimo futuro va bene.
    Nei servizi strategici il privato non va mai bene. Specialmente in un paese in cui mancano gli strumenti di controllo e vi è un generale lassismo. Le alzate di scudo dovevano essere fatte quando è stato consesso ad Autostrade di rivedere le tariffe senza che avesse rispettato i patti e gli sia tata data la proroga di 30 anni. Il quel momento si sarebbero dovute revocare le concessioni. Cosa sarebbe Autostrade senza le concessioni italiane. Vera vacca da mungere. Qui tutti vengono e fanno quello che vogliono, in tutti i settori. Vedere l’ultimo Bestiario di Panza sull’Espresso. Manca il rigore nel fare le cose e nel controllo. Attendiamo di vedere Report di domenica si Wind. Anche l’ultimo caso delle morti in ospedale. I lavori si fanno in fretta, si controllano in fretta considerando che tanto andrà tutto bene. La buona stella è l’unica che ci guida.

    • La redazione

      Caro lettore,
      il problema del suo ragionamento è questo. Lei sostiene che “il pubblico” è incapace perfino di controllare, quindi il privato non va bene.
      …ma se lei ha ragione, siamo sicuri che allora la risposta sia
      affidare tutto al settore pubblico?
      Mi limito a sperare che l’interrogativo solleciti il dubbio. Dopo di che, risposte “sempre valide” non credo le abbia nessuno…
      Cordialmente
      carlo scarpa

  4. G. Rapuano

    Egregio dottore,
    non mi trovo in accordo con alcune sue affermazioni.
    E’ vero che a suo tempo Telecom venne acquistata da un privato (Tronchetti Provera) con un prezzo che sappiamo sopravvalutato e che sappiamo benissimo che nell’ ottica della “libertà d’impresa” Telecom ha agito e agirà come meglio crede (vende, compra, scorpora, incorpora, rincara le tariffe etc.). Credo però che questa benedetta azienda mio caro dottore se formalmente sia parte delle famose “scatole cinesi” di fatto è stata pagata per decenni dai soldi dei contribuenti. Il canone oramai è diventata più che una tassa,: è un incubo!
    In tutto ciò esiste e sono in accordo con lei, un problema politico, della “tarda politica”. Ma non vedo il motivo per cui, anche se in ritardo lo Stato non debba riappropriarsi di una “rete” che hanno pagato per anni tutti suoi concittadini con un costo molto sopravvalutato, se consideriamo quanta pubblicità inutile fa la Telecom.
    Di fatto, con la rete fissa in mano alla Telecom la liberalizzazione non esiste. Telecom ormai da anni continua a fare il mercato e a pagare siamo tutti noi.
    In questo caso l’ingerenza, purtroppo “tardiva” dello Stato è doverosa. O lei pensa “meglio mai che tardi?”
    Grazie per l’attenzione e complimenti a tutti i giornalisti della “Voce.info”

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