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Quel vantaggio molto fiscale

I lavoratori italiani non sembrano percepire il trattamento fiscale particolarmente favorevole attribuito alla previdenza complementare. I calcoli mostrano che già dopo dieci anni di contribuzione al fondo pensione il valore dell’investimento supera del 14,2 per cento quello ottenibile con una pensione “fai da te” conseguita acquistando titoli. Dopo trenta anni lo scarto è del 23,8 per cento. Il risparmio d’imposta è tanto più alto quanto più elevata è l’aliquota marginale Irpef. L’unico rischio è che in futuro questo regime venga rivisto.

Sebbene non abbia ancora catalizzato l’interesse dell’opinione pubblica, un elemento cruciale ai fini della adesione alla previdenza integrativa è costituito dal trattamento fiscale dei fondi pensione. (1)

La tassazione dei fondi pensione italiani

I lavoratori italiani non sembrano percepire come particolarmente favorevole il trattamento fiscale attribuito alla previdenza complementare. I sondaggi d’opinione relegano infatti i fattori fiscali all’ultimo posto tra le motivazioni in favore dei fondi pensione. (2) Eppure la previdenza complementare ha beneficiato fin dall’inizio di una tassazione vantaggiosa, divenuta ancora più favorevole dal 2007.
Il regime fiscale dei fondi pensione prevede la deducibilità dei contributi versati dal lavoratore (fino a una certa soglia) e la tassazione sia dei rendimenti conseguiti dai fondi, sia delle pensioni percepite dai lavoratori. Segue dunque un modello cosiddetto ETT (esente, tassato, tassato) delle tre diverse fasi della partecipazione ai fondi pensione: contribuzione da parte del lavoratore, gestione finanziaria da parte del fondo pensione e infine erogazione della pensione dal fondo pensione al lavoratore.
Nella prima fase, i lavoratori possono dedurre dall’imponibile i contributi versati ai fondi fino a un massimo di 5.164,57 euro. Nella seconda fase, i rendimenti della gestione finanziaria conseguiti dal fondo pensione sono tassati a una aliquota lievemente più bassa di quella ordinaria: 11 per cento invece che 12,5 per cento. La tassazione diviene particolarmente favorevole nella terza fase, in cui il lavoratore percepisce la pensione: innanzi tutto, dall’imponibile sono esclusi i redditi già tassati in precedenza (e quindi i rendimenti conseguiti nel tempo dal fondo pensione); inoltre, le pensioni sono assoggettate a un’aliquota del 15 per cento – contro un’aliquota minima Irpef del 23 per cento – con la possibilità di conseguire un’ulteriore riduzione dell’aliquota di 0,30 punti percentuali per ogni anno di contribuzione successivo al quindicesimo, fino a un minimo del 9 per cento (quest’ultimo limite verrà quindi raggiunto dal lavoratore dopo 35 anni di contribuzione al fondo).
La tassazione particolarmente favorevole delle erogazioni pensionistiche è la principale differenza tra l’attuale regime fiscale e quello in vigore fino al 2006, che assoggettava le pensioni all’aliquota ordinaria Irpef. La nuova normativa ha di fatto introdotto un sistema caratterizzato dalla deducibilità dei contributi, da una tassazione pressoché totale dei rendimenti e da una tassazione fortemente agevolata delle pensioni. Un tale regime è atipico rispetto a quelli esteri, in genere basati sul sistema EET, che esenta da tasse sia i contributi versati dal lavoratore che i rendimenti conseguiti dal fondo, ma assoggetta le pensioni all’aliquota ordinaria sui redditi delle persone fisiche.

Una stima dei vantaggi fiscali per il lavoratore

Al fine di valutare i benefici fiscali rivenienti dall’adesione ai fondi pensione, abbiamo considerato il caso di tre lavoratori con rispettivamente 10, 20 e 30 anni di lavoro prima della pensione, ipotizzando che ciascuno versi alla previdenza complementare un ammontare di 1.000 euro all’anno, crescente a un ritmo annuo del 3 per cento. Per calcolare il vantaggio/svantaggio fiscale del fondo, abbiamo poi confrontato il valore finale che ciascun lavoratore otterrebbe investendo nel fondo pensione con il valore che conseguirebbe investendo direttamente in titoli aventi il medesimo rendimento, ipotizzato pari al 5 per cento. Il confronto è stato effettuato per il regime fiscale ETT vigente fino al 2006 (caso A della tavola), per il regime fiscale attuale (caso B) e per il regime EET prevalente all’estero (caso C).
I risultati riportati nella tavola forniscono utili indicazioni. In primo luogo, emergono i consistenti vantaggi fiscali dei fondi pensione: già dopo 10 anni di contribuzione il valore dell’investimento nel fondo pensione supera del 14,2 per cento quello ottenibile con una pensione “fai da te” conseguita acquistando titoli (si veda il caso B della tavola); lo scarto sale al 19 per cento dopo 20 anni e al 23,8 per cento dopo 30 anni. In secondo luogo, il regime attuale, introdotto con la riforma del 2005, risulta assai più conveniente di quello precedente: ad esempio, dopo 10 anni il vantaggio rispetto all’investimento in titoli sale dal 5,6 al 14,2 per cento. (3) Infine, i dati mostrano come il sistema anglosassone EET (con esenzione fiscale delle prime due fasi della partecipazione al fondo pensione e tassazione piena della pensione) implichi anch’esso un vantaggio fiscale rispetto all’investimento finanziario, ma assai inferiore.
Si noti che in tutti i casi considerati, l’aliquota Irpef è posta al suo valore minimo del 23 per cento. Si tratta dell’ipotesi più sfavorevole alla previdenza complementare: aliquote Irpef più elevate incrementerebbero il vantaggio fiscale dei fondi pensione. In ciascun anno il risparmio d’imposta sui versamenti ai fondi è infatti tanto più alto quanto più elevata è l’aliquota marginale Irpef e varia tra 1.200 euro per i redditi più bassi e 2.200 euro per quelli più elevati. Una semplice estensione dei calcoli appena descritti mostra che al crescere del reddito cresce anche il divario tra il valore dell’investimento nel fondo pensione e quello dell’investimento in titoli: se ogni anno si versa al fondo pensione l’importo massimo deducibile (5.164,57 euro), dopo 10 anni il divario è del 15 per cento per i redditi più bassi (intorno a 20mila euro), del 40 per cento per i redditi medi e del 44 per cento per i redditi tra i 35mila e i 75mila euro, fino a toccare un massimo del 55 per cento per i redditi da 105mila euro in su. Il divario in favore dei fondi pensione aumenta al crescere del periodo di accumulazione: dopo trent’anni di versamenti, per i redditi più elevati il vantaggio rispetto all’investimento in titoli arriverebbe a sfiorare il 70 per cento.
È necessario sottolineare che per isolare i vantaggi fiscali della previdenza complementare, il nostro esercizio non considera gli altri elementi che pure influenzano la convenienza complessiva ad aderire ai fondi pensione. Questi elementi non sembrano tuttavia in grado di alterare le valutazioni descritte in precedenza. Ad esempio, una commissione annua di gestione a carico del fondo (e quindi indirettamente a carico dei lavoratori) pari allo 0,47 per cento (il valore medio dei fondi negoziali nel 2005), ridurrebbe in misura contenuta il vantaggio fiscale: nel caso di un investimento decennale scenderebbe dal 14,2 per cento indicato nella tavola all’11,2 per cento. Ai fini della valutazione complessiva andrebbe poi considerato l’effetto del contributo del datore di lavoro, che invece accresce la convenienza ad aderire ai fondi pensione.
I robusti incentivi fiscali alla previdenza complementare sono giustificati dalla funzione sociale svolta da questo istituto in tutte le economie avanzate, ancor più preziosa in un paese, come l’Italia, che invecchia rapidamente ed è caratterizzato dallo scarso sviluppo della previdenza integrativa. Il fatto che, nonostante la forte convenienza fiscale, i lavoratori vi abbiano aderito in misura limitata, indica presumibilmente l’esistenza di serie lacune di conoscenza e informazione in materia pensionistica da parte dei risparmiatori, oltre che la presenza di vincoli di liquidità.

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I rischi dell’attuale regime fiscale

Tuttavia, l’attuale trattamento fiscale dei fondi pensione potrebbe essere esposto a un “rischio politico“, legato alla eventualità che la tassazione possa essere rivista in futuro. Inoltre, con l’ingresso sul nostro mercato di fondi pensione esteri (per lo più tassati secondo il principio EET), si potrebbe determinare per i fondi pensione italiani uno svantaggio competitivo nella fase di accumulazione, del tutto simile a quello che affligge oggi i nostri fondi comuni, tassati sul maturato, rispetto a quelli esteri, tassati sul realizzato. Infine, rispetto al sistema EET, la tassazione dei rendimenti della gestione aumenta gli oneri informativi a carico dei fondi pensione, soprattutto con riferimento al trasferimento delle posizioni individuali presso un altro schema previdenziale.
L’insieme di questi tre fattori non consente quindi di escludere che in futuro il regime fiscale dei fondi pensione italiani subisca qualche modifica.


(1)
Per un’analisi dettagliata della struttura e della convenienza, anche fiscale, della previdenza complementare si veda Cesari R., G. Grande e F. Panetta (2007), “La previdenza complementare in Italia: caratteristiche, sviluppo e opportunità per i lavoratori”, Quaderni di Economia e Finanza, n. 8, disponibile su
www.bancaditalia.it.
(2) Si veda la tav. 24 di Cesari, Grande e Panetta (2007).
(3) Questa valutazione si ottiene confrontando il caso A e il caso B della tavola.

Il vantaggio fiscale dei fondi pensione (1)

 

Caso A:

Regime 2006

ETT

 

Caso B:

Regime attuale

ETt

 

Caso C:

Regime prevalente all’estero

EET

Aliquote per i fondi pensione (2)

0; 11; min 23

 

0; 11; max 15

 

0; 0; min 23

Aliquote per l’investimento in titoli (2)

min 23; 12,5; 0

 

min 23; 12,5; 0

 

min 23; 12,5; 0

Lavoratore anziano
(10 anni di contribuzione)

5,6

14,2

2,8

Lavoratore medio
(20 anni di contribuzione)

10,7

19,0

6,2

Lavoratore giovane
(30 anni di contribuzione)

14,8

23,8

9,8

(1) Scarto percentuale tra il montante ottenibile aderendo a un fondo pensione e quello ottenibile investendo direttamente in titoli sotto diverse modalità di tassazione. Ciascun sistema di tassazione viene individuato in base al trattamento fiscale – esente (E), tassato (T) o tassato a un’aliquota relativamente bassa (t) – cui è soggetto l’aderente al fondo nelle tre fasi di: contribuzione, accumulazione ed erogazione. Sia la contribuzione al fondo sia l’investimento in titoli sono inizialmente pari a 1.000 euro e crescono a un ritmo annuo del 3 per cento senza mai superare l’importo massimo deducibile fiscalmente (5.164,57 euro). Si assume che sia il fondo pensione sia i titoli abbiano un rendimento annuo lordo del 5 per cento. – (2) Aliquote fiscali riferite, nell’ordine, alla fase di contribuzione, di accumulazione e di erogazione della pensione. L’aliquota Irpef è posta al valore minimo del 23 per cento. Nel caso B l’imposta sulle prestazioni del fondo pensione è del 15 per cento dopo 10 anni di contribuzione, del 13,5 per cento dopo 20 anni e del 10,5 per cento dopo 30 anni.

Vantaggio fiscale dei fondi pensione in funzione del periodo di contribuzione e del reddito (1)

(1) Scarto percentuale tra il montante ottenibile investendo in un fondo pensione e quello ottenibile investendo direttamente in titoli. Il regime fiscale considerato è quello attualmente in vigore (caso B della tavola). Sia il lavoratore che aderisce al fondo pensione sia quello che acquista titoli investono ogni anno un ammontare al lordo dell’Irpef pari a 5.164,57 euro. Si assume che sia il fondo pensione sia i titoli abbiano un rendimento annuo lordo pari al 5 per cento.

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11 commenti

  1. francesca gasparoni

    Proprio per questo è giusto secondo me che il Veneto passi a regione autonoma e aplicchi il federalismo fiscale meno tasse per tutti e ci potremmo mettere via dei soldi per la nostra pensione.

  2. Fabio Pancrazi

    Io sono arrabbiato nero del tanto darsi da fare di governo e sindacati “per togliere lo scalone” sulle pensioni. E voglio portare il mio esempio: io ho 53 anni suonati e 31 di contribuzione. Con la normativa passata sarei potuto andare in pensione a 57 anni di età con 35 di servizio. E’ cambiata (per me 5 anni di lavoro in più!) e con l’attuale potrò andarci nel 2016 a 62 anni di età (quelli richiesti dal 2014).
    Da ciò che si legge sui giornali il governo di centrosinistra si da un gran da fare perchè (in tempi di vacche magre) c’è chi non vuole andare in pensione a 60 anni ma vuole andarci a 58! Però nel verificarsi della migliore ipotesi io dovrò ugualmente andarci nel 2016 e con i soliti 62 anni! Pagando, insieme alla collettività, il costo della relativa operazione, 10 miliardi di euro!
    Perchè creare lavoratori di serie A subito, senza pensare agli altri che ci andranno “solo” fra nove anni? Non vediamo una spanna dal naso…e tutti zitti! Togliere lo scalone in questo momento è vergognoso!

    Fabio Pancrazi, Sansepolcro (Arezzo)
    ancora responsabile provinciale
    Movimento Repubblicani Europei

  3. stefano vavassori

    Fra i motivi che frenano l’adesione ad un sistema di pensione integrativa vi è sicuramente l’irreversibilità della scelta: di fronte ad una decisione che di fatto condiziona fortemente il reddito futuro, ritengo che l’introduzione di questa condiziona sia assolutamente inopportuna e generi quantomeno diffidenza… a meno che non si sia inteso assicurare condizioni di assoluto favore e minimo rischio (cioè limitazione della concorrenza) al mondo della finanza e del sindacato che di fatto controllano i fondi pensione.

  4. F.Centorrino

    Quando si parla di pensioni, temi ricorrenti sono il conflitto di interessi fra generazioni (gli anziani prelevano risorse dei giovani sotto forma di assegni pensionistici, si dice) e, di contro, la mancanza di solidarietà in senso inverso, che invece pure esiste – specie nel mezzogiorno- in ambito familiare.
    Ed allora, mi chiedo, perché non far emergere la solidarietà “sommersa” e farla divenire sistemica introducendo anche per i pensionati l’obbligo della contribuzione – progressiva, in misura ridotta e tenendo esenti gli assegni al di sotto di un limite da individuare – al sistema previdenziale di base? In tal modo si potrebbero garantire prestazioni più dignitose per i giovani e meccanismi di indicizzazione più efficaci per gli anziani, che proprio di recente hanno anch’essi manifestato in piazza per segnalare il loro stato di disagio. Ciò non escluderebbe l’esistenza del cosiddetto “secondo pilastro”, ma attestato su una funzione meno invasiva e meno tendente all’esclusività.
    La misura potrebbe eventualmente anche essere correlata con l’elevazione dell’età pensionabile (misura che a me pare comunque inevitabile in prospettiva) e sempre che i nostri ineffabili datori di lavoro depongano una certa concezione “schizofrenica”, che in materia previdenziale da un lato li conduce ad invocare il prolungamento dell’attività lavorativa e, dall’altro, a considerare i lavoratori cinquantenni oggetti obsoleti da rottamare (altro che capitale umano del festival di Trento!).
    La mia età anagrafica (55) e la mia anzianità contributiva (35) pongono l’idea al riparo da qualunque sospetto di parzialità.

  5. Marcello

    Il vantaggio fiscale dei fondi pensione si basa sull’ ipotesi di invarianza della normativa fiscale.
    Visto il curriculum dei governi italiani a riguardo mi sembra perfettamente razionale la diffidenza dei lavoratori verso scelte irreversibili.
    Oltretutto si fa una gran pubblicità ai fondi pensione, meno al motivo per cui saran necessari e meno ancora al vantaggio fiscale che comportano.
    La percezione dell’ uomo della strada è che sia un’ ennesimo escamotage per pescare nelle sue tasche, e visti i regolamenti sui fondi negoziali ed il curriculum dell’ industria nazionale dei fondi non ha neppure tutti i torti.

  6. Enrico

    Ecco le mie considerazioni sulla pensione integrativa, verso cui sono “tiepido”.
    1) avversione “ideologica”. Cui prodest? Dato per scontato che l’attuale sistema non possa reggersi (ma ne siamo certi?) perchè ingrassare banche e assicurazioni? Perchè INPS non potrebbe avviare una gestione analoga a quella dei fondi ma, essendo un ente pubblico, SENZA FINE DI LUCRO? Siamo proprio certi che “privato è bello” e “pubblico non può funzionare”?
    2) ho 50 anni, lavoratore dipendente, ingegnere. Con colleghi abbiamo fatto i nostri conti con un foglio elettronico per scoprire che, a valori attuali e coefficienti di conversione attuali, la pensione integrativa devolendo il 100% di TFR incrementerà la pensione INPS di un 7% circa. A meno di puntare tutto su comparti azionari e pensare che rendano sempre almeno il 10%. Meglio allora diversificare, dare il 40% di TFR al fondo (come “vecchio” lavoratore posso) in un comparto rischioso, e il 60% lasciarlo in azienda, che rende come un fondo monetario.

  7. Giuseppe Caffo

    Le considerazioni sul vantaggio fiscale sono valide,ancorchè incerte per il futuro. Ma è interessante valutare il coefficiente di conversione in rendita. Attualmente è del 5,1%, poco più del rendimento di un BTP a 20 anni. Se un lavoratore accumula BTP negli anni di lavoro, alla fine avrà un capitale che forse renderà un pò meno dei fondi pensione,ma ne avrà la disponibilità. Stessa cosa col TFR lasciato in azienda. Se aderisce al fondo pensione forse avrà una rendita maggiore, ma avrà perso la disponibilità del capitale. Per essere veramente convenienti i fondi pensione hanno bisogno di ulteriori consistenti incentivi fiscali, per compensare la perdita del capitale accumulato. Credo che sia questo un motivo della scarsa adesione ai fondi pensione.

  8. riccardo boero

    Trovo francamente scandaloso che venga attribuito un “regalo” fiscale agli investimenti in fondi pensione.
    Ciò non ha alcuna giustificazione.
    Perché mai un investimento diretto in azioni, o in titoli di stato esteri, o in metalli preziosi o qualsiasi altro, deve essere tassato piu’ dello stesso identico investimento, ma fatto con un intermediario in piu’?
    In pratica è lo Stato (collettività) che paga spese e premi dei gestori di fondi, con il mancato introito fiscale.
    Trovo assurdo poi che lo Stato incoraggi quello che è notoriamente l’investimento meno efficiente, quello in fondi.

  9. VITTORE DA RIN

    Chi ha letto il libro di Beppe Scienza La Pensione tradita? Gradirei un commento al riguardo. Personalmente sarei anch’io dell’avviso che prima di andare ad incrementare le ricchezze loro personali e quelle delle loro banche come SICURAMENTE avverrebbe affidando i nostri risparmi ai vari Doris, Passera, Profumo etc. c’è da pensarci non solo fino al prossimo 30 giugno ma ben oltre.

  10. Fernando Di Nicola

    Nell’articolo si cita l’aliquota irpef “minima” del 23%, usata per le simulazioni d’impatto. Considerato che parliamo di fondi e pensioni integrative, andrebbe applicata l’aliquota marginale effettiva minima, che parte dal 30% e non dal 23%. In pratica, chi aggiunge la pensione integrativa al suo reddito pagherà almeno il 30% di marginale (ma a partire da redditi relativamente bassi pagheranno il 40% e oltre).

  11. Salvatore

    Per migliorare ed incentivare i fondi pensioni alternativi: inglobare la cifra della deducibilità nel fondo obbligando alle assicurazioni l’eliminazione dei caricamenti perché sono questi che scoraggiano le adesioni. In effetti è usura perché devo darti i soldi e su questi invece di darmi gli interessi dopo un anno tu che mi assicuri mi fai pagare a me gli interessi sui miei soldi e per di più con un anno anticipato cosi facendo per ogni singolo versamento ci vogliono 2 anni prima che cominci ad essere redditizio.

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