Lavoce.info

TUTTI PROMOSSI

Tra il 2000 e il 2006 l’occupazione pubblica è aumentata di 107 mila unità e le retribuzioni lorde pro-capite del 28,6 per cento. Si è ampliato il differenziale retributivo tra le qualifiche e modificata la composizione per qualifiche, con un massiccio spostamento del personale verso quelle più elevate. I meccanismi delle promozioni sono decisi dalla contrattazione integrativa. Bisogna invece adottare un modello che premia il merito e dà i giusti incentivi ai singoli, senza fingere che tutto sia governato da misurazioni di obiettivi e risultati mal definiti e mal valutati.

Nel periodo 2000-2006 la spesa pubblica per redditi da lavoro dipendente è cresciuta dal 10,4 all’11 per cento del Pil, il che corrisponde a una crescita media dell’1,8 per cento reale l’anno. Cosa è accaduto all’occupazione e alle retribuzioni medie? Sono stati anni contraddistinti dalla reiterazione di misure di forte limitazione del turnover del personale. Eppure, secondo l’Istat l’occupazione pubblica è aumentata di 107mila unità di lavoro, da 3.525.000 nel 2000 a 3.632.000 nel 2006. Un +3,1 per cento in sei anni, forse non è molto ma dalle norme emanate nel periodo ci si poteva attendere un risultato diverso.

Retribuzioni e contratti

Allo stesso tempo, le retribuzioni lorde pro-capite (sempre dati di contabilità nazionale) sono aumentate del 28,6 per cento, contro l’incremento del 15,1 per cento fatto registrare dall’indice dei prezzi al consumo. La dinamica delle retribuzioni è interessante anche perché realizzata in un periodo che dovrebbe scontare la piena applicazione del nuovo modello contrattuale per il pubblico impiego introdotto a metà degli anni Novanta. In sintesi, prevede due livelli di contrattazione: quello nazionale cui è affidato il compito di garantire una crescita delle retribuzioni in linea con l’andamento dell’inflazione e quello decentrato (integrativo) che determina gli aumenti delle retribuzioni collegati alla dinamica della produttività individuale e collettiva a livello di singola amministrazione. Prendendo al valore dichiarato la descrizione di questo modello contrattuale, la dinamica delle retribuzioni registrata negli ultimi sei anni sarebbe coerente con una crescita complessiva della produttività nel pubblico impiego di 13,5 punti (la differenza tra crescita delle retribuzioni e crescita dei prezzi).
Per saperne di più, dobbiamo guardare a dati meno aggregati di quelli di contabilità nazionale. L’Istat pubblica nell’annuario delle Statistiche delle amministrazioni pubbliche dati sulla distribuzione del personale e le retribuzioni medie per gruppi di qualifiche. La serie parte dal 1999 e arriva fino al 2003 (l’ultimo annuario è stato pubblicato nel febbraio 2007). Dall’esame di questi dati, emergono due fatti salienti: si è ampliato il differenziale retributivo tra le qualifiche e si è modificata la composizione per qualifiche, con un massiccio spostamento del personale verso quelle più elevate.
Le due tabelle mostrano i dati per il complesso delle amministrazioni pubbliche e per il comparto dei ministeri e della presidenza del Consiglio, che viene evidenziato perché non solo è quello numericamente più importante, ma è anche quello con dati che dovrebbero essere più affidabili. Nel quadriennio considerato, per il complesso delle Ap, a fronte di un incremento della retribuzione media complessiva del 19 per cento, per i dirigenti generali l’incremento è stato del 53 per cento (sic) e per i dirigenti del 29 per cento; gli incrementi per gli altri gruppi di qualifiche, inclusi funzionari e quadri, sono stati inferiori alla media. Il rapporto tra la retribuzione media dei dirigenti generali e quella degli impiegati è aumentato di quasi un terzo. Lo stesso ampliamento del differenziale retributivo si riscontra tra dirigenti generali e funzionari (tabella 1). Per il comparto dei ministeri valgono considerazioni analoghe.

Avanzamenti di carriera quasi generalizzati

Si potrebbe sostenere che l’ampliamento dei differenziali retributivi è un fenomeno che si ritrova anche nel settore privato, dove anzi assume caratteristiche molto più pronunciate. Quello che non c’è nel settore privato è il fenomeno illustrato nella tabella 2: lo slittamento verso l’alto della composizione per qualifiche del personale. Nel periodo 1999-2003, il personale in servizio è cresciuto per il complesso delle Ap del 5 per cento, ma il numero dei dirigenti generali si è più che quadruplicato (da 1.394 unità nel 1999 a 6.053 nel 2003) e quello dei dirigenti è aumentato del 34 per cento. Il fenomeno si ritrova, seppure un po’ meno intenso, anche nel comparto dei ministeri (dove il numero dei dirigenti generali si è limitato a triplicarsi). 
La classificazione per gruppi di qualifiche non consente di apprezzare appieno il fenomeno, che non è circoscritto ai dirigenti. Per il personale non dirigenziale, ci informa l’Isae (Finanza pubblica e Istituzioni, maggio 2007) nel periodo 2001-2005 la mobilità orizzontale (passaggio a un livello superiore all’interno della stessa categoria) ha interessato 1,4 milioni di dipendenti (il 38 per cento del personale pubblico) e la mobilità verticale (il passaggio a una categoria superiore) 670 mila dipendenti (il 25 per cento del personale pubblico). Complessivamente, in quattro anni quasi due terzi del personale non dirigenziale ha quindi ottenuto una promozione.
I meccanismi delle promozioni sono decisi in sede di contrattazione integrativa e sono basati, tra l’altro, su criteri quali la formazione e il titolo di studio. Un’importante esternalità negativa di questa “industria” è lo scandalo del fiorire in varie università di corsi di laurea facilitati dedicati a categorie di dipendenti pubblici, previa convenzione con l’amministrazione di appartenenza. Tra i criteri, naturalmente, figurano la professionalità e le capacità individuali, non è chiaro valutate in che modo. Per inciso, lo spostamento verso qualifiche più elevate stride con una composizione del personale in cui il 36,5 per cento degli uomini e il 19,7 per cento delle donne ha soltanto la licenza elementare o quella media inferiore (dati Istat riferiti al 2003).
Le conseguenze sono molto serie. Per prima cosa, sull’equilibrio della finanza pubblica. La contrattazione integrativa è finanziata per le amministrazioni esterne allo Stato dai fondi unici di amministrazione (alimentati dai risparmi sulle spese di funzionamento, inclusa parte delle economie sulle spese del personale derivanti da riduzioni degli organici e cessazioni dal servizio), sul cui utilizzo il controllo è affidato ai collegi dei revisori, ai nuclei di valutazione, ai servizi di controllo interno. Non vi è alcun controllo dal centro, che non conosce neanche l’ammontare delle risorse complessive disponibili nei fondi di amministrazione (Isae, 2007). Visto il peso che ha assunto la contrattazione integrativa, pari almeno a quello della contrattazione nazionale, ne derivano ovvie difficoltà di prevedere e tenere sotto controllo la dinamica della spesa per il personale.
In secondo luogo, ed è forse ancora più importante, la labilità dei modelli organizzativi. Quale modello è quello che in pochissimi anni consente di quadruplicare il numero dei dirigenti generali e di promuovere a una qualifica superiore la quasi totalità del personale non dirigenziale?
La causa ultima di questa deriva sta nella pretesa di scimmiottare, senza gli opportuni aggiustamenti, le relazioni industriali del settore privato (per di più, un settore privato ideale, inesistente) in un contesto – quello del pubblico impiego – non assoggettato alla disciplina del mercato e in cui le misure della produttività sono per loro natura altamente opinabili. E in un’amministrazione come quella italiana, tradizionalmente poco capace di controllare e in cui l’autonomia tende a trasformarsi in separatezza.

Soluzioni possibili

La soluzione è complessa. Innanzi tutto, le risorse per incentivare la produttività dovrebbero avere una dimensione predeterminata in sede di programmazione di bilancio per l’intero settore pubblico. La loro erogazione dovrebbe basarsi su indicatori ben definiti, a livello di singola amministrazione, trasparenti e spiegabili al pubblico, facilmente misurabili dall’esterno e mantenuti stabili nel tempo, in modo da poterne misurare i progressi (LINKBoeri-Pisauro). Se ciò non è possibile, meglio farne a meno. Naturalmente i premi per la produttività a livello di ufficio dovrebbero essere revocabili da un anno all’altro e non dovrebbero tradursi in avanzamenti di carriera per i singoli. 
La cosa più importante è che le carriere dei singoli dipendenti dovrebbero svilupparsi in un contesto in cui la struttura delle qualifiche è data e può mutare solo se cambia il modello organizzativo (cosa che di solito avviene raramente). Gli avanzamenti dovrebbero, quindi, avvenire a numero chiuso e il loro numero non dovrebbe essere oggetto di contrattazione con i sindacati. La valutazione della produttività individuale, affidata ai dirigenti, dovrebbe naturalmente essere una importante componente dei criteri di selezione del personale per gli avanzamenti di carriera.
Il disegno delle carriere dovrebbe poi tener conto esplicitamente della natura di lungo periodo del rapporto di pubblico impiego e delle competenze idiosincratiche (non spendibili cioè in altri contesti) che i singoli vi sviluppano. Sono le situazioni in cui, secondo la teoria economica, tendono a stabilirsi profili salariali crescenti nel tempo in funzione dell’anzianità.
Con le riforme degli anni Novanta, in Italia siamo passati da un pubblico impiego con carriere governate esclusivamente dall’anzianità a una situazione in cui quest’ultima non svolge alcun ruolo esplicito (esso sopravvive per gli insegnanti della scuola e per le categorie non contrattualizzate, come magistrati e professori universitari). Le promozioni in massa dei dipendenti pubblici degli ultimi anni possono essere interpretate come un recupero surrettizio e disordinato del ruolo dell’anzianità, un sintomo che il disegno della riforma non funziona. La soluzione non è un ritorno al passato, ma un modello che tenga insieme merito e progressione delle carriere individuali. Dovrebbe essere, quindi, reintrodotta una progressione economica predeterminata, legata all’anzianità, di ammontare modesto ma di segno positivo. Questa dovrebbe comunque essere vincolata alla valutazione della produttività individuale da parte dei dirigenti. L’anzianità non dovrebbe svolgere, invece, un ruolo preminente nelle promozioni alle qualifiche superiori, che dovrebbero avvenire in modo selettivo sulla base del merito e a numero chiuso, vale a dire a struttura organizzativa (composizione per qualifiche) data.
A grandi linee, è il modello utilizzato in varie organizzazioni internazionali e anche in burocrazie di eccellenza italiane (ad esempio, la Banca d’Italia) ed è in grado di premiare il merito e di dare i giusti incentivi ai singoli, senza fingere che tutto sia governato da misurazioni di obiettivi e risultati mal definiti e mal valutati.

Tabella 1 – Retribuzione lorda media annua del personale effettivo in servizio per gruppi di qualifiche (euro)
             
   Dirigenti generali e qualifiche assimilabili  Dirigenti e qualifiche assimilabili  Funzionari e quadri  Impiegati e personale operativo  Contrattisti ed equiparati Retribuzione media complessiva
anno 1999            
Ministeri e Presidenza del consiglio 89.461 51.466 23.320 21.394 32.175 23.053
Complesso Amministrazioni pubbliche 87.771 52.741 26.219 20.347 20.962 23.701
anno 2003            
Ministeri e Presidenza del consiglio 138.753 59.257 25.781 24.980 34.313 26.223
Complesso Amministrazioni pubbliche 134.391 67.939 30.604 24.110 24.343 28.186
tassi di variazione            
Ministeri e Presidenza del consiglio 55% 15% 11% 17% 7% 14%
Complesso Amministrazioni pubbliche 53% 29% 17% 18% 16% 19%

 

Tabella 2 – Personale effettivo in servizio al 31 dicembre per gruppi di qualifiche  
  Dirigenti generali e qualifiche assimilabili Dirigenti e qualifiche assimilabili Funzionari e quadri Impiegati e personale operativo Contrattisti ed equiparati Personale non classificato (a) Totale
anno 1999              
Ministeri e Presidenza del consiglio 1.056 27.824 923.734 802.739 2.190 2.969 1.760.512
Complesso Amministrazioni pubbliche 1.394 87.104 1.293.941 1.863.295 10.192 120.810 3.376.736
anno 2003              
Ministeri e Presidenza del consiglio 3.647 30.895 932.239 972.279 5.117 2.214 1.946.391
Complesso Amministrazioni pubbliche 6.053 116.439 1.263.224 2.096.214 19.732 38.834 3.540.496
tassi di variazione              
Ministeri e Presidenza del consiglio 245% 11% 1% 21% 134% -25% 11%
Complesso Amministrazioni pubbliche 334% 34% -2% 13% 94% -68% 5%
(a) Personale per il quale le informazioni relative alla qualifica di appartenenza non sono disponibili.

Fonte: Istat, Statistiche delle Amministrazioni pubbliche, vari anni.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Non c'è accordo sulla direttiva per i lavoratori delle piattaforme
Leggi anche:  Rinunciare al salario minimo costa caro*

Precedente

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Successivo

Cina, l’insostenibile figlio unico

17 commenti

  1. Adriano Sala

    La diagnosi dei costi della PA mi pare corretta e interessante. Essa fornisce anche una base razionale alla evasione fiscale.
    Sulle soluzioni possibili credo che l’autore pecchi di ingenuità. Risorse per la produttività sarebbero ulteriori soldi buttati dalla finestra, perchè i sindacati studierebbero un sistema di parametri che renderebbero certo il premio. Questo avviene già in molte aziende private, figuriamoci nel pubblico. Il fatto che gli avanzamenti per anzianità, buttati dalla porta negli anni ’90, siano poi rientrati dalla finestra la dice lunga.
    I pannicelli caldi non servono. Occorre una cura drastica che tenga conto del rapporto costi per la collettività e benefici per la collettività: questo dovrebbe essere l’unico parametro di produttività. Ed è inutile contrattarlo con i sindacati. Ma quando mai i sindacati si sono impegnati realmente a far lavorare di più o anche solo meglio i propri tutelati.
    Cordialità.

    A. Sala

  2. chiara cristini

    Più che un commento, una richiesta. A mio parere sarebbe estremamente interessante e un’analisi di genere dei dati presentati. Sarei curiosa di conoscere quante donne sono interessate da questo “massiccio spostamento” verso qualifiche più elevate… Grazie.

  3. martino

    19,733,629 è il numero totale di dipendenti pubblici degli stati uniti (tra federali, singoli stati e amministrazioni locali) a fronte di una popolazione di 299,398,484. dunque il 15% circa.
    da noi è circa il 16% (60mln/3,6mln).
    Deve essere considerata quindi una percentuale fisiologica? o c’è qualche inghippo? o va misurata sui lavoratori privati (e qui i ratios non saranno più molto vicini, mi sa)?
    (se le percentuali sono simili perchè da noi le imposte sono così alte? Dove sono gli altri costi? guadagnano meno i public employees americani?)

  4. Mauro

    La retorica della produttività nel pubblico impiego e la retorica del merito fanno oggi premio sulla necessità di riconfigurare gli obiettivi e l’organizzazione del settore pubblico.
    Siamo sicuri che le logiche democristiane che hanno prevalso dal dopoguerra ad oggi, siano le uniche applicabili nel settore pubblico? Clientelismo e servilismo non possono essere sostituiti da criteri politici differenti senza che intervenga una radicale trasformazione della cultura statale di governo. In Francia vi è una Scuola per managers della Pubblica Amministrazione. Ma Napoleone non era un Borbone….Ognuno al modello statuale che si merita….con buona pace di chi rimpiange la DC.

  5. domenico

    Caro prof. Pisauro condivido buona parte del suo articolo, ma non tutte le soluzioni da lei proposte. Non credo che pubblicherete il mio commento, perchè noto che non accettate volentieri linee politche diverse dalle vostre. Comunque provo sinteticamente a dire la mia. Sono un dipendente pubblico del comparto ministeri, e per esperienza vedo che dalle “statistiche”, non sempre è facile conoscere la realtà. Ho una Laurea e un master, ma nelle promozioni interne automatiche tutti mi passano davanti, perchè l’anzianità conta ancora molto, purtroppo. Vietare queste promozioni e legare gli aumenti all’ anzianità, come lei suggerisce, e un’ottima soluzione. Ma dare a un Dirigente il potere di premiare il merito individuale, sarebbe il colpo di grazia per la pubblica amministrazione. Io credo che il modo migliore per premiare il merito e le capacità sia sempre il classico concorso pubblico, se ben fatto e senza raccomandazione. Per il concorso pubblico vale ciò che è stato detto per la democrazia, è un pessimo sistema, ma non esiste uno migliore. La Corte Costituzionale l’aveva detto, ma grazie al potere dei sindacati, tutto è stato disatteso. La privatizzazione del pubblico impiego è stata un fallimento, e purtroppo tutte le soluzioni, sposano la stessa concezione culturale individualista; l’homo ecomoics, lavora e fa bene solo in vista di un incentivo monetario. In realtà se passasse la politica di premiare il merito individuale, tutti i colleghi sarebbero nemici e competitori, tutti cercherebbero i vari escamotage per essere premiati e sia il clima relazionale che la “produttività”, non ne guadagnerebbe. Siccome la P.A. non deve rispondere al mercato, e chiunque può immaginare come i dirigenti premierebbero il merito, con soldi non loro, ma pubblici, mi riesce difficile pensare come eminenti studiosi possono proporre misure del genere. Già oggi che il contratto integrativo premia i progetti, tutti pensano a fare progetti, tralasciando il lavoro ordinario…. e meno male che la saggezza pratica molte volte distribuisce questi soldi a tutti in parti uguali (purtroppo non sempre). Comunque anche tralasciando questione culturali o sociologiche, da studioso di economia ho studiato un pò il fenomeno delle rent seeking a cui bisognerebbe prestare molta attenzione nella P.A.

  6. Michele Gentile

    Quindi secondo la ricerca nei Ministeri e nella Presidenza del Consiglio dei Ministri vi sarebbero nel 2003 3647 Dirigenti Generali? Nel Conto annuale del Ministero dell’Economia e delle Finanze i Dirigenti generali in tutte le P.A. ( escluse PS;FF.AA;Prefetti ed Ambasciatori) risultano circa 841. Continuo a pensare che c’è qualcosa nei dati presentati di poco chiaro. Distinti saluti Michele Gentile

  7. Non posso espormi

    E’ tutto tragicamente vero.
    Uffici prima diretti da un dipendente non dirigente funzionavano più o meno come adesso. La differenza è che adesso c’è un dirigente (a volte anche due o tre) al quale fare da balia e in qualche caso da mettere in condizione di non nuocere.
    Purtroppo l’epoca della concertazione non ha migliorato le cose.

    AIUTATECI!

  8. Auditore Marcello

    Quale pubblico dipendente, sono grato al prof. Pisauro per essersi distinto dalla generalità dei commentatori e degli editorialisti. In questo intervento ha dato conto delle dinamiche retributive pubbliche distinguendo per gruppi di qualifica. Spesso le discussioni basate sui dati medi non rendono giustizia a quell’esercito di funzionari di medio livello e di esecutivi che, sottopagati, male attrezzati e ancor peggio organizzati, tengono a galla il nostro malandato settore pubblico.

  9. Luigi Brossa

    L’articolo sconta due problemi: i dati sono vecchi (quelli retributivi più recenti risalgono al 2003!), alcune affermazioni non sono motivate (da cosa si dovrebbe dedurre che la direzione per obiettivi non funziona?)
    La proposta conclusiva che viene formulata risente di questi limiti. Ad esempio l’idea di prevedere, per costruire in futuro i percorsi di carriera, la reintroduzione di una blanda progressività collegata alla anzianità sul modello delle amministrazioni di elité, dimentica che esistono rilevantissime differenze tra le funzioni svolte da un comune e quelle svolte dalla Banca d’Italia, sia sotto il profilo della motivazione, sia sotto quello della prestazione richiesta. Diminuire ulteriormente, in favore della anzianità, il già scarso differenziale retributivo connesso alla valutazione dirigenziale sulla base degli obiettivi, peggiorerebbe la situazione. In sostanza il modello proposto probabilmente si adatta discretamente ad amministrazioni d’elité, ma rappresenterebbe un drammatico ritorno indietro nelle altre amministrazioni, dove il processo di collegamento tra prestazioni e retribuzioni dovrebbe anzi essere ulteriormente rafforzato a scapito di automatismi che peggiorerebbero la forza del ruolo dirigenziale e le performances collegate.

  10. Bruno57

    Va premiato sicuramente il merito e ciascun contratto ha le sue regole derivanti dal diritto civile e quelle dei dipendenti pubblici sono dettate dalle parti. Il nuovo contratto ministeri ad es prevede grosse novità in tal senso.Per alcune categorie ci sono però solo automatismi e la spesa pubblica non è indifferente a tali regole…sic! (avvocati magistrati, personale militare, forze polizia, carriera prefettizia, prof universitari e ricercatori). Per altri esistono retribuzioni di 1200 euro da 12 anni (vedi beni culturali, giustizia,motorizzazione ecc.) senza incrementi perchè il diritto alla carriera dipende da concorsi interni aboliti dalle finanziarie. Le progressioni attuali sono meramente economiche perchè se prima esistevano due persone che facevano due cose diverse ora ne esite che indifferentemente fa l’una e l’altra e nel pubblico impiego non vengono riconosciute le mansioni superiori come nel privato e il turn over è inesistente. Il panorama è molto variegato e complesso e quando si parla di (disagio) nel pubblico impiego va precisato di quali contratti si parla e di quali soggetti perchè tra enti locali regioni e ministeri pur essendo tutti contrattualizzati esistono differenze enormi. i contratti integrativi dei primi si fanno nel comune o ASL e può (potrebbe) accadere che di passaggi se ne fanno tanti, per i secondi sono fermi da oltre 12 anni(vedi cancellieri della giustizia e le condizioni di lavoro dei palazzi di giustizia). Le retribuzioni dei politici (anche locali) non sono agganciate ad integrativi..ma a molti interrogativi…

  11. Carmelo Miragliotta

    Purtroppo è una malattia molto diffusa. La cosa pubblica è considerata di nessuno; l’Amministrazione Pubblica non fa differenza: è un sistema dove “accomodarsi” e vivere tranquillo, possibilmente tirandosi dietro parenti e amici.
    Il contratto della funzione pubblica non dovrebbe esistere ma essere regolato dalle stesse norme valide nei contratti del settore privato; essere agganciato alle variazioni salariali di operai, impiegati ecc. (e non viceversa, Dio ce ne scampi!!!) mentre per le qualifiche creare dei parametri uguali a quelli dei Paesi più virtuosi tipo Spagna, Germania, Inghilterra, ecc. — Ma che volete, sino a quando il lupo si prepara il pasto da solo la scelta sarà sempre a discapito degli agnellini.

  12. Renato Fianco

    E’ vero che nel pubblico impiego la valutazione è difficile o assente, ma credo che finchè questa rimane all’interno sarà sempre così. La soluzione potrebbe essere veri nuclei di valutazione esterni e indipendenti, che valutino le performance a partire dai dirigenti. Pur essendo iscritto al sindacato, credo che nel pubblico impiego non bisogna scimiottare la contrattazione privata. Infatti i pubblici dipendenti sono pagati con i soldi di tutti e si dovrebbe considerare che gli attori sono 3: pubblica amministrazione, dipendenti pubblici, utenti e cittadini che usufruiscono e pagano!

  13. carmelo lo piccolo

    L’unica vera possibilità di premiare il merito e consentire avanzamenti di carriera nella Pubblica Amministrazione sono i concorsi interni. Anche se essi si prestano ad essere variamente manipolati, infatti, sono l’unico modo per consentire a chi sa e chi sa fare di andare avanti. Il Sindacato dovrebbe battersi per favorire in tutti i modi lo svolgimento di concorsi interni, vigilando sulla corretta e puntuale applicazione della normativa in materia di trasparenza dei procedimenti amministrativi nell’interesse di tutti i concorrenti. Bisognerebbe inoltre sfatare il falso mito del titolo di studio, che del resto ormai vale solo nel Pubblico Impiego: i concorsi devono essere per soli esami e per tutte le qualifiche, dirigenza compresa. Del resto, un laureato, se ha studiato veramente e con serietà, non dovrebbe temere alcuna concorrenza da parte dei dipendenti non laureati, poichè dovrebbe possedere delle cognizioni superiori che lo dovrebbero porre in condizione di superare con un punteggio alto le prove d’esame. Si eviterebbe in questo modo il mercato delle lauree all’ingrosso, con titoli conseguiti con tre o quattro esami al massimo e che non attestano nessuna reale preparazione. Si dovrebbe inoltre confutare l’attuale orientamento della giurisprudenza circa la legittimità dei concorsi interni, rammentando alla Corte Costituzionale e a quella di Cassazione che il "concorso interno" non si può in alcun modo qualificare come una "nuova assunzione", bensì come una possibilità di variare mansione e qualfica all’interno di un rapporto di lavoro già preesistente. Bisognerebbe applicare, in un Pubblico Impiego che ci si ostina ipocritamente a definire "privatizzato", uno dei principali istituti del lavoro privato, e cioè il riconoscimento economico e giuridico delle mansioni superiori espletate dal dipendente. Insomma, ci vorrebbero poche modifiche strutturali e di buon senso, e anzichè ubriacarsi con valutazioni cervellotiche e comunque mal definite e faziose introdurre queste riforme, che premierebbero sul serio il merito. Ma figuratevi se la "casta" dirigenziale e quella politica potrebbero mai favorire questi provvedimenti che sicuramente sottrarrebbero al loro controllo la Pubblica Amministrazione!

  14. Marita La Rosa

    Questo documento ci conferma, insieme a tanti altri (a parte qualche errore sul numero dei dirigenti), che la contrattualizzazione del rapporto di lavoro che doveva migliorare la gestione delle risorse umane ha fallito i suoi obiettivi. E’ un paradosso che negli ultimi dieci anni abbiamo semplificato le procedure, introdotto l’autocertificazione, decentrato, esternallizzato, riqualificato il personale (purtroppo solo economicamente), investito circa 2mld di euro in e-government e nonostante tutto serve più personale. E’ chiaro che serve il personale bravo e veramente qualificato, motivato e flessibile. Voglio vedere quanta flessibilità perderanno le ppaa dopo la stabilizzazione dei cosiddetti precari. Inoltre, pochi sanno che portando il personale tutto in C e D (le categorie più elevate: oggi aree) si hanno due effeti negativi: da un lato non hai funzionari veramente tali e devi poi esternalizzare le funzioni rinetranti nelle declaratorie di A e B. E poi i sindacati criticano le esternalizzazioni. Guardate le dotazioni organiche degli enti pubblici non economici, ad esempio, o di alcuni enti locali. Ultimamente ci siamo inventati 6 o 7 fascie retributive per aree per superare il vincolo giuridico delle progressioni verticali. Marita La Rosa

  15. zitello

    Serve a poco la meritocrazia, se la contrattazione locale ha ovunque un meritificio, che porta avanti progetti e corsi senza altro scopo che distribuire incentivi e titoli valutabili per l’ennesima promozione di massa. Se dunque i compiti vengono assegnati in gran parte per creare diritti acquisiti, non vedo tanta utilità nel perseguire i fannulloni chenon li eseguono.

  16. Leopoldo Rodà - Latina

    Ho visto e vedo gente che, agguantato il "tempo indeterminato", crede di essere finalmente pervenuto alla pensione sicura. Si assenta volentieri e, quando è presente fisicamente, svolge il minimo possibile. Accade per docenti e ATA nelle scuole, che preferiscono passare il loro tempo a parlare con i presidi o stare chiusi in ufficio anzichè servire gli alunni; ho visto presidi sparire per diversi giorni, ma poi seduti dal parrucchiere mentre la scuola è invasa da infiltrati che girano nei corridoi per loschi traffici con gli alunni; ho visto infermieri che, anzichè servire i malati (front office), si rinchiudono in infermeria a confabulare tra di loro o con i medici (back office); ho visto primari che, nel reparto di cui sono responsabili, non guardano mai i bagni dei malati che, con cinque drenaggi attaccati, tentano di farsi in un bidé che non funziona, mentre all’entrata del bagno c’è un grosso pallet di metallo che ne ostruisce l’utilizzo! ho visto e vedo ogni giorno migliaia di cose gravi… se il pubblico dipendente sapesse che può perdere il lavoro da un momento all’altro, sicuramente produrrebbe di più.

  17. Nino Ferrari

    Concordo con la sostanza dell’articolo. E’ assolutamente necessario impiegare questo momento psicologico particolare per attuare velocemente le proposte di semplici metodi di valutazione meritocratica. Se ci adagiamo in ricerche di metodologie sofisticate perdiamo ” l’attimo fuggente “.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén