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IL GOVERNATORE DI AQUILONI

Un mestiere difficile quello del banchiere centrale. Eppure, nonostante la crisi finanziaria e la grande volatilità dei mercati, la Fed ha mantenuto il controllo dei tassi di interesse a breve-medio termine ed è ancora in grado di guidare le aspettative degli operatori finanziari su un orizzonte temporale più lungo. Nel futuro prossimo, dovrà convincere il mercato che i tassi resteranno a zero abbastanza a lungo. Farà dunque maggiore affidamento sul potere persuasivo delle sue dichiarazioni. E per questo anche il linguaggio dovrà rinnovarsi.

Il principale obiettivo istituzionale della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, consiste nel mantenimento di prezzi stabili e della piena occupazione. (1) Lo statuto della Banca centrale europea fa invece esclusivo riferimento al tema della stabilità dei prezzi. Tuttavia, in entrambi i casi, gli strumenti di politica monetaria influenzano le variabili macroeconomiche soltanto in maniera indiretta.

SORPRESE DI POLITICA MONETARIA

Una banca centrale come la Fed manovra direttamente il cosiddetto federal funds rate, ovvero il tasso a cui accetta di prestare denaro alle banche commerciali: per il resto, il meccanismo di trasmissione della politica monetaria avviene in maniera indiretta, attraverso l’influenza del federal funds rate sui tassi di interesse a breve termine, i quali a loro volta influenzano le aspettative degli agenti economici sull’andamento futuro di questi tassi.
Il meccanismo di trasmissione non si ferma qui: le aspettative sui tassi a breve futuri vengono incorporate nei tassi di interesse a medio-lungo termine, nel prezzo delle azioni e nei tassi di cambio. E sono i movimenti nei prezzi di queste attività finanziarie a influenzare il comportamento degli agenti privati e delle imprese, cioè l’economia reale. Da questo punto di vista, per quanto possano valere le metafore, il mestiere del banchiere centrale assomiglia di più al manovratore di aquiloni che al pilota di formula uno, ma con i tempi di reazione, e i nervi saldi, richiesti al secondo.
Rimanendo nella metafora, viene spontaneo domandarsi se nella tempesta che ha scosso i mercati finanziari, i banchieri centrali riescano ancora a manovrare con efficacia il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. A priori si potrebbe sospettare il contrario, ma un recente lavoro di Kai Carstensen e Carlo Rosa mostra come non vi sia stato alcun cambiamento strutturale, a partire dall’agosto 2007, nella reattività dei tassi di interesse di mercato alle “sorprese” nei federal fund rates, cioè alla differenza tra quello che la Fed decide e quello che il mercato si aspetta che decida. (2)
Nella figura sotto riportiamo la stima, periodo per periodo, di quanto il tasso di interesse del Treasury bill con scadenza annuale, ovvero il Bot statunitense, reagisca a una sorpresa di politica monetaria di ammontare dato. Appare in modo chiaro come la reattività dei tassi di interesse di mercato alle sorprese di politica monetaria risulti complessivamente stabile.
Ciò significa che, nonostante la crisi finanziaria e la grande volatilità dei mercati, la banca centrale americana non soltanto ha mantenuto il controllo dei tassi di interesse a breve-medio termine termine, non soggetti a rischio di liquidità e problemi di default, tipo Ois e Tbill, ma è ancora in grado di guidare le aspettative degli operatori finanziari su un orizzonte temporale più lungo.

Questo grafico riporta il coefficiente ricorsivo della seguente regressione: DTbillt = b×MPSt + et, dove DTbilltè la variazione nel rendimento del tasso ad un anno del Treasury bill nei giorni in cui si riunisce il Federal Open Market Commitee della Fed, MPSt è la sorpresa di politica monetaria al tempo t (monetary policy shock), ed et rappresenta tutti gli altri fattori, esclusa la politica monetaria, che influenzano il tasso d’interesse sul Treasury bill. I dati si riferiscono all’intervallo di tempo da Febbraio 2002 a Dicembre 2008.
Il quadro complessivo della politica monetaria mostra dunque aspetti contrastanti: da un lato si è rapidamente giunti al “pavimento” di un tasso di sconto nullo, ma nel tragitto l’efficacia della politica monetaria è rimasta pressoché immutata.

NUOVI LINGUAGGI PER I BANCHIERI

La prospettiva futura della politica monetaria resta comunque non facile: si tratta di capire come la Federal Reserve, insieme con le altre banche centrali, riuscirà a guidare l’economia nell’attuale situazione di trappola della liquidità, cioè in prossimità del “pavimento”. A questo proposito viene in aiuto l’analisi formulata da Michael Woodford, che in tempi non sospetti aveva già messo in evidenza il ruolo cruciale giocato dalla comunicazione da parte della banca centrale a proposito delle sue future decisioni di politica monetaria. (3) In altre parole, quando il tasso di politica monetaria non può essere ulteriormente tagliato, la banca centrale deve usare “munizioni nuove”, ovvero convincere il mercato che terrà i tassi d’interesse a zero abbastanza a lungo, accettando – o meglio auspicando – un’inflazione positiva.
Ci si può quindi aspettare che nel futuro prossimo la Fed farà maggiore affidamento sul potere persuasivo delle proprie dichiarazioni.
Ma forse anche il linguaggio dei banchieri centrali ha bisogno di innovazioni, così da aumentare il proprio potere di convincimento in questo periodo difficile, e consolidare la propria credibilità. Un linguaggio nuovo su canali nuovi: un buon esempio di questa tendenza è la serie di articoli che Tim Besley, professore alla Lse e membro del Monetary Policy Committee della Banca d’Inghilterra, ha di recente scritto per tabloid come il Sun e il Daily Mirror, presumibilmente al fine di accorciare il “canale di distribuzione” per i messaggi provenienti dalle banche centrali. (4) Concetti da economista, ma linguaggio da giornalista, come i riferimenti a Strarsky e Hutch e alla “Febbre del sabato sera” per ricordare ai lettori che cosa fossero gli anni Settanta, periodo di inflazione rampante, oppure l’accenno ai tre fantasmi del Canto di Natale di Dickens, per descrivere lo spettro della deflazione e l’esigenza di impedirne l’arrivo.

 

(1)Più precisamente, il mandato della Federal Reserve, come stabilito dal Federal Reserve Act e incorporato nella legge Humphrey-Hawkins del 1978, specifica che la Fed “shall maintain long-run growth of the monetary and credit aggregates (…) to promote effectively the goals of maximum employment, stable prices, and moderate long-term interest rates.”
Vedi http://www.federalreserve.gov/generalinfo/fract/sect02a.htm
(2)Carstensen, K., Rosa, C., 2009, “On the stability of the monetary transmission mechanism in the United States”, Université catholique de Louvain, mimeo.
(3)Woodford, Michael, 2005, “Central-bank communication and policy effectiveness”, Nber Working Paper 11898. Sull’argomento è molto interessante, e sempre di attualità, anche il contributo di Paul Krugman, "It’s Baaack! Japan’s Slump and the return of the Liquidity Trap" sui Brookings Papers on Economic Activity, 1998:2, pp. 137-187.
(4) T. Besley, “As bank holds firm on interests rates, inflation is the enemy – not us”, The Sun, 19 agosto 2008: http://www.thesun.co.uk/sol/homepage/news/money/article1575828.ece

T. Besley, “It’s uncharted territory with no easy way out”, Daily Mail, 22 dicembre 2008.

 

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IL COMPENSO DELL’ A.D. DI UNICREDIT

  1. Federico Giri

    Continuo a pensare che, nonostante l’articolo, la decisione di molte banche centrali di portare i tassi d’interesse vicini allo zero nel lungo periodo non pagherà e anzi farà molti più danni. Ammetto che, probabilmente, questa è l’unica arma per evitare che nel breve periodo la crisi si aggravi. Insomma, una specie di tachipirina. Ma non si può curare così la "polmonite" dei mercati finanziari: c’è bisogno di fiducia, non di liquidità. Quindi fuori i titoli "tossici", nuove regole, basta con le poste fuori bilancio, etc…

  2. luis

    L’articolo è molto tecnico e interessante. Nel mio piccolo io penso che questa crisi sia del tutto nuova e che si è oramai entrati in una zona inesplorata e fuori controllo. Il mare di liquidità immesso nel sistema americano è così massiccio che, come ho letto in un articolo, è di molto superiore all’intero sforzo bellico americano della 2° guerra mondiale.Se si aggiunge che la Federal Reserve sta offrendo denaro a costo zero e che la creazione di denaro è senza precedenti, credo che la situazione sia a dir poco micidiale e drammatica. Se si immette nel sistema un mare di liquidità, si alimenta l’inflazione e si danneggia definitivamente l’economia. Ma siamo nell’inesplorato, io penso che stiamo vivendo un momento terribile che rimmarrà nei libri di storia. Una immane distruzione, un conflitto mondiale senza eserciti.

  3. Gianni

    L’articolo e i nostri autori dimostrano molto bene a che livello di non-senso si sia ridotta la moderna scienza economica Il potere “persuasivo” delle banche centrali fu forse sperimentata per la prima dall’amministrazione Hoover quando di fronte alla spaventosa crescita degli aggregati monetari prodotta dalla FED si tentò di limitare la bolla borsistica della fine degli anni ’30 limitando i prestiti garantiti da titoli. Sappiamo bene con quali risultati. La trappola della liquidità è la pietra tombale del keynesismo con la manipolazione al ribasso dei tassi di interesse che da una parte stimolerebbe gli investimenti e dall’altra li ostacolerebbe. In realtà il tasso di interesse è determinata dalle preferenze intertemporali degli individui e quindi non ha proprio nulla a che fare con la liquidità E’ vero invece che i banchieri centrali stampando moneta dal nulla falsificano il prezzo del denaro (o il tasso di interesse monetario) ed è questa proprio questa la ragione del presente disastro. Cioè la spaventosa misallocazione di investimenti proseguita per anni che ora la domanda dei consumatori finali sta solo cercando di liquidare per riallocare più produttivamente.

  4. andrea

    Concordo con il sig. Federico Giri. La soluzione tassi prossimi a zero e` stata sperimentata in Giappone da ormai un ventennio, il famoso "ventennio perduto" del Giappone. Quali gli esiti? E` stata foraggiata la speculazione, il cosiddetto carry trade che consisteva nell’indebitarsi non gia` per investire nell’economia, ma per speculazioni finanziarie su mercati esteri. Stagnazione e disoccupazione restano protagoniste in Giappone e lo resteranno in Occidente a causa del vero problema che si continua ad ignorare: quello dei differenziali salariali e sociali tra Occidente e Giappone da una parte e Cina, India e emergenti dall’altra.

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