Lavoce.info

UN GRANDE SINDACATO PER UNA GRANDE FIAT

Nella nuova Fiat-Chrysler i lavoratori avranno la quota di maggioranza e un loro rappresentante nell’organo amministrativo. In questo clima di entusiasmo anche i sindacati vedono aprirsi nuove prospettive di partecipazione diretta al capitale e al governo delle imprese. Ma non mancano i rischi. Serve un grande sforzo di elaborazione e fantasia, affinché la partecipazione non si risolva in uno slogan buono per tutti gli usi, ma rappresenti invece una strada realistica per l’affermazione di una vera democrazia economica.

Nella nuova Fiat-Chrysler i lavoratori avranno la quota di maggioranza e un loro rappresentante siederà nell’organo amministrativo: è la soluzione che ha aperto la strada al salvataggio del gigante decaduto americano e all’accordo con la fabbrica torinese. Il clima di entusiasmo per l’industria automobilistica ha coinvolto anche i sindacati, che vedono aprirsi nuove prospettive di partecipazione diretta al capitale e al governo delle imprese.
È un tema non certo originale. In Italia più o meno se ne discute dal dopoguerra e sono decine le proposte di legge presentate e tutte decadute anche per una evidente diffidenza di una parte del sindacato e delle associazioni imprenditoriali. Quando l’economia peggiora, però, la partecipazione torna puntualmente di moda come una delle possibili alternative per favorire ipotesi di risanamento e salvaguardare posti di lavoro.
Niente di male, ma bisogna guardarci bene dentro per verificare costi e benefici e soprattutto per evitare, come purtroppo spesso avviene, che ai facili entusiasmi seguano cocenti delusioni.

ATTENTI AL RISCHIO

La prima banalissima, ma frequentemente dimenticata, considerazione, è che le azioni risentono delle oscillazioni di mercato e la concentrazione di questi investimenti in una unica società espone a un rischio oggettivamente alto: bisogna avere spalle adeguatamente solide per sopportarlo; proprio l’esperienza di alcuni fondi aziendali statunitensi coinvolti in clamorosi e dolorosi default lo testimonia.
E anche stare in un consiglio di amministrazione vuol dire assumere scelte gestionali con i conseguenti rischi e responsabilità. In realtà, l’interesse dei lavoratori, soprattutto quando affrontano grandi sacrifici come nel caso della Crysler, non è tanto co-gestire, quanto avere a disposizione strumenti per conoscere e monitorare le strategie societarie e per rafforzare le loro tutele. Se come recita la recente dichiarazione del G20 di Londra, per uscire dalla crisi, le imprese devono ispirare la loro azione a una nuova “corporate social responsibility”, ogni attore deve fare il suo mestiere. E quello dei lavoratori, in una vera democrazia economica, non è l’azionista, ma lo stakeholder. In altri termini, se possono esserci situazioni eccezionali e temporanee per consentire delicati passaggi aziendali, queste devono collocarsi in limiti rigorosi, evitando un coinvolgimento proprietario e una confusione di ruoli inevitabilmente destinata ad alimentare logiche distorsive.
Un dipendente, naturalmente, può comprarsi come e quando vuole azioni della sua società, ma canali privilegiati che lo spingano o lo incentivino alla partecipazione  azionaria e che configurino una sorta di statuto speciale del dipendente-azionista, possono rappresentare una scelta pericolosa.
Senza considerare, poi, che già oggi le norme di diritto comune prevedono la possibilità di attribuire azioni o strumenti finanziari partecipativi ai dipendenti, anche legando a tali strumenti particolari poteri amministrativi, compresa la nomina di un membro del collegio sindacale.

DALLA COGESTIONE AL CONTROLLO

Bisogna, allora, chiedersi come i dipendenti possano assumere nella governance societaria una posizione in grado di garantire il controllo, senza subire tutti i rischi del coinvolgimento nelle scelte gestionali.
Ci sono innanzitutto le vie della consultazione e dell’informazione, in parte già previste nel nostro sistema e ampliate e rafforzate da alcuni recenti disegni di legge presentati in Parlamento. Ma la via maestra da tutti invocata è il sistema dualistico con la presenza dei rappresentanti dei lavoratori nelconsiglio di sorveglianza.
In effetti, quando in Italia per la prima volta si profilò la possibilità di consentire alle società l’opzione tra modelli di amministrazione alternativi a quello tradizionale, si pensava proprio a quello dualistico.
Il testo definitivo della riforma ha invece compiuto una scelta di totale chiusura su questo terreno, almeno per le società non quotate, tradendo la originaria vocazione del dualistico a divenire luogo di elezione per la diretta presenza dei rappresentanti degli stakeholder negli organi di governo delle società, vocazione che appartiene proprio a quell’esperienza tedesca con la quale la Fiat in un prossimo futuro si dovrà con ogni probabilità confrontare.
Si potrebbero, quindi, cambiare le regole e aprire la strada verso la rappresentanza dei lavoratori nell’organo di sorveglianza. Ma anche qui è meglio guardarci bene dentro.
Il sistema dualistico è decollato da noi grazie soprattutto al famoso punto f-bis dell’articolo 2409 terdecies cc che consente alle società di ampliare le competenze del consiglio di sorveglianza alle operazioni strategiche e ai piani industriali: tutte le prime esperienze applicative, ad esempio nelle banche, lo prevedono. Bisogna allora chiedersi se questo modello sia appetibile per accogliere esperienze partecipative, o se sia più funzionale all’attività di monitoraggio il modello “semplice”, che non investa, con le relative responsabilità, scelte gestionali di grande rilievo.
Il sistema dualistico inoltre riveste importanza marginale rispetto alla stragrande maggioranza di società italiane, compresa la Fiat, che hanno deciso di conservare quello tradizionale. Qui bisognerebbe evitare ogni forma di obbligatorietà, imponendo un vestito anche a chi non lo vuole indossare, e trovare invece strumenti partecipativi che si adeguino alle esigenze delle imprese. Così, si potrebbe valorizzare la funzione di controllo prevedendo la possibilità, in via negoziale, di indicare un membro nel collegio sindacale, o anche nel consiglio di amministrazione. In questo secondo caso, potrebbe essere un amministratore dotato di particolari requisiti, sulla falsariga di quanto previsto per gli amministratori indipendenti e selezionato in base a rigorosi canoni di professionalità. E le forme di autoregolamentazione potrebbero poi prevedere i criteri ai quali l’amministratore deve ispirare i propri comportamenti e le modalità di informazione e accountability nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che lo hanno designato.
La Fiat con ogni probabilità diverrà una grande impresa dove, negli Stati Uniti come in Germania, i lavoratori rivestono ruoli sconosciuti in Italia, e l’asimmetria di “peso” nella governance societaria non potrà durare a lungo. Imprese e sindacati sono chiamati a un grande sforzo di elaborazione e fantasia, affinché la partecipazione non si risolva in uno slogan ambiguo e buono per tutti gli usi, ma rappresenti, nella chiarezza dei ruoli di ciascun attore, una strada realistica per l’affermazione di una vera democrazia economica. 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  I contratti pirata? Ecco dove si trovano
Leggi anche:  Quando la legge diventa alchimia: la lista del Cda*

Precedente

UN ANNO DI GOVERNO: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Successivo

DOVE MORDE LA CRISI IN EUROPA

  1. dante Nicola Faroni

    Non si comprende bene da questo articolo se la mossa dell’amministrazione Obama di dare in gestione una azienda ormai fallita sia presa in considerazione dal’autore di quest’articolo.Lo stato invece di mandare in mezzo alla stada migliaia di lavoratori ha creato un’opportunità per uscire dalla crisi e ha evitato di proscigarsi le tasche con ammortizzatiri sociali. La definirei una mossa intelligente anche se molti hanno paura che queste rivolizioni avvengano anche in Italia (sindacati permettendo). Forse l’autore si preoccupa troppo di metterci in guardia sui pericoli invece di descrivere come il mercato finanziario si dovrebbe riformare per accogliere questi fuochi di ripresa. Forse più di preoccuparsi delle leggi che non ci sono si dimentica che la miglior forma di controllo per i lavoratori è quello di diventare cooproprietari delle aziende. E’ triste contatareche la staticità in cui versa la nostra economia è soprattutto dovuta alla paura o alla riluttanza a voler cambiare!

  2. GIUSEPPE BARBANTI

    I sindacati sono chiamati a sempre nuove e maggiori responsabilità, ma nessuno si chiede se a fronte di tali ulteriori carichi di responsabilità non sia giunta l’ora di dare , non più solo nell’interesse dei lavoratori – calpestato e vilipeso, da sessanta anni di mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione – ma dell’intera collettività regole non equivoche sulle modalità di formazione della volontà all’interno delle organizzazioni sindacali. Anche uno studente universitario di giurisprudenza sa che le norme del codice civile sulle associazioni non riconosciute non danno alcuna garanzia di quella democrazia invocata a gran voce per i sindacati dalla Costituzione. Non sarebbe ora che i parlamentari di destra , sinistra e centro superassero inconfessabili tabù – i sindacati ai politici vanno bene così, deboli, divisi e non rappresentativi – e nell’interesse della Nazione stendessero le norme attuative dell’art. 39 della Costituzione?I lavoratori hanno bisogno di poter far sentire la loro voce attraverso rappresentanti che siano liberi di democraticamente sfiduciare se non rispettano gli impegni assunti . Un grazie sin d’ora se avrete la possibilità di approfondire questo tema.

  3. Marco Ferraro

    Complimenti all’autore.
    Credo sarebbe stato però interessante avere una argomentazione più profonda della posizione contraria alla partecipazione dei lavoratori al capitale azionario.
    MF

  4. Valerio Guerra

    Vorrei stimolare la redazione su un importante argomento legato all’operazione Fiat-Chrysler-Opel e finora ignorato, e cioè sulla stima degli effetti che tale operazione avrebbe sull’immagine (e sulle vendite) del Made in Italy nel mondo. Cordiali saluti

  5. D. Mario Nuti

    La quota maggioritaria del sindacato UAW (United Auto Workers) alla Chrysler sembra un’importante innovazione ma in realtà non lo è, e non merita né l’entusiasmo né le cautele espressi dall’autore. La partecipazione azionaria non è dei dipendenti ma dei pensionati presenti e futuri. Le azioni non saranno mai distribuite ai lavoratori ma sono tenute in trust da trustees del tutto indipendenti, che hanno immediatamente manifestato l’intenzione di venderle per ottenere liquidità e diversificare il rischio nell’interesse dei pensionati. La maggioranza è temporanea perché la partecipazione Fiat salirà al 51% entro il 2015. La temporanea maggioranza da diritto, inspiegabilmente, a nominare solo uno di nove membri nel consiglio di amministrazione, che quindi non conterà niente. Per questo l’entusiasmo è fuori luogo. Altrettanto fuori luogo è ogni preoccupazione circa i rischi dell’operazione. L’azionariato dei dipendenti se non hanno il controllo non conta, se lo hanno gli da la possibilità di espropriare gli altri azionisti. Vedi http://dmarionuti.blogspot.com/2009/05/detroit-employee-ownership-and-control.html e http://www.econ-pol.unisi.it/blog/?p=1061.

  6. antoniop

    Comer mai nessuno pone dei dubbi sul comportamento aziendale delle CCOP in cui i soci-lavoratori contano meno del due di picche, non hanno sindacati di controllo reale ed hanno assistenza inferiore a quelle di qualsiaisi lavoratore dipendente compreso la mancanza del licenziamento per giusta causa? Le scuse per sfruttare i lavoratori dipendenti sia da parte degli industriali? E da parte dei sindacalisti favorisce la schiavizzazione dell’uomo. La persistenza del TFR anche modificato permette la ai sindacati ed agli industriali di tenerli in schiavirù.

  7. gianni poli

    Ripensare due cose solamente: – una nuova corporate governance più partecipativa ma non invasiva. Nel nostro paese il consiglio di sorveglianza (pseudo-copia di quello tedesco) non fa altro che le veci dell’assemblea dei soci, comprendendo i revisori contabili. L’eventuale presenza di rappresentanze delle risorse umane e dei consumatori nel Consiglio di sorveglianza (non certo nel Consiglio di gestione) può essere da stimolo portandoci, da una parte, verso la responsabilità aziendale di dette rappresentanze (concertazione responsabile che eviti certi atteggiamenti di scontro a oltranza magari difronte ad aziende decotte) e dall’altra verso la responsabilità aziendale nei confronti del prodotto o del servizio reso ai consumatori sul mercato (utilities, automotive, food and drugs, banche). – Una nuova partecipazione ai risultati d’esercizio che sia parte della busta paga magari al posto della contingenza (la voce contingenza oggi non ha ragion d’essere) e che non derivi necessariamente dal capitale, analogamente a quanto avviene nell’associazione in partecipazione di solo lavoro.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén