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SE LA RIPRESA PUNTA SUL VERDE

Con la crisi cresce l’interesse per i cosiddetti lavori verdi, legati allo sviluppo di energie alternative. Non mancano le opinioni critiche, ma dal settore potrebbe derivare un aumento sia della produttività che dell’occupazione. E dunque i green jobs potrebbero permettere di riassorbire parte della crisi occupazionale che colpisce settori più tradizionali dell’economia. In ogni caso, hanno un valore intrinseco di tutela ambientale che ha un suo peso economico. E potrebbero consentire, indirettamente, una redistribuzione di risorse a favore delle generazioni future.

 

Una conseguenza dell’attuale crisi economica è l’aumento dell’interesse pubblico per i “green jobs”. Sono quei lavori che impiegano persone in tutte le attività connesse allo sviluppo di fonti di energia alternativa come l’energia solare, eolica eccetera. L’intervento pubblico in loro favore si è concentrato su due aspetti: incentivazione all’utilizzo delle fonti alternative e sostegno dell’attività economica a esse collegata. Rispondere alla crisi investendo in fonti energetiche non è certo una novità, e allora in concreto, cosa possono o non possono fare i green jobs per la crescita economica?

GREEN JOBS E PRODUTTIVITÀ

Cominciamo dalle voci critiche: secondo alcuni, i green jobs comporterebbero una perdita di produttività. (1)
La ragione sostanziale della presunta inefficienza è la duplicità di scopo di questo settore industriale. Da una parte, infatti, si prefigge di sviluppare fonti energetiche che rispettino l’ambiente; dall’altra, vuole anche garantire che queste fonti producano a costi i più contenuti possibile, secondo il principio di efficienza su cui si basano tutte le economie di mercato.  L’obiettivo dell’industria di combustibili tradizionali, e quindi inquinanti, è invece soltanto uno: produrre energia al minor costo. In altre parole, se per ottenere un certo ammontare di energia inquinante è necessaria una persona, mentre per ottenere lo stesso quantitativo di energia pulita sono necessarie due persone, l’utilizzo di energia ecologica produrrebbe in realtà una diminuzione di produttività e solo un aumento illusorio di occupazione. E infatti Adam Rose e Dan Wei della Pennsylvania State University hanno stimato una perdita di circa un milione di occupati per gli Stati Uniti se un terzo dell’energia elettrica prodotta entro il 2015 fosse generata da fonti rinnovabili. (2)
La ragione principale dell’aumento della disoccupazione è il maggior prezzo dell’energia elettrica “pulita”.
Sul versante opposto, un recente paper del Peterson Institute of International Economics parte da un’interessante domanda: se i soldi stanziati con il pacchetto “verde” americano venissero spesi in modo differente, quale sarebbe l’impatto sull’occupazione? (3) I risultati sono sorprendenti: un miliardo di euro speso in energia pulita creerebbe circa 30mila posti di lavoro all’anno contro i circa 25mila che si avrebbero con lo stesso miliardo speso per la costruzione di strade. Gli autori dello studio giustificano il risultato con la maggior spesa privata indotta dallo stimolo pubblico “ecologico” che non si ha con lo stimolo pubblico “non-ecologico”.

EQUITÀ INTERGENERAZIONALE

Pertanto, è complicato prevedere se la perdita di produttività genererà o meno un aumento della disoccupazione come sostengono i critici dei green jobs. Che, fra l’altro, non tengono nemmeno conto di possibili effetti redistributivi intergenerazionali virtuosi. Da un lato, generazioni che hanno fatto del consumismo e dello spreco energetico strumenti indispensabili a mantenere elevatissimi i propri livelli di vita, si troverebbero a dover controllare la propria bulimia energetica. Dall’altro, generazioni future dal benessere sempre più incerto avrebbero la garanzia di un pianeta meno deteriorato. Se dal punto di vista dell’efficienza economica, dunque, la risposta alla domanda iniziale non è così scontata, dal punto di vista dell’equità intergenerazionale esistono argomenti che testimoniano decisamente a favore dell’investimento nell’industria verde. Tanto più se abbandoniamo i tradizionali indicatori di benessere e consideriamo la produzione di energia e la “qualità ambientale” come prodotto congiunto: incentivare l’industria dei green jobs permetterebbe allora di rompere il precedente trade off e ottenere un aumento sia della produttività che dell’occupazione. Secondo questa nuova accezione, dunque, i “lavori verdi” presentano addirittura tre vantaggi: permettono, anche se solo in parte e non perfettamente, di riassorbire parte della crisi occupazionale che colpisce settori più tradizionali dell’economia. Hanno un valore intrinseco di tutela ambientale, il cui peso economico solo da poco tempo si sta cercando di determinare. (4) Infine, permettono indirettamente una redistribuzione di risorse a favore delle generazioni future.

(1) Bradley J. Fikes “Energy: green jobs, brown economy?”.
(2) Si veda l‘Economist del 2 aprile 2009.
(3) Trevor Houser “A green recovery. Assessing US Economic Stimulus and the Prospects for International Coordination”.
(4) Si veda, per esempio, “Clima, è vera emergenza”, Brioschi editore: è la traduzione (parziale) del Rapporto Stern.

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  1. Nicola Baggio

    Complimentandovi con voi per l’ottimo materiale che pubblicate tutte le settimane, mi vedo costretto a puntualizzare un punto da cui questo intervento si dipana. Premetto che il mio è un "green job" quindi forse sono di parte! Lo studio della Penn State è infatti piuttosto dubbio e cozza con i numeri che giornalmente affronto all’interno del settore R&D fotovoltaico in cui lavoro. Attualmente per delle centrali fotovoltaiche (taglia 100 MW) è ragionevole un prezzo di 2.5M€/MW. Tenendo conto che nel sudovest degli USA (ma anche in Sicilia…) ogni MW può produrre 2000 MWh/anno, e ipotizzando una vita utile di 30 anni si ha: 2.5 M€/(2000*30)= 0,042 €cent/kWh … ovvero meno del prezzo del termoelettrico (>5cent) e anche del nucleare (6,1 €cent/kWh secondo Scaroni) . Consiglio inoltre a tutti questo interessante studio buon lavoro e continuate così!

  2. GiovanniVolpe.it

    Il crescente impegno nel settore delle energie alternative, da parte dei più grandi Paesi avanzati, è sintomatico della crescente importanza che riveste. Gli aspetti negativi, sono di solito evidenziati da una parte che ha differenti interessi, anche se al momento sussistono alcuni svantaggi inerenti i costi. Ma, i vantaggi sono molteplici a breve, medio e lungo termine. I green jobs, rappresentano una buona opportunità, sia come settore innovativo, sia per le grandi potenzialità di creare nuovi posti di lavoro. E’ importante non perdere altro tempo, investire anche in ricerca e sviluppo per recuperare in tempi brevi il know-how, con i nostri più diretti competitors.

  3. Michele

    Qualche mese fa ho letto un libro intitolato "Come risanare il pianeta" in cui i due autori, oltre a portare molti esempi di start-up della green economy, tentano di dimostrare la possibilità di un sistema economico alternativo possibile grazie alle nuove tecnologie. In sostanza se il sistema economico attuale -o"negativo"- è basato sul ciclo "extract-process-discard", grazie alla nuove tecnologie possiamo creare un’economia positiva il cui ciclo sia "replace, produce" che inverta il ciclo di depauperamento del capitale naturale ed inizi invece a ri-arricchirlo. In questo sistema economico, la perdita di posti di lavoro legata alla cessazione di attività della vecchia "economia negativa", sarebbe più che compensata dall’aumento dei lavori verdi, in quanto le nuove tecnologie (anche grazie alla maggior distribuzione/minor concentrazione ad esempio degli impianti di produzione energetica) sarebbero più "labour intensive". Ho dovuto sintetizzare massimamente ma spero che il concetto sia chiaro.

  4. Franco

    E’ indubbio che puntare sulla green economy sia una necessità vitale per il pianeta, ma allora perchè tolleriamo che l’Enel riconosca ai privati una semplice sgravio sulla bolletta e non, invece, per chi immette sulla rete nazionale energia pulita, un guadagno effettivo? Riguardo poi gli studi che vorrebbero il fotovoltaico "domestico" più economico del nucleare e idroelettrico vorrei sapere se tengono conto dei costi di manutenzione che , nel caso di produttori piccoli e delocalizzati, non godrebbero di economie di scala nella gestione di detti costi.

  5. Michele Giudilli

    Che le energie rinnovabili siano più economiche di quelle fossili o nucleare sarebbe dovuto al fatto che non vi sono costi "esternalizzati" tipico delle fonti fossili (inquinamentyo dell’aria, inquinamento mari e suoli, smog, malattie respiratorie etc) e di quello nucleare (costruzione, decommising e smaltimento rifiuti). I suoi calcoli mi permetta sono alquanto grossolani e francamente centrali da 2.5 M€/MW mi sembra un prezzo eccessivamente basso. Se fosse così avremmo raggiunto la grid parity. Attualmente il costo è di circa 5 M/MW anche per centrali di grossa taglia. Inoltre nel suo calcolo non sono compresi gli interessi del project finance che incidono particolarmente se si considera i tempi lunghi di ammortamento (10-15 anni), ne il suo calcolo tiene conto delle perdite a livello "balance of system" (inverter, mismatching, rete di trasmissione) e inoltre le ricordo che il silicio tende a perdere efficienza nell’ordine del 0.5-0.75% all’anno. Quindi l’energia che produco il primo anno è maggiore di quella che otterrò nel 30imo anno. Anche io sono del settore e le rispondo non per polemizzare ma per fare un pò più di chiarezza.

  6. Rigitans'

    A parte i ragionamenti economici, che a volte lasciano il tempo che trovano, noi siamo obbligati a fare ciò che serve per non continuare ad inquinare, a salvaguardare il pianeta, a garantire alle future generazioni un minimo di benessere che possa durare nel tempo. comunque l’incertezza del ragionamento e il finale dell articolo dimostrano come comunque sia bisogna puntare sull economia verde ma soprattutto sulla sobrietà nei consumi. http://blog.libero.it/rigitans http://ecodellaterra.blogspot.com

  7. Michele Ballerin

    Ho l’impressione che l’analisi trascuri un elemento importante: investire sulle energie alternative sarebbe anche un modo di ridurre la domanda complessiva (e i prezzi) del petrolio. Diversamente si può prevedere che il costo del petrolio continuerà a crescere inseguendo la domanda mondiale, insieme a quello delle altre materie prime, e questo frenerà la crescita delle economie "avanzate" (le virgolette sono sempre più necessarie) sul medio e lungo periodo.

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