Lavoce.info

OLIVER WILLIAMSON: COSTI E BENEFICI DELL’AUTORITA’

Il Nobel per l’Economia 2009 è stato assegnato a Elinor Ostrom e a Oliver Williamson. La parola chiave comune è governance. Che per Williamson significa lo studio dei confini delle imprese. E se le organizzazioni gerarchiche sono preferibili quando le transazioni sono complesse e quando le parti sono mutuamente dipendenti, va considerato che anche l’autorità ha un costo: il suo abuso. Un lato oscuro a cui si può far risalire lo studio della corporate governance, ovvero delle istituzioni e dei meccanismi che minimizzino la possibilità che dell’autorità si faccia un uso improprio.

 

Il premio Nobel per l’Economia 2009 è stato assegnato a Elinor Ostrom della Indiana University e a Oliver Williamson dell’Università di Berkeley. La parola chiave comune nelle motivazioni è governance: la governance dei beni comuni o collettivi (commons) per Ostrom e per lo studio dei confini (boundaries) delle imprese nel caso di Williamson. L’analisi delle motivazioni del riconoscimento alla Ostrom, prima donna a essere insignita del premio Nobel, si trova nel pezzo di Antonio Massarutto. Qui si analizzano quelle del premio assegnato a Williamson.

IL CONTRIBUTO DI WILLIAMSON
 
Il lavoro di Williamson si inserisce all’interno di un filone di ricerca originato da un altro premio Nobel, Ronald Coase, il quale si era chiesto, in un suo famoso articolo, quale fosse la natura dell’impresa. Più esattamente, Coase si era posto la domanda: perché esistono le imprese? Perché le transazioni economiche non vengono tutte organizzate attraverso i mercati? La risposta che egli aveva dato è che usare il mercato ha dei costi, i cosiddetti costi di transazione. Occorre tempo per negoziare il prezzo, scrivere un contratto e farlo rispettare. A volte questi costi possono essere sostanziali e rendere la relazione economica inefficiente. Le imprese sono invece basate su un diverso principio: quello dell’autorità. Il capo ordina e il subordinato esegue, senza che ci sia bisogno di negoziare.
Ma quando è più efficiente organizzare le transazioni mediante i mercati e quando all’interno di un’impresa? E, di conseguenza, quali sono i limiti dell’impresa, cioè quali attività devono essere svolte dentro l’impresa e quali fuori dall’impresa? La risposta di Williamson è che le organizzazioni gerarchiche sono preferibili quando le transazioni sono complesse e quando le parti sono mutuamente dipendenti, nel senso che non possono rivolgersi ad altri possibili acquirenti o venditori senza sopportare una grave perdita di efficienza.
L’esempio tipico è quello di una centrale elettrica localizzata vicino a una miniera. Cosa accade se le due parti, miniera e centrale elettrica, sono in disaccordo sui termini della transazione, ad esempio, non riescono a stabilire il prezzo del carbone? La centrale elettrica può rivolgersi a un’altra miniera. Se l’altra miniera è situata vicino alla centrale, non c’è nessun problema. Ma se è molto distante dalla centrale elettrica, i costi di trasporto del carbone saliranno notevolmente, con un conseguente aumento del costo di produzione dell’elettricità. In altre parole, quando mancano venditori o acquirenti alternativi, le parti diventano mutuamente dipendenti. La teoria di Williamson prevede che in tali casi sia ottimale l’integrazione verticale tra miniera e centrale elettrica.
Questo è quello che si osserva nella realtà, almeno negli Usa. Quando ci sono altre miniere e altre centrali nelle vicinanze, come accade nella costa Est, le relazioni tra miniere e centrali elettriche sono su base contrattuale. Quando invece la distanza con possibili venditori o compratori alternativi aumenta, come accade nella costa Ovest, è più facile osservare l’integrazione verticale tra miniere e centrali elettriche. Un altro esempio che conferma la teoria di Williamson viene dall’industria automobilistica. I componenti che sono specifici, cioè dedicati a un modello di auto, vengono spesso prodotti internamente mentre è più comune l’outsourcing dei componenti generici, ovvero non dedicati.
Ma Williamson si pone anche un’altra domanda. Quali sono i costi dell’autorità? In altre parole, se mediante le gerarchie risparmiamo sui costi di transazione, per quale ragione non tutte le transazioni sono organizzate all’interno delle imprese? La risposta di Williamson è che anche l’autorità ha un costo: quello del suo abuso. La parte a cui viene conferita l’autorità può usarla in modo opportunistico, ad esempio per estrarre benefici dai subordinati o, in generale, per scopi diversi dalla massimizzazione dell’efficienza. È a questa considerazione sul “lato oscuro” dell’autorità a cui si può far risalire, volendo, lo studio della corporate governance, vale a dire delle istituzioni e dei meccanismi volti ad assicurare il più efficiente dispiego dell’autorità nelle organizzazioni e a minimizzare la possibilità che di essa si faccia un uso improprio.
 
PUNTI IN COMUNE TRA DUE NOBEL
 
Quello che accomuna i due premi Nobel per l’Economia del 2009 è l’attenzione che riservano a meccanismi diversi dal mercato, i commons e le imprese, e allo studio delle condizioni necessarie affinché tali meccanismi possano funzionare bene, cioè alla loro governance. Un altro punto in comune è la metodologia: analisi poco formalizzate e uso di case studies invece che analisi econometriche. Insomma, una netta differenza rispetto al tipico modo di lavorare degli economisti di oggi. Si potrebbe pensare a una presa di distanza della commissione che assegna il Nobel dalla moderna teoria economica, ma in questi casi ogni interpretazione rischia di essere fuorviante.
È stata dunque una buona scelta quella dei giurati di Stoccolma? Il giudizio complessivo non può che essere positivo, data la rilevanza dei contributi dei due economisti premiati. Ma di certo Oliver Hart, dell’uUniversità di Harvard, l’altro nome di spicco a cui è legata la moderna teoria dell’impresa, non meritava di essere escluso.  

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Incentivi per investimenti: chi li usa e chi dovrebbe usarli*
Leggi anche:  Quando la legge diventa alchimia: la lista del Cda*

Precedente

LA QUINTA COLONNA

Successivo

PROMESSE IN CRESCITA, AIUTI IN CALO

  1. Cosimo

    Oliver Hart lo vincerà di sicuro tra qualche anno, forse con Sandy Grossman o magari con Jean Tirole. Ricordiamoci che Hart è dal 1948, mentre Williamson del ’32.

  2. Elisabetta Fabiani

    L’assegnazione del Nobel ad una donna è, secondo me, importante perchè registra che anche nell’economia ci sono due sessi con punti di vista diversi che infrangono la visione unilaterale-maschile- dominante. che ci siano alcune donne nei consigli di amministrazione può non essere significativo se esse non segnano il campo in cui operano della loro irriducibile differenza.

  3. Luigi Cristiani

    Fa sicuramente pensare che il nobel per l’economia sia stato assegnato a chi parte dal concetto che l’impresa nasca come soluzione istituzionale al fallimento del mercato in presenza di contratti incompleti. Si evidenzia così some l’incompletezza contrattuale e la giustizia in senso lato, che comunque disciplina le relazioni, siano causa di processi particolari quali l’integrazione verticale. Bisogna però dire che ciò dovrebbe portare alla nascita di aziende di grosse dimensioni e dove la concorrenza è particolarmente limitata; nelle utilities questo si concretizzerebbe in una mancata divisione tra produzione e distribuzione (mercato elettrico, telefonico e ferroviario) mentre in Italia l’obiettivo del legislatore è l’esatto contrario. Vince il Nobel ma non viene seguito, l’attribuzione del premio o è strana oppure è strano che si faccia qualcosa in Italia che sia razionale?

  4. Mimmo

    Alla fine dell’articolo che spiega la teoria di Williamson alla base della scelta di insignirlo del Nobel dell’economia, si accenna ad un eventuale "ripudio" delle nuove teorie economiche, ma non si fa alcun riferimento alla nuova frontiera organizzativa: i network, di cui l’Italia, con i suoi distretti industriali, è un esempio virtuoso. Per completezza dell’informazione, e con l’umiltà dello studente universitario, reputo opportuno soffermare l’attenzione sui nuovi parametri di coordinmento delle relazioni industriali, che non si pongono più agli estremi del trade-off mercato VS gerarchia, ma che tra le alternative make or buy inserisce una terza strada: quella del make together. Le alleanze sono una terza soluzione organizzativa che sposta il suo focus d’efficienza non sulla scala, ma sul social capital. Quindi, per me, non si può parlare di distacco dalla nuova teoria economica, quanto, piuttosto di una evoluzione del concetto (relativo, vedi Knight) di efficienza. Ringraziandovi per le opportunità di apprendimento ed informazione fornite da questo sito, gradirei ricevere dei feedback del mio intervento.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén