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CRISI FISCALE, CONTAGIO E FUTURO DELL’EURO

Nel maggio 2010, il nostro sito ha pubblicato questo intervento sulla crisi fiscale, il contagio tra paesi e il deprezzamento dell’euro. A distanza di un anno, purtroppo le preoccupazioni emerse nel 2010 sono divenute se possibile ancora più pressanti, e le considerazioni fatte allora restano attuali. Crisi fiscale, contagio, collasso della moneta unica: potrebbe diventare uno tsunami ben peggiore di quello dei mutui subprime. Ma il modo per arginarlo c’è, rafforzando le strutture comunitarie e sovranazionali. Trasformando la crisi in un’occasione storica per l’Europa.

Crisi fiscale, contagio, collasso dell’euro … Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, perché gli scenari paventati da giornali e televisione si stanno susseguendo in modo così tumultuoso che non è facile seguirne la logica. Invece è proprio in situazioni di emergenza come questa che è importante fare chiarezza, proprio per evitare che si realizzino gli scenari peggiori e individuare la via di uscita.
Punto primo. Quando uno stato sovrano accumula un livello molto elevato di debito, gli investitori cominciano a temere che esso non sia “sostenibile”, cioè che lo Stato non riuscirà a restuire capitale e interessi generando avanzi di bilancio in futuro (cioè un gettito fiscale superiore alla spesa pubblica). In questo caso, chiedono tassi di interesse maggiori per acquistare nuovo debito pubblico, poiché vogliono essere compensati per il rischio di insolvenza. Ciò in realtà aggrava il pericolo di insolvenza, perché appesantisce i conti pubblici, per cui alla fine arriva il momento in cui non c’è più un tasso di interesse capace di compensarli del rischio di insolvenza: allora essi smettono di sottoscrivere il debito pubblico. Questa è la crisi fiscale, e ha solo due esiti possibili, che fra l’altro non si escludono tra loro: 1) l’insolvenza da parte dello stato, con conseguente ristrutturazione del debito (come ha fatto l’Argentina); 2) la “monetizzazione” del debito, che viene acquistato dalla banca centrale immettendo moneta nell’economia e quindi causando inflazione e deprezzamento del tasso di cambio.

DALLA GRECIA ALL’ITALIA

Punto secondo. Nel caso della Grecia, la seconda strada – quella della monetizzazione – era esclusa dalla sua appartenenza all’area dell’euro: il governo greco non poteva imporre alla Banca centrale europea (Bce) di acquistare i propri titoli del debito pubblico, per cui la sola strada aperta era quella dell’insolvenza e della ristrutturazione del debito, a meno di non ottenere prestiti da altri paesi a tassi inferiori a quelli richiesti dal mercato. Ma perché i paesi dell’area dell’euro hanno deciso di fare questo sacrificio? Come si è visto in questi giorni, dopo non poche indecisioni lo hanno fatto soprattutto per timore del “contagio”. Ma cos’è questo contagio? Qui veniamo alla parte più interessante della storia.
Punto terzo: il contagio. Ammaestrati dalla crisi della Grecia, gli investitori hanno cominciato a sospettare che altri paesi con elevato debito pubblico – Portogallo, Spagna, Italia – possano trovarsi in una situazione simile. Perché? Come i governi di questi paesi si sono affrettati a spiegare, i loro conti pubblici non sono nello stato drammatico di quelli greci. Allora perché gli investitori sono preoccupati? Perché rischiano i propri soldi in una scommessa perdente? Perché, come dicono gli economisti, in questa partita tra Stati sovrani e investitori ci possono essere “equilibri multipli” (1): anche quando uno Stato non è molto indebitato, gli investitori possono cominciare a temere che, non volendo alzare la pressione fiscale oltre un certo livello “politicamente sostenibile”, in futuro esso potrà voler ricorrere alla ristruttrazione o alla monetizzazione del debito, o a entrambe. Nel timore che questo accada, essi spingono i tassi a livello talmente alto che “la loro profezia si autoavvera”: a quei tassi, lo stato che altrimenti avrebbe fatto fronte ai suoi debiti finisce davvero per dover davvero ristrutturare o monetizzare il debito, cioè per non ripagarlo interamente.
Quindi tutto dipende dalla “fiducia” degli investitori: se e fin quando la fiducia c’è, si resta nell’“equilibrio buono” con tassi di interesse moderati e mercati tranquilli; quando la fiducia scompare, si salta all’“equilibrio cattivo”, quello in cui c’è la crisi fiscale. Il “contagio” che la crisi greca ha scatenato è stato proprio questo: ha indebolito la fiducia degli investitori anche verso stati che avrebbero potuto continuare a navigare in acque tranquille se avessero continuato a godere della loro fiducia. Si noti fra l’altro che l’onere stesso del salvataggio della Grecia sta appesantendo i conti pubblici di Portogallo, Spagna e Italia, e anche questo ha contribuito a indebolire la fiducia nella loro solidità di debitori. 

LA BORSA E LA SPECULAZIONE

Punto quarto: il rifinanziamento del debito pubblico. I paesi in questione sono esposti alla crisi fiscale (l’“equilibrio cattivo”) nella misura in cui sono costretti a ricorrere ai mercati per il rifinanziamento del debito pubblico, e quindi a seconda di quanto debito pubblico scadrà nei prossimi mesi. Ciò a sua volta dipende dalla scadenza media del debito pubblico: se il debito pubblico è per lo più a lunga scadenza, la quantità di debito da rifinanziare in un dato intervallo di tempo è piccola, e anche doverlo fare a tassi elevati è un costo sopportabile. In questo caso, il rischio di crisi fiscale è escluso. Se invece il debito è per lo più a breve termine, cosicché la quantità di debito da rifinanziare è elevata, il rischio di crisi fiscale esiste, come dimostrato da Giavazzi e Pagano (1990). (2) L’argomentazione è simile quella usata nel valutare la solvibilità delle imprese  delle banche, in cui il “rollover risk” derivante dall’indebitamento a breve è uno dei fattori che determina il rischio di fallimento.
Punto quinto: il deprezzamento dell’euro. Perché l’euro si sta deprezzando? Una possibile risposta è che man mano che la crisi si allarga ad altri grandi paesi dell’area dell’euro, il rischio di monetizzazione del debito pubblico da remoto si fa più concreto. Se la Grecia può essere salvata (forse) dagli altri paesi dell’area euro, questo non può certo valere per l’imponente debito pubblico di Italia, Spagna e Portogallo. A quel punto, il rischio che la Bce debba monetizzarlo esiste, e i timori di inflazione che ne derivano potrebbero spiegare il deprezzamento dell’euro. Ma poiché ciò metterebbe a repentaglio la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro, e rappresenterebbe un imponente trasferimento di risorse dai paesi forti dell’euro a quelli deboli, è uno scenario poco probabile.
Una spiegazione alternativa del deprezzamento dell’euro è il timore della rottura dell’eurosistema, uno scenario fino a poco tempo fa impensabile: proprio per non essere chiamati a contribuire alle finanze dei paesi deboli dell’area dell’euro con la monetizzazione del debito, i paesi forti potrebbero spingere quelli deboli al di fuori dell’eurosistema. Ovviamente questo è uno scenario drammatico, in quanto la ridefinizione dei confini della moneta unica difficilmente potrebbe avvenire senza impressionanti scossoni. E inoltre nel frattempo la crisi fiscale potrebbe tradursi nell’insolvenza sul debito pubblico di vari paesi dell’area dell’euro, con effetti globali devastanti: considerato che il debito pubblico di questi paesi è massicciamente presente nei bilanci di banche e assicurazioni di tutto il mondo, e soprattutto dell’area dell’euro, potrebbero determinarsi catastrofiche reazioni a catena in tutto il sistema finanziario. Il “contagio” diventerebbe davvero globale. Al confronto, la crisi innescata dai mutui “subprime” diventerebbe un pallido ricordo.
Ciò spiega perché le borse stanno crollando, e perché i governanti siano molto preoccupati, su entrambe le sponde dell’Atlantico. Tuttavia, le invettive dei governi contro gli “speculatori” e i “mercati” sono infantili. La parola “speculatore” nasce dal latino specula (vedetta), e indica chi cerca di “guardare lontano”, e quindi metaforicamente “prevedere il futuro”. Nel momento in cui un qualsiasi risparmiatore decide se sottoscrivere i titoli del debito pubblico, anch’egli cerca di “guardare lontano”, e in questo senso in qualche misura siamo tutti speculatori. E tutti contribuiamo a determinare l’andamento dei mercati, perfino quando decidiamo di non servircene. Sta ai governi dimostrare che in questo momento speculatori e mercati stanno sbagliando previsioni e scommesse.

RECUPERARE LA FIDUCIA DEI MERCATI

Ma esiste un modo di recuperare la fiducia dei mercati? Poiché l’origine del problema è nella politica fiscale, il modo di recuperarla è sul fronte del fisco: occorre dare segnali forti e coordinati che gli stati deboli dell’area dell’euro sono capaci di “mettere a posto” i propri conti pubblici, accettando un monitoraggio e una disciplina comunitaria molto forte sulle proprie finanze.
Ciò vuol dire limitare significativamente la sovranità fiscale degli stati membri, dopo aver già accettato di delegare quella monetaria alla Bce. Ma occorre andare ben oltre la fragile disciplina del trattato di Maastricht e del patto di stabilità, assoggettando direttamente le leggi di bilancio degli stati membri dell’Unione a limiti comunitari vincolanti e a istituzioni dell’Unione Europea che li facciano valere. Non è affatto cosa di poco conto: difficile da realizzare e politicamente dolorosa, come le dimostrazioni e i morti di Atene dimostrano. I governi e soprattutto i parlamenti nazionali saranno disposti a farlo? Se sì, allora da questa crisi l’Europa riemergerà più forte di prima, e procederà verso il completamento della sua struttura sovranazionale con l’introduzione graduale di istituzioni fiscali federali, ovvero la naturale controparte della Bce.
Potrebbe anche essere l’occasione per colmare finalmente il deficit democratico dell’Unione Europea, poiché è naturale che decisioni vincolanti di natura fiscale siano prese da organismi rappresentativi. In tal modo, i limiti alla sovranità fiscale nazionale avrebbero una legittimazione democratica sovranazionale, invece di essere visti come diktat di organismi tecnico-burocratici o di comitati di ministri degli stati membri. Se i paesi dell’euro avranno il coraggio di accettare questa grande sfida, non solo la fiducia tornerà sui mercati, ma questa crisi diventerà l’occasione di una svolta storica nella costruzione europea.

(1)  Si veda ad esempio Guillermo Calvo, “Servicing the Public Debt:  The Role of Expectations,” American Economic Review, September 1988.
(2)  Francesco Giavazzi e Marco Pagano, “The Management of Public Debt and Financial Markets,” in High Public Debt: the Italian Experience, edited by L. Spaventa and F. Giavazzi, Cambridge University Press, Cambridge, 1988. 

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REGOLE NUOVE PER LE AGENZIE DI RATING *

19 commenti

  1. mirco

    Concordo pienamente con la sua analisi. L’ultimo paragrafo dell’articolo è molto chiaro:
    riforma fiscale e unità politica per utilizzare questa crisi affinchè l’unione europea ne esca più forte di prima.

  2. Piermario

    Apprendiamo oggi che metà della somma tardivamente stanziata per dare ossigeno alla Grecia è già evaporata. Ora, io non sono un economista raffinato, ma mi pare comunque di poter dire che non è mai una buona idea giocare al rialzo contro un avversario (i mercati) dotato di liquidità illimitata e che, a torto o a ragione, si è convinto che tu stia bleffando. Prima o poi ti farà spendere tutto e alla fine avrà vinto lui. Per non andare lontano, mi pare che l’esperienza della svalutazione cui sono state obbligate all’inizio degli anni ’90 l’Inghilterra e l’Italia stia lì a dimostrarlo. Partendo da questa convinzione, provo allora ad allinare qualche fatto e porre un quesito: 1) la Grecia ha falsato i suoi conti già all’atto dell’entrata nell’euro; 2) i Trattati non prevedono una procedura di uscita dall’euro; 3) si può essere certi che l’intento dei partecipanti ai Trattati non fosse quello di consentire al furbo di turno di scaricare in perpetuo i suoi problemi sui partner dopo essere riuscito a infinocchiarli una volta. Mi chiedo allora: perché non ci si rassegna ad un default controllato, consentento alla Grecia di rimanere nell’euro, ma con una parità rivista (cioè svalutando)?

  3. De Simone Francesco

    He letto il Vostro interessante articolo e certo non è molto rassicurante. Da molte parti sento dire che in questo scenario è molto probabile un ripresa dell’inflazione. Vuol dire che ci dobbiamo aspettare un aumento dei tassi di interesse? E quindi un’altra stangata per le famiglie che hanno contratto un Mutuo per l’acquisto della casa? Questo sarebbe una catastrofe sull’economia delle famiglie, sopratutto quelle a basso reddito che hanno contratto un Mutuo: è molto probabile che gli stipendi non avranno grossi aumenti nel breve/medio termine, e nello stesso tempo si vedrebbero aumentare di molto la principale voce di spesa per quelle famiglie e cioè la rata del Mutuo.

  4. Giorgio Resci

    Tutto ciò dimostra come per i paesi "deboli" entrare nell’euro sia stata una pessima scelta: hanno visto le proprie esportazioni volatilizzarsi una dopo l’altra a causa di una moneta "troppo forte" rispetto alle altre, e i prezzi al consumo aumentare in maniera significativa, senza un ritorno in stipendi (ovvio: le esportazioni diminuiscono). Oggi, ristrutturare l’organizzazione greca restando nell’euro può significare solo questo: cancellare totalmente lo Stato sociale, ma a questo punto per quale motivo un greco dovrebbe pagare le tasse? Entrando nell’euro abbiamo accettato il patto di stabilità (obiettivo: mai svalutare l’euro rispetto alle altre monete e restare con un disavanzo di bilancio pubblico bassissimo), come si è visto non funziona per tutti: andrà benissimo per l’Europa del nord, e la Germania, ma non sono solo questi a fare una "comunità". Certo, per cercare di "equilibrare" la situazione l’Unione Europea fa cadere su questi paesi elemosine di miliardi di euro, una specie di rimborso per la stabilità economica, ma non è di sovvenzioni che può vivere uno stato..

  5. Franco Debenedetti

    Di cristallina chiarezza l’esposizione.
    Ma fieri dubbi sulla possibilità che i governi adottino politiche e i paesi le accettino con pari chiarezza.
    Il pericolo é il “fudging intellettuale”.

  6. Antonio De Franco

    L’approfondimento è al quanto carente tradendo il suo pur nobile scopo di farci cercare di capire. Andando avanti con la lettura mi incuriosiva l’assenza di un sia pur minimo riferimento alla mancata introduzione del Legal Standard. Mi e vi chiedo: come si fa a disegnare questi scenari senza tenere conto dell’aspetto più rilevante che li riguarda? In tal modo finiamo tutti di non capire più niente! La destabilizzazione dei Governi (non mi riferisco a quello Greco, ovviamente che è solo un casus belli) che hanno voluto il Legal Standard non è una profezia, diciamo così "infantile", che si autoavvera, bensì è stata voluta, progettata e portata avanti sino a quanto si sta consumando in questi giorni. Infantile finisce con l’essere la pretesa che l’Unione Europea si faccia seriamente oggi se prima noi cittadini europei non abbiamo la consapevolezza – seria e dura – da quale parte dobbiamo stare se dalla legalità democratico-liberale dell’U.E. oppure dalla parte della mafia finanziario-bancaria. Che di questo si tratta: di fare una scelta di campo e non solo, come ci fa intendere questo post, di falsificare l’azione di "chi vede lontano".

  7. Antonio Aghilar

    L’Articolo è piuttosto illuminante anche se per sua natura incompleto. Ad esempio: non dice che gli squilibri che ora si stanno manifestando a causa della speculazione finanziaria delle Grandi Banche d’Affari e dei fondi Hedge (che sono speculatori nel senso meno nobile del termine e non guardano affatto "lontano", ma solo a quello che succede nelle prossime ore di contrattazione…) era già insita nell’Area Euro al momento del varo della moneta unica, così come scritto anche da Giavazzi e Blanchard nel manuale "Macroeconomia" edito da "Il Mulino", in cui c’è la tesi, appunto, che l’Euro non è un area valutaria ottimale. Ora però credo che la sfida vera sia una: quella di realizzare da una parte una Unione Fiscale oramai non più rinviabile e dall’altra di convicere il bord BCE che non si può continuare ad alimentare (in nome degli interessi di Francia e Germania) un cambio folle, che penalizza i Paesi con produzioni a basso valore aggiunto come appunto Grecia, Portogallo e…in parte anche Italia. Insomma: se Euro adda essere, bisognerebbe contemperare gli interessi di tutti i Paesi aderenti, compreso quelli per cui una forte inflazione sarebbe….una manna dal cielo.

  8. paolo serra

    Ci si dimentica, o autocensura, di un particolare rivelatore che spiega molto degli avvenimenti. Negli ultimi 20 anni in tutti i paesi ad economia di mercato si è registrata una enorme redistribuzione di ricchezza dagli strati bassi e medi della popolazione agli strati alti. Questo ha comportato una enorme concentrazione patrimonial-finanziaria in poche mani e una incessante richiesta di sovvenzioni pubbliche o franchigie fiscali da parte di tutti gli strati impoveriti. Da qui l’incessante ricorso all’indebitamento da parte dei governi in deficit di consenso. L’Italia convive con un debito pubblico superiore al 100% del Pil, e dall’entrata nell’Euro è stata torturata da incessanti richieste di rientro. Invece sono i paesi ex-virtuosi che ci stanno raggiungendo e questo dimostra a sufficienza quanto fosse arbitrario mettere tetti validi sempre e comunque. Ora i cittadini greci si ribellano. Però si continua a fingere che siano tutti uguali, invece a subire i tagli saranno quelli che sono già stati tosati mentre per coloro che si sono arricchiti l’unica fatica è quella di scegliere il paradiso fiscale. Dopo i decenni trascorsi a discutere di “socialismo reale” non è ora che cominci a cambiare qualcosa?

  9. bonzer

    Non capisco perchè per forza l’Europa deve rimanere insieme. Si parla di federalismo fiscale, di scissione in Belgio, ma dobbiam far di tutto per restare in Europa. Siamo paesi, popoli molto diversi tra loro e che spesso si detestano e non credo che forzarci a rimanere uniti sia una cosa giusta. Si argomenta che solo in Europa riusciremo a parlare all’altezza di Usa, Cina e degli altri giganti. Sinceramente non lo trovo sufficiente. Eterogenità e la concorrenza (tra monete anche) son sempre visti come impulsi al progresso, senza contare che un unico stato centrale porterebbe all’aggravarsi delle disparità interne e tensioni sociali. Siamo 700 ml di abitanti; il mercato più grande, appetibile e indispensabile per le altre nazioni e credo che bastino accordi economici per renderci grandi. Se la Grecia era sola e falliva avrebbe avuto un opportunità per imparare dai suoi errori senza innescare crisi sistemiche così gravi, contanto che avremmo, in futuro, delocalizzato là (aiutandoli e aiutandoci) e non in Cina o Messico. Senza contare che non ripagherà mai il debito, è matematico e che non è sensato pagare un debito aprendone uno più grande.

  10. giampaolo

    Vivere in un paese che: – ha 1.800 miliardi di euro di debito pubblico (in aumento) – bassa produttività – basso livello di scuola pubblica – costo del lavoro tra i più elevati – alto tasso di disoccupazione – alto tasso di pubblica corruzione – scarsa mobilità sociale – alta evasione fiscale – mediocre qualità di informazione – ecc.ecc. E’ quello che a livello di "sensazione" viene definito come "declino"; parte del "carburante" che utilizziamo negli ultimi anni proviene da rendite di posizione (in esaurimento) e debito pubblico. Le riforme in realtà sono già iniziate da anni (in silenzio – vedi quelle sul lavoro che avranno ricadute sociali pesanti nei prossimi anni, soprattutto a livello pensionistico, quella sulla scuola, ecc.). E’ come il segreto di pulcinella: vietato discuterne in pubblico, per fare bella figura, ma distintamente percepito da tutti. L’euro è una stata un’opportunità per migliorare, sono trascorsi dieci anni, non è colpa della moneta se non abbiamo sfruttato i bassi tassi di interesse per "mettere ordine" in casa e ora sono arrivati i momenti critici.

  11. Silvestro Gambi

    Ormai siamo grandicelli e forse è ora che qualcuno ci spieghi come nascono i bambini. Fuor di metafora: questa Europa, nata dallo spirito di commercio (la famosa CECA) e passata attraverso tutte le fasi possibili e immaginabili delle convenienze economiche fino alla vicenda dell’euro (e solo adesso gli stessi padri fondatori ci vengono a dire quali e quanti problemi c’erano e il nulla che si fatto per risolverli) che ha impoverito larghe fascie di popolazione europea senza esser riuscito a costituire la piattaforma per il lancio di una nuova fase (qualsiasi politica che impoversce è una politica sbagliata!), insomma questa Europa delle banche e delle burocrazie non è riuscita. Quale che sia l’esito della manovra (qualsiasi forma di intervento qualche effetto nel breve lo produce!) questa Europa resta un aggregato scomposto di Paesi diversi con strategie e logiche diverse (anche a prescindere dal caso inglese) che non è stata capace di avere un progetto per e con la Russia del dopomuro, che non è stata in grado di evitare una sanguinosissima guerra nei balcani, cioè dentro casa,i cui cittadini se vogliono parlare fra di loro devono imparare 15 lingue. Ci vuol altro allora.

  12. Massimiliano Claps

    Si parla molto della necessità di creare disciplina nei conti pubblici di paesi meno virtuosi, ad esempio incrementando le tasse, oppure controllando la spesa relativa al cosiddetto welfare. Ma mi chiedo se in questo momento non si rischi di togliere linfa vitale alla ripresa economica, che è ancora molto debole. Le spese delle pubbliche amministrazioni sostengono una parte rilevante della domanda di consumi ed investimenti, se venissero a mancare, imponendo misure drastiche nel breve termine, si rischierebbe di far ripiombare economie deboli come quelle dei PIIGS nella recessione; mi pare la stessa fallimentare ricetta che il Fondo Monetario Internazionale ha applicato non molti anni fa in Indonesia (1997-98). L’esito a breve termine (12-24 mesi) potrebbe essere innanzitutto un calo del gettito fiscale, perché la gente ha meno reddito e meno soldi da spendere in beni di consumo, più disoccupazione, quindi più persone in cassa integrazione e prepensionamenti; il tutto aggraverebbe i deficit annuali e quindi richiederebbe maggiore debito per finanziarli. Gli USA fecero questo errore nella prima metà degli anni ’30 e da quella crisi uscirono solo con la seconda guerra mondiale.

  13. umberto

    A marco Pagano debbo un grazie, in questo baillamme di opinionisti giornalisti presunti esperti che tutti i giorni ci bombardano attraverso i mezzi di (dis)infomazione. L’esposizione di Pagano è stata chiara, direi illuminante, anche per chi come il sottoscritto è lontanissimo dal mondo economico finanziario e tutte le sue tortuosità. Grazie

  14. DVD

    Le estreme conseguenze dell’autore portano a "sfiduciare" chi democraticamente eletti nei propri paesi per un motivo o per un altro si trovano a gestire le situazioni economiche riportate con chiarezza nell’articolo e qui viene il bello! Chi lo decide e chi ci dice che verrà accettato dai locali. Es: l’europa decide che per risanare la Grecia serva una legislazione europea e non nazionale ma siamo sicuri che poi verrà rispettata dai locali !? E chi li controlla, forse i funzionari greci !? Mah… Se penso al caso italiano mi viene da piangere a pensare che certa gente si è sentita furba nell’inventare la maglietta con la stampa della cintura di sicurezza e per di più la nostra tv di stato gli ha dedicato un servizio! Diverso invece se fosse la nazione stessa a capire e a chiedere l’aiuto ma temo che per orgoglio nessuno lo farà, solo dopo una guerra di solito succede mai prima. Conclusione: per me solo con la fine della democrazia come fino a oggi conosciuta si potrà risolvere il problema.

  15. dreag

    Non sono assolutamente d’accordo con l’autore quando afferma che la reazione dei governi agli attacchi speculativi contro l’euro siano infantili. Del resto è l’autore stesso a indicare come a forza di scommettere sull’insolvenza degli Stati poi queste "profezie si avverino". Penso che i governi dovrebbero coordinare le loro politiche al fine di spezzare il circolo vizioso della speculazione. Se poi pensiamo che gli speculatori non sono dei privati cittadini che effettuano dei calcoli realistici e "oggettivi" per salvaguardare i loro investimenti ma sono le grandi banche che operano a livello internazionale e i grandi fondi più o meno speculativi, allora tutto risulta più chiaro, come nel caso dell’A.D. della deutsch bank che ha provocato un attacco speculativo all’euro in seguito a sue dichiarazioni rese durante un’intervista. Credo che i governi dovrebbero, in casi come questo, intervenire duramente operando direttamente una destituzione di questi personaggi. Alla favola che la politica non possa interferire con l’economia, pena catastrofi, non crede più nessuno.

  16. Marco Boleo

    Ho molto apprezzato il suo pezzo mi ha chiarito molti punti che avevo oscuri. Ma c’è il prof. Krugman che l’accusa di aver ignorato il processo di aggiustamento.

    http://krugman.blogs.nytimes.com/2010/05/15/ignoring-the-elephant-in-the-euro/

  17. Tommaso

    Intervento quantomai attuale… fa paura pensare che sia passato più di un anno e così poco sia cambiato…

  18. steiner

    Non vi viene in mente che sono salatate le sovranità nazionali? Che il range di calcolo e brevissimo,che nessuno può impugnare un aspetto etico e ideologico di quale sia un fine accettabile, e farsene promotore, che gli aspetti sociali sono diventati problemi dei singoli, che il primo che si alza dichiara legittime le sue pretese..vedi Francia e Libia..che vi è un bluff siderale di cosa sia il mercato..che il debito privato è già stato spalmato sul pubblico..allora falliamo che si vada in default..cosa fà più paura chi non paga i debiti ai suoi debitori o chi cerca d’illuderti che non ci saranno più soldi ne economia.. a Zernez vi è il più grande parco naturale elvetico e nessuno interviene salvo per confermane i confini..ciò che accade dentro nel bene e nel male è solo la natura al suo stato…

  19. steiner

    Oggi è lunedì 18 facile previsione i presunti mercati se ne fregano delle dichiarazioni e decisioni che a vario titolo gli stati (sovrani?) hanno preso. Gli economisti ci spiegheranno, sempre dopo, cosa è successo il giorno prima e forse anche il perchè. Ora qualcuno ci dice che non si è credibili, ed è vero, nessuno è credibile e tanto meno coloro che giudicano le decisioni e che stabiliscono cosa sia giusto. Il buon Cossiga diceva che la prossima guerra in occidente sarà decisa con l’economia e con i fondi sovrani. Ci si rende conto che manca un atto sociale diffuso e intelligente. L’unico che attualmente lo sta sostenendo è quel bravuomo vestito di bianco e che ha un cognome tedesco e temporaneamente risiede in vaticano. Il resto che parla è la fuffa dei presunti diritti del no al mondo per un mondo migliore (leggi sinistra in generis). Ora non serve a niente predicare ricette economiche di fronte a chi, è vero, ha già deciso un obiettivo e lo persegue comunque. L’unico strumento non è una ricetta economica ma sociale, politica e dirompente verso la quale il problema diventerebbe la logica del profitto di pochi speculatori rispetto al resto.

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