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Corporate Governance oltre i dogmi del passato*

La crisi globale ha rilanciato l’interesse per il sistema delle istituzioni e delle regole che governano il funzionamento dell’impresa. Ripartendo dal sostanziale fallimento dell’autoregolazione, ma consci anche dei limiti della regolazione. I paesi dell’Ocse hanno espresso la volontà di adottare principi comuni per rendere la crescita economica più forte, più sana e più equa. E riconoscono la necessità di promuovere l’applicazione dei principi di correttezza, integrità e trasparenza nella conduzione degli affari e delle attività finanziarie internazionali.

La crisi finanziaria ed economica globale ha rilanciato l’’interesse per la corporate governance, intesa come il sistema delle istituzioni e delle regole che governano il funzionamento dell’’impresa. (1) Da un lato, appare evidente che, anche in un’’economia mondiale in cui le interconnessioni tra diversi agenti -– produttori, consumatori, investitori, regolatori -– sono sempre più intense, frequenti e complesse, diversi modelli di regole coesistono e competono. Da ciò l’’importanza di studiare il funzionamento del consiglio di amministrazione, del mercato del controllo societario, della remunerazione dei dirigenti. Dall’’altro, la necessità impellente di far fronte alle emergenze della crisi economica e finanziaria ha determinato un ritorno in auge dell’’intervento pubblico nell’’economia. Da ciò la necessità di integrare nel dibattito la dimensione della proprietà pubblica, che del resto è sempre rimasta importante in molte economie emergenti.

NESSUN MODELLO È PERFETTO

È utile partire col refutare un’’interpretazione che si è fatta strada nell’’opinione pubblica, cioè che la crisi abbia origini tecniche, l’’inadeguatezza dei modelli computazionali cui le istituzioni finanziarie, in America e altrove, si affidano sempre di più per valutare e gestire il rischio. La realtà è complessa, i rischi sono difficili da valutare e di conseguenza è normale utilizzare una modellistica complessa per quantificarli. Il problema è che non c’’è stata la modestia di riconoscere che nessun modello è di per sé perfetto e che la capacità di prevenire l’’assunzione di rischi eccessivi richiede funzioni di sorveglianza efficaci. Spesso l’’informazione a proposito dell’’esposizione finanziaria non ha raggiunto il consiglio di amministrazione e talvolta neppure il senior management, mentre numerosi sono i casi in cui sistemi per valutare la gestione del rischio sono stati sviluppati a livello di singoli rami di attività, piuttosto che dell’’impresa nella sua interezza. E i problemi di gestione del rischio sono ovviamente più delicati nel caso delle istituzioni finanziarie, ma non per questo vanno presi alla leggera in altre imprese. Si pensi alla Sadia brasiliana, tra le maggiori aziende al mondo nel settore delle carni, affossata nel 2008 a causa di una fantasmagorica esposizione a prodotti derivati che nulla avevano a che fare con il core business. (2)
Causa di problemi altrettanto seri è stata inoltre l’’eccessiva fiducia riposta negli high-powered incentives come meccanismo per allineare il comportamento del management e gli interessi degli azionisti. Perché questo meccanismo funzioni, è necessario che il management non possa influenzare il valore delle stockoptions. Secondo William Lazonick, invece, nel periodo 1997-2008, le società americane che compongono l’’indice Standard & Poors hanno destinato 2.400 miliardi di dollari all’’acquisto di azioni proprie. (3) Non proprio bruscolini, verrebbe da dire, visto che la somma corrisponde all’’80 per cento dei profitti da esse generati in questo arco di tempo. Cui prodest? Essenzialmente ai dirigenti, che con la liquidità delle società hanno pompato il valore delle azioni e di conseguenza delle proprie stock options, aumentando però al contempo il profilo di rischiosità finanziaria delle società.
La separazione tra proprietà e gestione negli Stati Uniti è sua volta alla base della teoria e della pratica di corporate governance che si è diffusa in tutto il mondo. Peccato che anche questo sia apparentemente un mito frantumato dalla ricerca. In un recente articolo, Clifford G. Holderness mostra che nella maggior parte delle società americane esiste un azionista maggioritario la cui quota di capitale è assai importante (in media, il 39 per cento delle azioni ordinarie). (4)

LE NUOVE REGOLE DI INTEGRITÀ, ONESTÀ E TRASPARENZA

Sono questi alcuni dei temi centrali delle discussioni che si sono tenute alla fine di maggio a Parigi nell’’annuale riunione ministeriale dell’’Ocse e che hanno condotto all’’adozione della Dichiarazione ministeriale su correttezza, integrità e trasparenza nella conduzione degli affari e delle attività finanziarie internazionali. (5)
Gli ultimi due decenni sono stati quelli dell’’autoregolazione ed è dal suo sostanziale fallimento che bisogna ripartire, consci però anche dei limiti della regolazione, incapace di seguire il ritmo incessante dell’’innovazione finanziaria e potenziale vittima di cattura da parte del regolato. Tanto più alla luce del ritorno in auge dell’’intervento pubblico nelle imprese, che rende fondamentale prestare massima attenzione alla qualità della corporate governance. Sorge allora la necessità di una strategia a lungo termine: non si tratta di “reinventare la ruota”, magari aggiungendo nuove e sempre più complicate regole. Si tratta piuttosto di assicurare la messa in opera di principi che oltre a essere già esistenti, presentano anche il vantaggio di essere ampiamente condivisi. In questo senso le attività dell’’Ocse in materia di corporate governance s’’inseriscono in una riflessione più vasta per rafforzare l’’integrità e l’’etica nelle pratiche del business come fondamenta dell’’economia globale del dopo-crisi.
Nei vertici del 2008 e del 2009 i leader politici del G20 e del G8 hanno espresso al più alto livello questa necessità e l’’impegno a cooperare per il bene comune e la sostenibilità. Un esempio concreto è dato dal Global Standard in materia d’’integrità, onestà e trasparenza, che raccoglie una serie di strumenti normativi, dell’’Ocse e di altre istituzioni internazionali, e che ha rappresentato uno dei capisaldi della presidenza italiana del G8. Tra questi strumenti dell’’Ocse, oltre ai principi di governo societario, si annoverano la convenzione contro la corruzione dei funzionari pubblici nelle attività di business internazionale, le linee guida sulle imprese multinazionali e le convenzioni in materia di trasparenza impositiva, per citare alcuni tra gli esempi di maggior rilievo.
La Dichiarazione, emanazione diretta dell’’idea iniziale del Global Standard, sottoscritta anche da Brasile e Russia, esprime la volontà dei paesi Ocse di adottare principi comuni per rendere la crescita economica più forte, più sana e più equa. Il comunicato del vertice dei ministri delle Finanze e governatori delle banche centrali dei paesi del G20, riuniti a Busan il 5 giugno, fa esplicito riferimento alla necessità di promuovere l’’applicazione dei principi di correttezza, integrità, trasparenza nella conduzione degli affari e delle attività finanziarie internazionali.

* Funzionari presso l’’Ocse. Le posizioni espresse nell’’articolo sono attribuibili esclusivamente agli autori e non coinvolgono in nessun modo l’’organizzazione per cui lavorano.

(1) Vedi il nostro La corporate governance appena pubblicato nella collezione “Farsi un’idea” del Mulino.
(2)“O setembro negro da Sadia,”  Piauí_44.
(3) “The explosion of executive pay and the erosion of American prosperity,” Entreprises et histoire, 2009/4 (n° 57).
(4) “The Myth of Diffuse Ownership in the United States,” Review of Financial Studies, 22, 1377-1408 (2009).
(5) Il testo in inglese e francese della Dichiarazione è accessibile dal sito web dell’’Ocse alla voce http://www.olis.oecd.org/olis/2010doc.nsf/linkto/c-min(2010)3-final.

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Discussioni accademiche

  1. Luigi Sandon

    Il vero problema di qualsiasi forma di (auto)regolamentazione è che si arrivati ad una situazione nella quale i vertici (e anche buona parte del management intermedio) non pagano mai adeguatamente i propri errori. Dirigenti che hanno dimostrato la loro totale incapacità o vanno in dorate pensioni o migrano verso altri lidi dove combinare nuovi disastri, senza che nessuno obbietti. Quali alti dirigenti hanno pagato personalmente nella crisi attuale? Nessuna forma di regolamentazione funzionerà mai se non ci saranno "penalità" dissuasive e non evitabili per chi sbaglia. Ma questo è esattamente quello che la potente lobby vuole evitare.

  2. Gianfranco del Rosso

    Certo una effettiva "trasparenza" è sempre difficile da ottenere, pur con adeguate regolamentazioni; molto peso dovrebbe intrinsecamente essere nella "morale" di chi "governa". Da parte di tutti sarebbe, a mio parere, fondamentale, assumere un senso di autoregolamentazione nei confronti di tutto il "superfluo" che regola le nostre vite. Condivido l’opinione che sarebbe opportuno sanzionare chi sbaglia in modo più determinato, anche se ho visto che in campo medico si è arrivati a certe esagerazioni anche in questo. Grazie ai due autori per avermi fatto riflettere su tali argomenti, a me lontani per tanti motivi: ora li sento più vicini e credo sia un miglioramento per il proprio personale vivere nella società. Saluti.

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