Molto ci sarebbe da dire sull’annunciata riforma dello stato giuridico dei docenti universitari, ma un aspetto che si segnala negativamente è la proposta, ben accetta da maggioranza e opposizione e sostenuta con grande favore da qualche autorevole editorialista, del pensionamento a 65 anni. A meno di non immaginare tentazioni populiste da parte dei suoi sostenitori, è difficile trovare una ratio. In un momento in cui si è capito che, come conseguenza dell’allungamento delle vite umane, è necessario prolungare il tempo di lavoro, altrimenti i conti economici saltano, e anche il nostro governo si muove in tale (giusta) direzione, che senso può avere quello di andare controcorrente per una specifica categoria di lavoratori? A parte che la attuale struttura demografica del personale universitario indurrà a breve comunque una forte ondata di pensionamenti, perché l’operazione di svecchiamento dovrebbe servire a far entrare in servizio giovani universitari e non giovani magistrati, giovani medici o giovani qualcos’altro?
COMPORTAMENTI DA FREE RIDER
E’ noto che, considerando l’economia nel suo insieme, non esiste conferma dell’idea che l’anticipo dei pensionamenti favorisca l’occupazione (Fenge e Pestieau, Social security and early retirement, MIT Press, 2005). Il carico ulteriore sul sistema pensionistico può far aumentare le aliquote contributive e, dato il meccanismo a ripartizione, alzare il costo del lavoro e quindi indurre maggiore disoccupazione. Brugiavini e Weber, proprio su lavoce.info spiegano che l’abbassamento della pensione danneggerebbe gli stessi giovani, anziani di domani che si vedrebbero ridurre la pensione perché verserebbero meno contributi. Certo, se un solo settore riduce l’età della pensione mentre gli altri la aumentano, si comporta da free-rider perché trasferisce sul resto della popolazione i costi generati, e può nell’immediato realizzare l’obiettivo di assumere nuovi lavoratori al posto degli espulsi. È altrettanto certo, però, che tale comportamento è socialmente inefficiente, e, come negli esempi che facciamo agli studenti, può scatenare una sequenza imitativa per cui anche gli altri settori puntano alla riduzione dell’età pensionabile, con conseguenze facilmente immaginabili: si sa che ciò che è razionale per un individuo o un gruppo (ammesso che possa esprimere una qualche volontà collettiva), non sempre lo è per la società nel suo complesso.
UNA QUESTIONE DI CIVILTÀ
Si è detto che il pensionamento anticipato libererebbe l’università da persone improduttive. Senza negare che queste persone esistano, non si capisce perché l’età debba essere un criterio per individuarle. Ad Harvard quasi il 10 per cento dei professori in servizio attivo ha più di settant’anni; e di Harvard non si può certo dire che vi abbondino persone improduttive. La via maestra per limitare le difficoltà che abbiamo nell’incentivare la produttività è quella di concepire un sistema di retribuzione e avanzamento di carriera che premi l’impegno nella ricerca e nella didattica (binomio inscindibile). Su questo, le proposte di riforma di governo e opposizione tacciono (o sono quantomeno carenti e confuse).
La teoria economica non fornisce dunque appiglio alcuno per giustificare anticipi del pensionamento. (Si consideri anche che i professori anziani svolgono le loro attività di ricerca e di insegnamento a costo quasi zero per lo Stato, essendo il loro stipendio di poco superiore alla loro pensione.) Ma questa non è solo una questione economica, non è solo una questione di teoria. E una questione di civiltà, di organizzazione della vita associata, di rispetto e di valorizzazione delle persone, di promozione della cultura e del sapere. È del tutto insensato e, lasciatecelo dire, richiama un sinistro eugenismo, pensare che eliminare da un’aula di insegnamento o da un laboratorio scientifico chi continui a dimostrare entusiasmo e capacità possa essere una cosa positiva, e non un impoverimento netto per un paese. Quando la durata media della vita era settant’anni, i professori di università andavano in pensione a settantacinque; oggi che la durata media è ottantacinque anni, si vogliono mandare in pensione a sessantacinque. Oltre che palesemente assurda e incoerente, la proposta Gelmini-Meloni risulta anche incompatibile con una qualsiasi concezione di società veramente aperta, colta e liberale.
Nota degli autori: AB ha 48 anni (molto distante dall’essere anziano), FR 61 anni (quasi anziano, ma non ancora).
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P.Z.
Ma perché solo in Italia si va in pensione a 70 anni e nel resto d’Europa a 65/67? Sono così autolesionisti da privarsi dei cervelli migliori? Esiste pure la figura del professore emerito. Ammetto che ogni generalizzazione ha dei limiti. E che il problema non riguarda solo l’Università ma tutto il sistema gerontocratico italiano che va assolutamente svecchiato (v. magistratura). Si tratta allora di trovare meccanismi validi per giustificare le eccezioni alla regola (o procedure più flessibili di transizione), ma non di adattare la regola alle aspettative (legittime) di categoria. Guardiamo all’interesse generale.
Pier Luigi Porta
Grazie del bell’intervento. Il clima che si è respirato in Senato in questi giorni non è se non il riflesso del linciaggio orchestato dalla stampa nei confronti dei mitici ‘baroni’. Muovono il fuoco interessi ben discernibili. Naturalmente occorre ammettere che la classe accademica non ha saputo, potuto o voluto opporsi per decenni a forme di di populismo universitario che non potevano se non produrre questi esiti. Non c’è da meravigliarsi. La proposta di abbassare l’età di pensionamento è in realtà la cacciata a pedate, in massa, dei colpevoli dello sfascio. Tutti colpevoli! Occorre cacciarli in massa tra le sassate del pubblico. O (in alternativa, qualcuno ha proposto) lasciarli in vita privi di funzioni: tanto sono vecchi e probabilmente anche un po’ ‘partiti’. Curiosamente il proponente lascerebbe loro la facoltà di insegnare. E’ per questo motivo che il solito ‘qualcuno’ ritiene la proposta tanto essenziale e conta di servirsi di un Ministro, ovviamente privo di qualsiasi competenza in materia di studi universitari e di ricerca, per darvi attuazione. Mi pare che dobbiamo partire da queste premesse per comprendere quanto sta accadendo.
Flavio Pressacco
Condivido in pieno l’analisi di Brugiavini e Weber: il provvedimento è inefficiente economicamente ed iniquo se non basato su criteri di produttività scientifica e didattica. aggiungerei che la carriera dei docenti è disegnata in modo tale da compensarli (in media) in età avanzata dei sacrifici o comunque delle penalizzazioni ricevute fino a maturità. Dunque il provvedimento rischierebbe di essere doppiamente iniquo. Quanto ad un riequilibrio generazionale potrebbe andar bene se come sottolineato dagli autori fosse esteso a tutti i settori dell’attività intellettuale (ma sul punto accade esattamente il contrario si pensi alla pesantissima struttura ereditaria degli studi professionali) PS ho 66 anni (e qualche mese).
lory
Il vero problema è stata la proliferazione dei corsi di laurea, con conseguente proliferazione dei professori. Un corso di laurea nuovo costa molto di più di uno vecchio, perchè i professori arrivano prima ad essere ordinario, quindi maturano a 70 anni una pensione molto più corposa di quella maturabile in un corso tradizionale. Un certo numero di professori appartenenti ad un nuovo corso di laurea pesano molto di più dello stesso numero di professori di un corso tradizionale, comprese le pensioni che bisogna loro corrispondere. Consideriamo un fatto: fino al ’90 i professori erano sui 10.000 ora sono sui 50.000 non vorrei sbagliare. Ora una cosa è pagare la pensione a 10.000 professori, altra è pagarla a 50.000. Considerando che i giovani non hanno nemmeno un lavoro come si farà un domani a pagare tutti questi soldi? Aumenteranno le tasse (comprese quelle degli imprenditori). Il problema riemergerà fra qualche anno. Non averlo considerato prima metterà tutti i professori a rischio, conseguentemente metterà a rischio la loro pensione. Si potrebbe prevedere un pensionamento anticipato per tutti quei professori che non ricevono un giudizio positivo nelle valutazioni.
vera bliznakoff
Mi domando come faccia questo governo a fare e dire contemporaneamente cose diverse. Abbassa l’età del pensionamento nella riforma universitaria, mentre nella manovra appena approvata blocca e rinvia di almeno un anno a far data dal 2011, il diritto per coloro che hanno maturato la pensione di vecchiaia. Prevede inoltre un rapporto tra speranza di vita ed età pensionabile per definire il pensionamento di vecchiaia-E’vero che la riforma universitaria è stata presentata prima ma non ci vuole molto per coordinare i testi, visto che sono entrambi del governo!
Maria Luisa
Appartenendo alla "generazione di mezzo" ho sperimentato anch’io la rarefazione dei concorsi, l’ingresso tardivo all’Università, la riforma Dini, il costoso riscatto della laurea (che molti colleghi non hanno potuto nemmeno permettersi di pagare), ecc. Condivido e apprezzo dunque, anche per questo motivo, l’analisi e le conclusioni di Brugiavini e Weber. Vorrei però sottolineare un aspetto troppo spesso dimenticato nella discussione sull’età in cui i professori dovrebbero andare in pensione, un aspetto che Balestrino e Ranchetti hanno avuto il merito di richiamare: il valore del docente alle soglie della pensione. Ho avuto la fortuna di avere maestri eccellenti, studiosi di grande valore e di fama internazionale: prossimi ai 70 anni stanno ormai per andare in pensione e non riesco assolutamente a non pensare a ciò come a un impoverimento, che se si fosse verificato cinque anni fa sarebbe stato anche più grave, né tanto meno a rallegrarmi perché (forse) così si libereranno risorse per far posto ai giovani. Dovremmo recuperare il senso, il valore e la dignità della ricerca e dell’insegnamento: forse così sarebbe chiaro che l’Università è diversa da una fabbrica di bottoni (absit…)
Luca Schiaffino
Ho l’impressione che il dibattito sui 65 anni stia diventando una querelle fra i soggetti coinvolti: i professori non giovanissimi delle università italiane che sarebbero personalmente coinvolti da un lato e dall’altro i precari che potrebbero finalmente uscire dalla giungla di contratti indecenti. Quasi tutti gli interventi sui quotidiani e su questo sito provengono dalla prima categoria, mentre i secondi difficilmente sono ospitati sulla stampa che conta, per cui il dibattito è purtroppo monco. In ogni caso consiglierei di leggere la proposta del PD nella sua interezza, così da evitare di riportare calcoli pensionistici basati su una proposta diversa da quella presentata (come è accaduto nel precedente articolo) o di paventare questioni di civilità e provvedimenti illiberali (come accade in questo articolo che ignora il contenuto del comma 7 della proposta, che consentirebbe ai professori over-65 di continuare fornire il proprio entusiasmo e le proprie capacità mediante la stipula di appositi contratti annuali).
Francesco Cerisoli
Si ha buon gioco a contare i prof over 65 ad Harvard per corroborare l’potesi che il pensionamento a 65 in Italia priverebbe l’Accademia di menti preziose nella misura di un 10%. Purtroppo il paragone non tiene, per molti motivi che vado ad elencare: 1) Nell’Università italiana i prof over 65 sono oggi già il 13,6% del totale (8287/60880, Fonte = Ufficio di statistica del Miur. A proposito, quale fonte avete per Harvard, per curiosita’?). La percentuale, a fronte del blocco delle assunzioni e all’arrivo alla soglia dei 65 delle classi piu’numerose (nati nel 1946 e 1947) schizzerà dal prossimo anno al 20% del totale. 2) Non si può paragonare UNA università con un intero sistema di Università. Se allarghiamo a tutti i prof degli States, troviamo che in effetti gli over 65 si attestano attorno al 5% (se ne parla qui) 3) La percentuale di Premi Nobel, Medaglie Fields et similia fra gli over65 di Harvard è estremamente maggiore di quella che riscontriamo fra gli over65 accademici italiani (che, se non sbaglio, e’ 0%), e giustifica forse l’ "errore di campionamento" che stiamo considerando.
Renato Foschi
Le analisi degli ormai continui articoli della voce sull’università non sono per nulla convincenti. E’ il secondo articolo in due giorni sul medesimo argomento. L’Italia è l’unico paese nel mondo che favorisce il pensionamento a 70anni dei docenti con il sistema retributivo, mentre tiene al palo precari e giovani costretti al sistema contributivo. Nel mondo il pensionamento è a 65-68 anni. I prossimi anni per gli attuali 30/40enni saranno anni in cui dovranno combattere per avere una pensione…però gli attuali 50/60enni vogliono esclusivamente mantenere il sistema odierno e non vedono né pianificano nessun piano solidale di rimessa in discussione del sistema contributivo. Non mi pare che il pd voglia mandare in pensione le competenze… l’obiettivo è il turn over sul fondo di finanziamento ordinario e il mantenimento in servizio con esclusive funzioni didattiche o di ricerca degli attuali migliori professori tramite contratti di natura privata. La Sapienza ha già approvato per il mantenimento in servizio tramite contratto e per ulteriori due anni la figura di docente senior. Perché la voce non si occupa di scrivere delle pensioni degli attuali precari e giovani ricercatori?
Miriam
La generazione fortunata dei nati prima del 1965, quella che ha contratto i debiti che noi paghiamo, ci spiega che conviene a tutti difendere i loro privilegi. E poi i senatori anti-65 anni in Senato intervengono dicendo che cosìsi scatenerebbe il conflitto generazionale? Ma non si rendono conto che il conflitto esiste già? Certo, a loro conviene negarlo, visto che appartengono ad una generazione che ha interesse a nasconderlo sotto il tappeto e continuare la propria vita privilegiata!
Antonio ORNELLO
Noto delle contraddizioni: si favorisce il sistema retributivo dei 70enni ma si tengono al palo giovani e precari costretti al contributivo; si abbassa l’età di pensionamento dei docenti ma si bloccano le pensioni di vecchiaia; si prevede un rapporto tra speranza di vita ed età minima pensionabile ma non tra quanto versato e quanto restituito con l’assegno di pensione; si propone lo svecchiamento ma si lascerebbe ai docenti anziani la facoltà di insegnare; si aumenterebbero le tasse (comprese quelle degli imprenditori, anatema!) per migliorare i conti dell’Inps, già in ordine; il legislatore vuole cacciare chi ha pagato fior di contributi, senza volerglieli restituire, per non fargli accorgere che ha già pagato troppo, ma vuole continuare a seminare iniquità vietando agli anziani di accedere all’unico trattamento utile a tutti: il contributivo.
vittorio
Difficile da capire questo ragionamento, quando il punto massimo della "carriera" è la pensione! Forse un poco di meritocrazia non guasterebbe. La continua necessita di "confermarsi all’altezza".