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Prove di federalismo municipale

Più ombre che luci nella riforma della fiscalità comunale. Nascono dubbi sul fatto che possa garantire la certezza di risorse alla base di ogni seria prospettiva di responsabilizzazione degli enti territoriali. Nella seconda fase, l’Imup si profila come una super-patrimoniale sulle seconde case.

 

La riforma della fiscalità comunale prevista nello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 4 agosto scorso è fatta di luci e ombre, come ha ben evidenziato Gilberto Muraro. Per la verità, più di ombre che di luci. Ed è in parte ancora tutta da scrivere.
Secondo lo schema di decreto la riforma si realizzerà in due fasi.

LA PRIMA FASE: AI COMUNI LE IMPOSTE SUGLI IMMOBILI

Nella prima fase ci si limita a “devolvere” a favore dei comuni il gettito di una serie di imposte statali oggi gravanti a vario titolo sugli immobili: l’’Irpef per la parte relativa ai redditi fondiari, l’’imposta di registro e di bollo, l’’imposta ipotecaria e catastale, più l’’imposta sostitutiva sui canoni di locazione immobiliari introdotta dallo stesso decreto. In termini aggregati, l’’unico cambiamento rispetto alla situazione attuale consiste nel fatto che il fondo che finanzia i trasferimenti dello Stato ai comuni verrebbe alimentato non dalla fiscalità generale, ma da un insieme di specifiche imposte, quelle immobiliari appunto.
Consapevole della forte sperequazione territoriale che caratterizza alcune delle imposte devolute (in particolare l’’imposta di registro e di bollo e l’’imposta ipotecaria e catastale), il decreto prevede l’’istituzione di un “Fondo sperimentale di riequilibrio”, alimentato dai gettiti devoluti e poi ripartito tra i singoli comuni secondo criteri da specificare. Il fondo sperimentale dovrebbe rimanere attivo fino all’’istituzione del fondo perequativo vero e proprio previsto dalla legge delega sul federalismo fiscale.
La devoluzione dei gettiti di questi tributi erariali ovviamente non conferisce ai comuni alcuna autonomia in termini di manovrabilità delle imposte assegnate, le quali restano a pieno titolo tributi erariali. Riesce difficile trovare una coerenza tra tale provvedimento e l’impianto della legge delega sul federalismo. Secondo la legge delega, i comuni dovrebbero infatti ricevere risorse adeguate a garantire il finanziamento delle funzioni fondamentali, con riferimento a indicatori standard di fabbisogno e di costo. Il decreto capovolge questa impostazione, legando le risorse dei comuni al gettito di un insieme di imposte. Laddove la legge delega prevedeva un sistema di perequazione “verticale” (dallo Stato ai comuni), la soluzione del governo prefigura piuttosto un meccanismo di trasferimenti perequativi di tipo “orizzontale”, cioè da comuni ricchi a favore di comuni poveri. Quel che è peggio, rischia di indebolire il principio del pieno finanziamento dei comuni nelle loro funzioni fondamentali.
Allo scopo di garantire “la neutralità finanziaria” dell’’intervento, viene prevista inoltre una compartecipazione a favore dello Stato sul gettito degli stessi tributi devoluti. In particolare, la relazione tecnica che accompagna lo schema di decreto quantifica in 12,9 miliardi l’’ammontare dei trasferimenti da fiscalizzare per il 2011. Nella sostanza si tratta di un ammontare che fa proprio il taglio di 1,5 miliardi previsto dalla manovra finanziaria 2010-13. Dato che per lo stesso anno si prevede che i tributi “devoluti” (inclusa la nuova cedolare secca sulle locazioni) produrranno un gettito complessivo pari a 15,6 miliardi, si rende necessario restituire allo Stato le risorse finanziarie appena devolute, ma eccedenti. Per il 2011 viene infatti prevista una compartecipazione dello Stato sui tributi devoluti di 2,7 miliardi. Si tratta di uno stravagante meccanismo di aggiustamento, richiesto dalla scelta di lasciare invariata la struttura delle imposte devolute e, al contempo, dall’’applicazione del vincolo di “neutralità finanziaria” tale per cui il federalismo fiscale non deve comportare aumenti di pressione fiscale. Il problema è che questo vincolo, peraltro già di per sé discutibile se interpretato troppo rigidamente, è qui applicato in modo improprio perché non imposto, in una visione di insieme, al complesso della riforma del federalismo fiscale, bensì “a compartimenti stagni”, su un singolo intervento, escludendo la possibilità di compensazioni di gettito tra differenti blocchi della riforma che possano favorire la coerenza del sistema tributario nazionale nel suo complesso.
Il riferimento a un insieme di imposte sperequate nello spazio e caratterizzate da una certa volatilità nel tempo, insieme alla descritta compartecipazione dello Stato (che reintroduce quell’elemento di discrezionalità che la devoluzione vorrebbe eliminare), sollevano dubbi seri sul fatto che la riforma avviata possa garantire quella certezza di risorse che dovrebbe essere alla base di ogni seria prospettiva di responsabilizzazione degli enti sub-centrali di governo.

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ARRIVA LA CEDOLARE SUGLI AFFITTI

Nella prima fase, la novità forse più rilevante è l’introduzione di un’’imposta sostitutiva sui canoni di locazione sugli immobili a uso abitativo: il proprietario di un immobile residenziale (e non di altre tipologie di immobili) dato in affitto può optare, in alternativa al regime ordinario progressivo Irpef (più relative addizionali regionali e comunali) e del pagamento dell’’imposta di bollo e registro, per una tassazione proporzionale, nella forma di cedolare secca con aliquota del 20 per cento.
La riduzione del carico fiscale sugli immobili residenziali locati è un provvedimento che va senz’altro apprezzato in un paese caratterizzato da un mercato delle locazioni asfittico, in cui l’accesso alla casa è un problema. Vero è che a trarre vantaggio nell’immediato della minore tassazione saranno i proprietari di immobili con reddito più alto. L’effetto di medio/lungo periodo dovrebbe essere tuttavia quello di rendere più conveniente l’immissione di immobili sul mercato delle locazioni e incoraggiare l’emersione del nero (va in questa direzione anche l’inasprimento delle sanzioni), trasferendo parte dei vantaggi ai locatari. Proprio al fine di produrre effetti redistributivi meno regressivi sarebbe stato meglio prevedere il regime della cedolare soltanto per i nuovi contratti: ciò avrebbe incoraggiato una più rapida traslazione della minore imposizione sui canoni di locazione.
Il decreto del governo conferma invece il “peccato originale” dell’esclusione dell’abitazione principale da ogni forma di imposizione patrimoniale o reddituale. Così facendo, viene sollevata dal finanziamento dei servizi comunali una larga fetta dei residenti, con chiara violazione di uno dei principi cardine del federalismo fiscale, quello della coincidenza tra contribuenti e beneficiari.

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  1. padanus

    Buongiorno, voi scrivete: "sarebbe stato meglio prevedere il regime della cedolare soltanto per i nuovi contratti". Non mi pare così semplice, da locatore darei immediatamente disdetta e rifarei un contratto nuovo. Se l’inquilino si lamenta che vuole anche lui partecipare alla riduzione di imposta per me proprietario, visto che ha già ricevuto disdetta, può anche cercarsi un’altra casa. La vostra proposta, messa lì come un "uovo di colombo" mi pare rischiosa proprio per i conduttori attuali. Scrivete anche: "Il decreto del governo conferma invece il “peccato originale” dell’esclusione dell’abitazione principale" Ma perchè la 1^casa di proprietà che è l’unica certezza specialmente in questi tempi di crisi deve essere tassata? Il fatto stesso che si sia risparmiato per comprarsi la casa dove si abita, è meritorio di tutela. L’abitazione è un diritto primario, devo aspettarmi che tasseranno anche l’aria che respiro nel mio comune? Per stabilire la corrispondenza tra servizi e beneficiari, si usino le tariffe! La sperequazione fiscale è nei confronti di chi è in affitto, che non paga nulla all’erario, eppur abita. Ricordo che l’ici nacque nel 1992 come Imposta Straordinaria Immobili.

  2. Fulvio Krizman

    Purtroppo credo che la semplice soluzione della cedolare secca per i canoni di locazione ad uso abitatativo, con l’inasprimento delle sanzioni per chi loca in nero, sia un provvedimento insufficiente per far emergere il sommerso in questo settore dell’economia italiana, se non accompagnato da una presa di coraggio da parte delle autorità comunali preposte, di un inasprimento dei controlli, che in piccole realtà cittadine può essere più agevolmete attuato (con ampia responsabilizzazione politica) rispetto ai grandi centri urbani, dove comunque si annida di più il fenomeno. Per quanto riguarda il "peccato originale" al quale si riferiscono gli autori dell’articolo, è bene che in un paese come l’Italia, dove la gente vive il problema della casa di proprietà come una giusta prospettiva di investimentoper se e per i figli, spesso accompagnato da un pesante mutuo quasi a vita, tale peccato sia sempre mantenuto esente da battesimi anche da altri governi futuri di qualsiasi tendenza.

  3. Marcello Battini

    Mi unisco al coro degli scriventi che sono in disaccordo con la posizione espressa dall’autore, con riferimento alla prima casa (a meno che non sia di lusso), ma non condivido neanche l’affermazione secondo la quale "la cedolare secca" può migliorare il mercato abitativo a favore degli utenti. La casa è una necessità primaria, come il cibo e le medicine, il suo mercato di riferimento, deve essere regolamentato, al meno, finchè non si sia ristabilita un equilibrio tra domanda e offerta, attualmente troppo sbilanciata a favore dei proprietari d’immobili.

  4. salvatore

    Se non sbaglio negli USA qualsiasi reddito viene cumulato e tassato con aliquote progressive. La cedolare al 20% è un regalo ai grandi proprietari che oggi cumulano l’85% dell’affitto nel totale dei redditi e poi calcolano quanto versare all’erario. Con l’evasione non c’entra un bel nulla: ci credono solo gli allocchi! Se vogliono diminuire l’evasione invece di stare comodamente negli uffici o al bar a farsi il cappuccino, vadano casa per casa a verificare i contratti di affitto. In fondo le case sono difficili da nascondere.

  5. luigi saccavini

    Trovo l’analisi seria e competente. Quanto al contenuto: siamo ad un impianto provvisorio che deve percorrere il suo iter, mancante di “dettagli” non secondari per divenire legge; sembra un “regalino” alla Lega visti i contenuti, che di autonomia finanziaria ai comuni ne danno ben poca e in modo confuso. Un federalismo fiscale quasi per finta, anche se far passare il principio è cosa buona. La tassa sulla casa: credo sia da precisare che non si tratta di una nuova tassa, bensì di un trasferimento dallo Stato al Comune: si riducono le tasse allo Stato ed i Comuni, invece dei “trasferimenti” devono chiedere le risorse ai cittadini: una rivoluzione, che obbliga gli amministratori locali a risparmiare, se vogliono essere rieletti. In quasi tutti i paesi a democrazia matura la casa (in proprietà o in locazione) è il parametro cui il Comune si ancora per definire l’imposta locale. Gli autori hanno ragione da vendere nel denunciare che la mancata applicazione di questo principio (ovviamente a totale zero in termini di tassazione complessiva), limitandosi alla seconda casa impoverisce l’impianto della legge, oltre a generare squilibri esattivi da comune a comune.

  6. Bruno Stucchi

    Dal mio piccolo osservatorio di provincia ho scoperto che la cedolare secca sugli affitti sta facendo preoccupare molto tutti i noti evasori fiscali del posto. Eh già, nel piccolo sappiamo tutto di chi vive "con la minima", ma ha tre o quattro appartamenti in affitto (in nero, sicuro) in paese, senza contare quelli al mare o in montagna, acquistati neglli scorsi anni coi loro "piccoli risparmi". No, non sono professionisti o rentiers ma, di solito, ex piccoli atigiani o commercianti che negli scorsi anni dichiaravano redditi inferiori a quelli dei loro dipendenti. In Comune -e in paese- sanno tutti chi sono. E’ il vantaggio/svantaggio del localismo.

  7. bob

    Per capire, se ce ne fosse stato bisogno, che siamo il Paese di Arlecchino e Pulcinella è stato il "folclore" della visita di Gheddafi. Cosa unica mai vista in nessun Paese del mondo. Per cui perché meravigliarsi se qualcuno ancora parla di "federalismo". Le macerie e i danni che lascerano questi predatori (mai vista una cosa del genere in 150 anni di Storia) sarà il lascito che erediteranno i nsostri figli a differenza di noi che abbiamo ereditato concrettezza e onestà.

  8. sandro

    Basare le entrate comunali su imposte sugli immobili produrrà un enorme abusivismo edilizio, rafforzerà il partito del cemento. Il verde non rende ninete, ma la nostra Costituzione e il codice degli appalti pubblici pongono la tutela del paesaggio come un valore più importante dello sviluppo economico. Nel Piano di rinascita Democratica è scritto chiaramente che l’edilizia deve diventare il motore della crescita economica, ed è ciò che stanno facendo queste riforme, seguendo gli Stati Uniti con i classici venti anni di ritardo che si porta dietro la storia italiana. Negli Usa l’edilizia è il settore che occupa più persone e uno dei più dinamici, non esistono piani regolatori, per cui è molto più facile demolire e ricostruire. Delocalizzata la produzione industriale in Cina, l’edilizia diventa l’unica industria non esportabile, dove il personale deve per forza essere reclutato in loco. Ma è pure il settore che crea meno valore aggiunto, occupazione instabile e dequalificata. Lo stesso Keynes diceva che quando non c’è lavoro, è utile costruire le buche e ricoprirle, perchè almeno circola la moneta.

  9. Condello Giuseppe

    Risulta chiaro che le influenze di una certa parte politica siano state rilevanti nel determinare un certo tipo di impostazione da voi illustrato sopra. Emerge come siano traditi, all’insegna della coerenza dei principi costituzionali. Attenzione! Questo non è federalismo e per favore si tenga a mente che le maggiori difficoltà di accertamento della base imponibile e di certezza nell’acquisizione del tributo si hanno a sud. E’ chiaro che deve essere lo stato a determinare la perequazione in base al principio della coesione nazionale. Il regionalismo fiscale è leghista e settentrionalista.

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