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LA RISPOSTA AI COMMENTI E A MARCO SPAMPINATO

Nel mio precedente intervento segnalavo che l’Irlanda presenta uno dei rapporti fra redditi da capitale corrisposti all’estero e Pil più elevati al mondo, chiaro indice di insostenibilità del debito estero (che nel suo caso è essenzialmente di natura privata). Prendendo la media del rapporto redditi netti dall’estero/Pil sul periodo 2002-2007, l’Irlanda (-15 per cento) è preceduta solo dal Congo (-23 per cento); molto più giù troviamo: Islanda (45esimo posto, -3.7per cento), Grecia (62esimo posto, -2.7 per cento), Portogallo (63esimo posto, -2.7 per cento), Spagna (84esimo posto, -1.9 per cento), Italia (98esimo posto, -1.1 per cento). Germania, Francia, Olanda (e Stati Uniti, Giappone, Cina) hanno saldi positivi (1). Non è anormale che un paese europeo paghi all’estero un carico di interessi da Africa sub-sahariana?

BOTH A BORROWER AND A LENDER BE… WITH CARE!

Nel 2007 il Congo era ottavo nella graduatoria (2) del debito estero netto (-140 per cento del Pil). L’Irlanda stava molto meglio, era solo 115esima (debito netto: -18 per cento del Pil). Se due paesi che ricorrono al capitale estero in quantità tanto diverse pagano conti simili, vuol dire che chi ne usa di meno ne ha scelto un tipo più costoso. Controprova: come fanno gli Usa, al 116esimo posto (debito netto: -17 per cento del Pil), a incassare redditi da capitale positivi avendo un debito di proporzioni “irlandesi”? Perché vendono all’estero bond (fra cui i famosi T-Bill che vanno in Cina), e acquistano dall’estero azioni, in buona parte per il controllo diretto di aziende (cioè a titolo di Ide). Siccome le azioni sono più remunerative dei bond, gli Usa coi proventi di 1000 miliardi di attività azionarie nette (Ide) compensano gli oneri di -3000 miliardi di passività obbligazionarie nette (3). Al netto sono in debito per -2000, ma alla fine ci guadagnano anche perché hanno composto bene il loro portafoglio. Gli irlandesi no, e il loro onere del debito estero è abnorme.

GLI IDE NON SONO UN FREE LUNCH

Ragazzi sostiene invece che gli Ide in entrata sono convenienti: quando il capitale estero arriva, se le cose vanno bene lo remuneri, se vanno male no, perché è impossibile rimpatriare profitti se prima non li si fanno. L’argomento fila, ma non quadra coi dati. L’Irlanda è in crisi dal 2008, la sua competitività è in calo dal 2002. I redditi passivi da Ide però sono saliti da 29 miliardi nel 2002 a 32 nel 2009 e dal 2004 le partite correnti irlandesi sono in rosso: l’attivo commerciale è crollato di 17 punti di Pil dal 2002 al 2007, ma i redditi netti da capitale pagati all’estero sono rimasti attorno ai 15 punti di Pil (4). Da sei anni l’Irlanda si sta indebitando con l’estero per pagare interessi all’estero, a causa degli Ide, poiché i redditi da altri investimenti esteri sono bilanciati. Vediamola al contrario: se fosse pacifico che gli Ide in caso di crisi non vengono remunerati, perché mai Usa (e Germania, e Giappone, e fra poco la Cina) sarebbero così ingenui da mantenere posizione netta positiva in Ide? Meglio prendere soldi a prestito e non pagare quando le cose vanno male, piuttosto che darli a prestito e non essere pagati, no? Ma le cose non vanno così.

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LE BOLLE SONO PIENE DI SOLDI (ESTERI).

 Sintesi: l’Irlanda ha un problema di debito estero. Senza contestarlo, Spampinato sostiene che invece (?) il problema è la bolla: tutti si sono messi a comprare case, i prezzi sono cresciuti, ecc. Ma gli irlandesi i soldi per gonfiare la bolla dove li hanno trovati? Risposta: in banca. Perché, segnala Ragazzi, in Irlanda “le passività delle banche sono salite fino a 5 volte il Pil”. Va bene, ma allora le banche irlandesi i soldi dove li hanno trovati? Se hanno espanso indiscriminatamente i prestiti, cioè il debito (privato) dei loro clienti, finanziando bolle, evidentemente disponevano di liquidità esorbitante, che non poteva provenire solo dai risparmi di 4 milioni di irlandesi. E infatti proveniva dall’estero: in particolare, la raccolta all’esterno dell’eurozona è aumentata del 708 per cento nel decennio 1999-2008. Se risaliamo la catena causale, dalla bolla si arriva al debito estero.

ANTE HOC ERGO PROPTER HOC?

Io segnalo che agli irlandesi sono arrivati troppi soldi dall’estero, Spampinato aggiunge che li hanno usati male. Un dato consequenziale, non alternativo, al mio. Che le banche, pur di non tenere inutilizzato un eccesso di liquidità, lo prestino a debitori (privati) non solvibili è purtroppo nella logica delle cose ed è già successo in tutti i paesi alluvionati da capitali esteri, nei quali, è risaputo, si sono ovviamente sviluppate bolle: Thailandia, Islanda, Spagna, Stati Uniti… Di converso: senza alluvione di capitali, ci sarebbero stati soldi per gonfiare la bolla? Trascuravo “banks & bubbles” non per inconsapevolezza, ma per consapevolezza (condivisa dall’“anima semplice”) del fatto che esse sono “a valle” dell’afflusso di capitali. Nei casi citati, la bolla è stata preceduta da un peggioramento strutturale (5) dell’indebitamento estero (in Irlanda: -4 punti di Pil dal 1997 al 2002). Certo, per capire dopo cosa è successo in un paese i permessi di costruzione sono utili, ma per capirlo prima è più utile l’indebitamento estero.

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BACK TO FUNDAMENTALS

Perché un paese si mette a crescere coi soldi altrui? Nel 2006 uno studio della Bce (6) individuava nell’eurozona due club: uno ad alta inflazione (Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e Olanda) e uno a bassa (Germania, Austria, Belgio, Francia e Finlandia), con l’Italia isolata in posizione intermedia. Nel 2004 l’Olanda ha cambiato club. Nel primo sono rimasti i Pigs con la “I” di Irlanda, che hanno perso competitività, diventando (come da manuale) importatori netti di capitali e incrementando i loro debiti esteri netti di più di 60 punti di Pil dal 1999 al 2007 (ricordate da dove siamo partiti?). Anche l’euro non è un free lunch: non basta entrarci, bisogna saperci stare. L’Olanda lo ha capito, i Pigs no. Più dell’evidenza aneddotica su bolle e speculatori, sarebbe di aiuto capire come l’Olanda abbia aggiustato i suoi fondamentali fra il 2002 e il 2004, portando l’inflazione dal 4 per cento all’1 per cento, e di conseguenza abbattendo di 31 punti di Pil il suo debito estero, e superando la crisi con solo -0.2 per cento di Pil (contro il -11.4 per cento dell’Irlanda).

LA MORALE DELLA FAVOLA

La mia non è una requisitoria no global contro i movimenti di capitale, ma una constatazione: in un mondo globalizzato, il debito estero non è più un problema che riguarda solo persone col colore della pelle diverso dal nostro. La sua entità e la sua composizione vanno monitorate e gestite anche e soprattutto da noi. Il resto sono (importanti, interessanti, dolorosi) epifenomeni.

(1) International Financial Statistics, 2010#8
(2) www.philiplane.org/EWN.html
(3) www.bea.gov/international/xls/intinv09_t2.xls
(4) www.cso.ie/releasespublications/documents/economy/current/bop.pdf
(5) www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2010/02/weodata/download.aspx
(6) Busetti et al. (2006) “Inflation convergence and divergence within the European Monetary Union”, ECB W. P., 574

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  1. PDC

    Per come la vedo io, gli investimenti esteri possono essere tanto un bene quanto un male. Da un lato permettono di finanziare lo sviluppo, dall’altro possono alimentare le bolle. Inoltre c’è la questione del controllo: molti investimenti sono vincolati allo spostamento della testa all’estero: questo può introdurre una benefica ventata d’aria nuova nella gestione delle attività, ma d’altro canto non si può non aspettarsi una gestione altamente opportunistica delle stesse. Mi pare quindi che sia saggio contenere la dipendenza dagli investimenti esteri dell’economia di un paese. Detto ciò, come non chiedersi se non sarebbe opportuno anche mettere il morso alle fughe verso l’alto del mattone, vera malattia del nostro tempo? Purtroppo gli interessi coinvolti sono enormi, a livello locale i palazzinari hanno spesso il controllo delle amministrazioni, i giornali sono dalla loro parte ed infine tutti i proprietari di casa si “sentono” più ricchi se il “valore” della loro proprietà sale (poveri piccoli illusi, fan quasi tenerezza: quel "valore" diventerebbe tale solo se monetizzato… e non per comprare altri immobili, ovviamente).

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