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QUELL’INFORMAZIONE COMPRATA CON LA PUBBLICITÀ

Avere informazioni credibili e obiettive costituisce un modo con cui i cittadini possono osservare e controllare le decisioni politiche ed economiche. Se la pubblicità può influenzare i contenuti editoriali, si produce un cortocircuito pericoloso dove assumono importanza le informazioni riservate. Una ricerca mostra che i quotidiani pubblicano più articoli sulle società quotate che fanno più pubblicità sulla loro testata.

Con le recenti vicende relative alla fantomatica “P4”, che hanno portato all’arresto del lobbista Luigi Bisignani, si è anche ricominciato a riflettere sul tema dell’influenza della pubblicità sui mass media. Si tratta di un problema che riguarda molte testate. La trasparenza dell’informazione  emerge come fattore centrale nel controllo e monitoraggio dei processi decisionali e la possibilità che l’informazione economica relativa alle imprese sia influenzabile dalle imprese stesse attraverso gli investimenti pubblicitari dovrebbe suscitare riflessioni.

LA RICERCA

A prescindere dalla discussione del caso singolo, il tema degli effetti della pubblicità sulla copertura giornalistica – in particolare da parte dei quotidiani – può essere analizzato in maniera sistematica, utilizzando dati sugli acquisti pubblicitari e sfruttando gli archivi online dei giornali stessi. In un recente lavoro, disponibile qui, ci siamo focalizzati sul caso italiano e abbiamo raccolto dati sulla copertura mediatica di tredici societàquotate medio-grandi da parte di sei quotidiani, durante il biennio 2006-2007. L’analisi mostra la presenza di un legame positivo, statisticamente ed economicamente significativo, tra l’ammontare di pubblicità acquistata mensilmente su un dato quotidiano da una data società e il numero di articoli che menzionano quella società su quel quotidiano.
Nella fattispecie, le società considerate sono Campari, Edison, Enel, Eni, Fiat, Finmeccanica, Geox, Indesit, Luxottica, Mediolanum, Telecom Italia, Tiscali e Tod’s, mentre i quotidiani sono Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa,Il Resto del Carlino, Il Mattino di Padova e Il Tirreno. Evidentemente le varie società hanno un diverso livello medio di rilevanza mediatica, così come i quotidiani potrebbero avere una diversa propensione a trattare di temi finanziari, e di queste imprese in modo particolare. Non bisogna poi dimenticare l’esistenza di legami proprietari tra Fiat e La Stampa, e tra Fiat, Telecom Italia e Tod’s con Il Corriere della Sera tramite la partecipazione al patto di sindacato. Dal punto di vista statistico, la presenza di una molteplicità di quotidiani e di imprese permette di incorporare medie diverse di copertura per la singola impresa sui diversi quotidiani, e per il singolo quotidiano a proposito delle diverse imprese, e infine di tenere conto dei legami proprietari di cui sopra. Ebbene, tenendo conto di questi fattori, l’analisi statistica mostra un legame positivo e significativo tra la pubblicità e la copertura mediatica: dal punto di vista quantitativo un aumento di 50mila euro nella pubblicità mensile acquistata da una data impresa su un quotidiano si associa in media con tredici articoli aggiuntivi al mese che menzionano quell’impresa.
Per quanto concerne i legami proprietari, mentre non osserviamo una differenza significativa sul Corriere per le tre imprese che partecipano al patto di sindacato, troviamo che vi sono sistematicamente più articoli che menzionano la Fiat su La Stampa. Naturalmente, la proprietà comune potrebbe non essere l’unica spiegazione di causalità. Il fatto che ambedue siano a Torino potrebbe suggerire una spiegazione sul lato della domanda, attraverso le preferenze dei lettori piemontesi.

L’EFFETTO DEL COMUNICATO STAMPA

L’attività comunicativa delle imprese non si estrinseca soltanto nell’acquisto di pubblicità ma anche nella emissione di comunicati stampa, talora necessitati – per le imprese quotate – dall’obbligo di diffondere in una maniera regolamentata informazioni price sensitive, cioè che possono influenzare il prezzo in borsa. Per le imprese nel nostro campione abbiamo ricavato dai siti istituzionali delle imprese stesse la data esatta in cui è stato emesso un comunicato stampa. Nessuno dovrebbe stupirsi che – il giorno dopo l’uscita di un comunicato da parte dell’impresa X – vi sono sistematicamente più articoli che menzionano quell’impresa. L’aspetto cruciale della cosa è che l’aumento di notizie dopo un comunicato stampa è significativamente maggiore sui quotidiani su cui l’impresa X compra più pubblicità. Traspare dunque una sinergia interessante tra l’acquisto di pubblicità e l’attività di relazioni pubbliche.
Come spiegare questi risultati? Secondo un’interpretazione benevola, esiste un effetto riflettore della pubblicità, per cui la società che compra più spazi acquista notorietà anche agli occhi dei giornalisti, che trovano più facile ricordarsene e menzionarla nei propri pezzi. Secondo l’altra interpretazione, vagamente più malevola, le imprese, in modo più o meno implicito, non comprano soltanto spazi pubblicitari, ma anche l’attenzione aggiuntiva dei quotidiani all’interno degli articoli.
Sull’influenza della pubblicità, l’effetto della concorrenza può essere ambiguo. Da un lato, un grado maggiore di concorrenza può spingere i giornali a meglio accontentare i lettori, evitando di farsi catturare dagli inserzionisti pubblicitari, ma d’altra parte un mercato più frammentato implica giornali più piccoli che hanno meno potere contrattuale con le imprese.              

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ECCO I VERI NUMERI DELLA MANOVRA

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PENSIONI E CRESCITA

  1. Luca

    Molti dei quotidiani locali appartengono a gruppi editoriali molto grandi. La soglia dei 50’000 euro non dovrebbe essere verificata come rapporto tra cifra invesitita in pubblicità e capitale del giornale (o del gruppo editoriale stesso), piuttosto che come numero assoluto? Di per sé, un numero così rappresenta più dell’1% delle entrate mensili di un giornale come il tirreno o il mattino di padova, logico aspettarsi un grande cambio del rapporto tra giornale e azienda, ma è così "economico" comprare l’attenzione dei giornali a tiratura nazionale (di cui parlate ricordando la stampa e fiat, ma come tralasciare il esgreto di pulcinella la repubblica e galassia CIR)? Se poteste pubblicate dei grafici/tabelle esplicative …

  2. Marco Dal Pozzo

    Nell’articolo si dice: “dal punto di vista quantitativo un aumento di 50mila euro nella pubblicità mensile acquistata da una data impresa su un quotidiano si associa in media con tredici articoli aggiuntivi al mese che menzionano quell’impresa” Ma quanto incidono quei 50mila euro nella trasparenza delle notizie di carattere politico? Quanto risultano inquinate le notizie politiche? [anche se il problema, forse, in questo caso è maggiormente legato alla Proprieta’]

  3. Maria Teresa Ubertalli

    Ho letto con interesse il vostro articolo. Si tratta di un legame di cui, da consumatrice/utente, non conoscevo l’esistenza… Fino a tre anni fa, quando verificai di persona, durante uno stage presso la redazione di un giornale locale, come le notizie legate ad attività (società sportive, enti, librerire, ecc.) che regolarmente acquistavano spazi pubblicitari fossero “premiate” – con spazi adeguati, immagini, bei titoli, ecc. Al contrario, gli eventuali comunicati stampa delle società/aziende/enti che non figuravano anche come inserzionisti, finivano per essere ridotti all’osso se non, in taluni casi, (in)volontariamente trascurati, dimenticati o dispettosamente cassati. Mi sto riferendo al caso di un piccolo settimanale di cronaca e attualità locale. Non ero giunta a immaginare che la stessa equazione potesse valere per le grandi testate. Ancora troppo ingenua, come consumatrice-lettrice-utente, pur avendo qualche decennio di vita sulle spalle. Vi seguo sempre con attenzione, sebbene numeri ed economia siano ancora oggi per me materie ostiche. Grazie e cordiali saluti, Maria Teresa Ubertalli Ape

  4. John Horsemoon (pubblicista)

    L’informazione in Italia è storicamente viziata da un peccato originale, l’assenza di editori puri, fin dalla nascita dei giornali più importanti e con più lunga tradizione. Al contrario in America (penny press fu solo l’inizio). Il divieto di pubblicità è un totem che l’Ordine dei Giornalisti (con varie complicità) erge a tutela dei furbi, non dei trasparenti. La storia riguarda proprio la mancanza di trasparenza e di onestà intellettuale. La crisi dell’editoria prima che economica è di legittimità: la gente non si fida più. Il web è la nuova frontiera della libertà e della libera stampa, ma il terreno della fiducia da recuperare (anche per chiedere un costo da pagare) è vasto e la lotta lunga. Non fermiamoci.

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