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FIAT TRA LE DUE SPONDE DELL’ATLANTICO

Negli ultimi mesi Fiat ha mostrato una sempre più netta differenza di risultati da una sponda all’altra dell’Atlantico. Da una parte c’è il promettente Nuovo Mondo: buon andamento in Sud America, Brasile e Argentina in particolare, e segni di ripresa nel Nord. Dall’altra, un mercato dell’auto sempre più in difficoltà nel Vecchio Continente, dal quale la casa torinese ancora dipende. Uno squilibrio che ha portato al downgrade da parte dell’agenzia Moody’s.

Fiat ha raggiunto volumi di vendita molto rilevanti in America, anche grazie all’integrazione con Chrysler.

RISULTATI DALLE AMERICHE

I marchi della casa torinese sono da tempo leader in Sud America, in particolare nei mercati più importanti, Brasile e Argentina. In Brasile nel periodo gennaio-agosto 2011 sono state immatricolate oltre 394mila automobili Fiat: corrisponde a una quota di mercato del 22,8 per cento in una nazione che mostra una crescita del settore di oltre il 5 per cento annuo e che oggi è per Fiat il paese principale per volumi di vendita.
Notizie confortanti giungono anche dal Nord America. Negli Stati Uniti, le immatricolazioni di veicoli passeggeri sono in aumento: il mercato, quasi dimezzato tra il 2008 e il 2009, mostra nuovamente un trend positivo. E Chrysler, dopo la ristrutturazione perseguita da Sergio Marchionne, torna a detenere una quota di mercato superiore al 10,3 per cento, pari a oltre 870 mila vetture vendute tra gennaio e agosto 2011.

FIAT E L’EUROPA

L’Europa dell’auto è caratterizzata da volumi complessivi in calo: -1,3 per cento nel 2011 nelle 27 nazioni dell’Unione, nonostante una lieve ripresa registrata nei mesi estivi. Il dato Fiat in questo contesto è -12,5 per cento. A pesare sulla performance in Europa è in maniera preponderante il “problema” Italia. Nel periodo da gennaio a luglio 2011, le immatricolazioni nel nostro paese sono state solamente 1,2 milioni e di queste 357mila del gruppo Fiat: la quota di mercato dell’azienda di Torino scende così al 29,2 per cento, trascinata dall’andamento negativo dei marchi Fiat e Lancia, non compensati dall’andamento relativamente positivo di Alfa Romeo: 68mila autovetture vendute in meno nei primi otto mesi dell’anno, un crollo del 16 per cento in un mercato sofferente. Le immatricolazioni totali, tra gennaio e agosto 2011, sono state inferiori dell’11,8 per cento allo stesso periodo del 2010, anno nel quale, nonostante l’effetto positivo degli incentivi nel primo trimestre, il mercato italiano si è contratto del 9,2 per cento, con vendite di nuove auto ferme a poco più di 1,9 milioni di unità. Sembrano lontanissimi i tempi, come nel 2007, anno precedente la crisi, quando le immatricolazioni in Italia superavano i 2,4 milioni, di cui più 1,7 milioni di vetture tra gennaio e agosto. Il dato più eclatante si è avuto a luglio 2011, mese nel quale con un -10,7 per cento rispetto a un disastroso luglio 2010 (-25,9 per cento) si è raggiunto il livello più basso di vendite nel mese dal 1983. Le difficoltà di Fiat nel mercato italiano hanno un impatto anche dal punto di vista produttivo: nei primi due quadrimestri del 2011 la produzione di autovetture in Italia è scesa ulteriormente, rispetto allo stesso periodo 2010, del 10,7 per cento, pari a oltre 41 mila unità. Le mancate vendite nel nostro paese pesano enormemente sui risultati di Fiat in Europa e per il 2012 le attese non sono positive.

IL GIUDIZIO DI MOODY’S E IL PERICOLO A ORIENTE

A settembre Moody’s declassa il debito Fiat dai Ba1 a Ba2. (1) Le preoccupazioni sono collegate alla crescente dipendenza reciproca tra Fiat e Chrysler e allo scetticismo dell’agenzia americana sulla politica del risparmio di risorse in Europa. Fiat ha un tasso di rinnovo della gamma relativamente meno frequente rispetto ad altri costruttori europei con l’effetto di perdere competitività nel mercato domestico. Le prospettive del mercato italiano ed europeo in generale non sono allettanti, e la Panda di “Pomigliano d’Arco”, presentata al salone di Francoforte, rischia di non essere sufficiente se la si confronta con l’offerta dei produttori tedeschi, focalizzata sui più performanti segmenti medio-alti. Per Moody’s la scarsa diversificazione geografica di Fiat è un altro punto di debolezza.

Tabella 1Ripartizione delle vendite totali Fiat e Fiat-Chrysler nei diversi Continenti, anno 2010 e 2011. L’elaborazione considera interamente nel continente Europa le vendite di Russia e Turchia.

La tabella segnala lo squilibrio nelle vendite: Fiat ha una penetrazione trascurabile nel mercato asiatico e nel più importante mercato automobilistico mondiale, quello cinese. È opportuno, per Fiat, riuscire a cogliere al più presto le opportunità dell’immenso mercato asiatico, limitarsi a difendere le quote nei mercati attuali può non essere sufficiente. In Brasile è prevedibile un netto inasprimento della tensione competitiva nel prossimo futuro e l’apporto del Vecchio Continente, e in particolare dell’Italia, rimangono determinanti, sebbene l’importanza relativa abbia un trend calante: quasi il 60 per cento delle vendite dei marchi Fiat sono concentrate appunto in Europa e l’Italia da sola rappresenta oltre il 53 per cento. Senza incentivi e in uno scenario economico difficile, però, crescere in Europa rimane un obiettivo ambizioso, dovendo resistere a concorrenti che investono di più sul rinnovo della propria offerta. Specularmente, la dipendenza da pochi mercati investe anche i marchi Chrysler, che realizzano volumi considerevoli solo in Nord America. Inoltre per Fiat, come per gli altri costruttori, la temuta invasione dei costruttori cinesi e indiani resta un’ipotesi piuttosto remota, ma una minaccia dall’Asia si è consolidata: il gruppo coreano Hyundai-Kia negli ultimi anni è riuscito a crescere nonostante lo scenario mondiale non favorevole, divenendo competitivo non solo sul prezzo, ma anche sulla gamma prodotti e dotazioni tecnologiche: un pericoloso protagonista delle sfide competitive del futuro.

 

 

(1) http://www.moodys.com/

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. Giovanni

    Vedo piuttosto nero il futuro della FIAT in Italia. Le vendite riguardano quasi esclusivamente alcuni modelli utilitari, mentre nei segmenti più redditizi la casa è assente e non prova nenche più a rientrarvi visto il deterioramento dell’immagine. Magari è colpa dell’esterofila degli Italiani ma sarà molto difficile risalire la china, ammesso che lo si voglia fare e che l’obiettivo recondito non sia quello di andarsene dall’Italia.

  2. Cosimo Benini

    Concordo in parte con le conclusioni del’articolo: è vero, i mercati asiatici rappresentano un potenziale sfogo per Fiat, ma la via della Seta è impervia ed è stata già battuta da molti. La meritoria operazione Chrysler e il travaso bidirezionale di tecnologie fra le due sponde dell’atlantico (piccoli motori SDE e SGE di Powertrain e piattaforma e V8 Pentastar per citare i principali) non bastano a nascondere il vero problema di FIAT: il marchio. Tolti i casi Alfa e Lancia, i ricarrozzamenti, il rebadging ed il depauperamento di premiate tradizioni industriali legate a scale produttive piuttosto piccole (costruire un modello con trazione posteriore, motore longitudinale, cambio transaxle e raffinata geometria delle sospensioni significa fare una politica dei prezzi in stile BMW senza l’appeal del marchio BMW), FIAT non ha costruito un family feeling, un’identità precisa del marchio (Alfa=Sportività), un idealtipo di vettura, ad eccezione della 500. E’ un costruttore senza identià, un brand fatto di contraddizioni (faccio la Croma, poi la sfaccio, mi alleo con GM, compro Chrysler, recupero Abarth, ma mi posso permettere solo due modelli elaborazioni di modelli di serie).

  3. Giampaolo

    In realtà il gruppo Fiat sulla carta avrebbe avuto le potenzialità per coprire efficacemente diversi settori di mercato con i vari marchi (Fiat utilitarie, Alfa sportive e con Lancia gamma medio-alta, poi Ferrrari e Maserati), purtroppo ad un certo punto nella storia societaria è mancata una figura di riferimento univoca, che ne ha pregiudicato progetti ed investimenti. La fase attuale vede uno sbilanciamento di interesse a favore della parte americana della società che nella migliore delle ipotesi rappresenta un fattore tattico e non strategico. Speriamo.

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