Dalla fase 2 del governo Monti è lecito aspettarsi il rilancio di un dibattito serio sulle riforme delle pubbliche amministrazioni. Perché a conclusione delle spending review si dovrà affrontare una serie molto ampia di ristrutturazioni aziendali in modo da ridurre i costi fissi e migliorare l’efficienza complessiva del sistema. Si presenterà allora il problema di che fare del personale in eccesso. E serviranno previsioni normative e contrattuali finora del tutto assenti. Ma non basta: dovrà trovare spazio anche nel pubblico impiego la figura del tagliatore di teste.
Tra le molte cose che è lecito attendersi dalla fase 2 del governo Monti vi è senza dubbio il rilancio di un dibattito serio sulle riforme delle pubbliche amministrazioni.
Su questo tema, infatti, l’esecutivo è stato sino ad ora stranamente reticente, al punto di procedere alla nomina del ministro della Funzione pubblica solo in un secondo momento, e quasi come un ripensamento dell’ultimo istante.
IL DOPO BRUNETTA
Dopo l’eccesso di enfasi che ha accompagnato l’approvazione della cosiddetta riforma Brunetta e dopo l’entusiasmo, assolutamente bipartisan, per le virtù salvifiche dell’introduzione generalizzata della valutazione del personale, un po’ di sobrietà è commendevole. Gli effetti della riforma Brunetta sono stati infatti quelli che ci si poteva aspettare, e cioè assolutamente nulli, per il combinato disposto della sua debolezza concettuale, delle (ovvie) tendenze all’elusione e delle stesse manovre di Giulio Tremonti, il blocco della contrattazione, in primo luogo.
Il rischio però è che il governo pensi che il modo di intervenire sul corpaccione del pubblico impiego non possa che continuare a essere quello tradizionalmente preferito dalla cultura economica e giuridica dominante: congelamento dei salari, riduzione dei trasferimenti (vedi i limiti alla spesa per formazione e consulenze), semplificazione via unificazione degli apparati (fusione Inps-Inpdap, quasi abolizione delle province, ecc.) e, soprattutto, blocco del turn-over.
Si tratta, se si vuole, della stessa filosofia dei tagli lineari che è stata, più o meno a ragione, criticata negli ultimi tempi.
Tuttavia, occorre sottolineare con forza come interventi orizzontali su un settore economico che impiega direttamente quasi 4 milioni di persone, possano ottenere, forse, risparmi nel breve periodo, ma lascino inevitabilmente intatti tutti i problemi strutturali. Inoltre tendono a considerare il comparto delle amministrazioni pubbliche come un insieme omogeneo, senza distinguere tra quelle efficienti e quelle inefficienti, tra quelle che svolgono un servizio utile e quelle le cui attività sono positivamente dannose per il paese e la sua crescita economica. Infine, e questo è anche più grave, impediscono il rinnovamento del personale senza il quale, in organizzazioni di servizio la cui efficacia è strettamente legata alla qualità delle risorse umane, sono inevitabili la decadenza e in definitiva l’innesco del circolo vizioso dell’inefficienza.
Ciò è tanto più grave alla luce della spending review che lo Stato italiano, nelle sue varie articolazioni, sarà costretto a fare nei prossimi mesi. È inutile illudersi: se fatto seriamente questo esercizio dovrà portare alla riduzione, tipologica e quantitativa, degli interventi pubblici. Bisognerà fare meno cose e spendere meno in quelle che non si possono abbandonare. E, purtroppo, non sarà sufficiente tagliare gli sprechi, ma bisognerà dismettere, sia pure a malincuore, servizi e programmi anche di qualità, ma troppo costosi per le esauste finanze pubbliche.
LA QUESTIONE DEL PERSONALE IN ECCESSO
A quel punto si porrà – ma in realtà già oggi si pone – il problema di che fare del personale in eccesso. Si tratterà, insomma, di affrontare una serie molto ampia di ristrutturazioni aziendali in modo da ridurre i costi fissi e migliorare l’efficienza complessiva del sistema. In definitiva, il problema non è molto differente da quello di una grande impresa che decide di ripensare la propria strategia concentrandosi sulle cose che sa fare meglio e che rendono di più, dismettendo o esternalizzando quelle che rappresentano una palla al piede o non ci si possono più permettere.
Rispetto a questa esigenza, però, le pubbliche amministrazioni sono completamente impreparate. Non solo non vi è alcuna tradizione in questo senso, ma non esiste nemmeno nessuna chiara procedura che si possa attivare. L’idea che un’organizzazione pubblica voglia ridurre i suoi dipendenti per motivi differenti dall’imposizione dall’alto, e con modalità diverse dal blocco delle assunzioni, non ha mai, nemmeno di lontano, sfiorato le menti dei nostri governanti e dei nostri legislatori. Talvolta, e in genere per impulso di dirigenti coraggiosi, si è effettivamente fatto qualcosa del genere, ma attraverso una serie di escamotage e spesso sotto traccia.
Ecco, allora, un punto urgente da mettere sull’agenda del governo.
Occorre, al più presto e comunque prima che le spending review siano completate, predisporre il quadro, anche legislativo, all’interno del quale sia possibile operare delle ristrutturazioni aziendali efficaci. Ciò comporta tutta una serie di previsioni normative e contrattuali: dalla possibilità di agevolare le dimissioni volontarie all’uso della cassa integrazione e degli altri ammortizzatori sociali, dalla modifica delle regole contabili per permettere di ammortizzare i costi di ristrutturazione in più esercizi finanziari alle modalità stesse attraverso cui aprire la procedura di ristrutturazione (l’equivalente della dichiarazione di crisi aziendale). Oggi questo quadro è assente o è terribilmente confuso, e in sua assenza, come è ovvio, non succede assolutamente niente.
Ministri esperti come Piero Giarda, Filippo Patroni Griffi e, perché no, Corrado Passera che nella vicenda delle Poste ha certamente accumulato un’esperienza importante nel settore pubblico, debbono predisporre il più rapidamente possibile la legislazione necessaria e creare i centri interni o esterni di competenza che aiutino le pubbliche amministrazioni a muoversi su questa, difficile, strada.
Un’ultima notazione. L’esistenza di un quadro normativo e organizzativo rappresenta senza alcun dubbio una condizione necessaria, ma altrettanto certamente non è sufficiente. La riduzione dei costi e il recupero di efficienza degli apparati pubblici non può farsi per decreto o attraverso l’introduzione generalizzata di una procedura (era questo l’errore fatale della riforma Brunetta), ma implica di necessità, come mostra l’esperienza del settore privato, manager esperti (e probabilmente consulenti preparati). La tanto deprecata figura del “tagliatore di teste” deve trovare spazio anche nel pubblico impiego. A parte ogni altra considerazione servirebbe a fare aumentare la credibilità della Pa agli occhi dei molti milioni di cittadini e di lavoratori che non godono nemmeno di lontano delle garanzie proprie dei dipendenti pubblici.
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michele
introduciamo la mobilità breve a 3 anni nella PA, senza obbligo di accordo sindacale per i pagamenti in unica tranche anticipata con integrazione dell’indennità INPS al 90% del salario.. Fissiamo i principio del minimo danno sociale, che determina come prioritario il licenziamento dei dirigenti privi di risorse umane o budget da gestire. Reintroduciamo il diritto al contradditorio e preavviso eliminato dalla riforma Brunetta per la responsabilità dirigenziale. Equipariamo la disciplina del licenziamento dirigenziale nel settore pubblico a quella già vigente nel settore privato (segue Sentenze della Cassazione): occorre giusta causa o giustificato motivo, ma non si applica la tutela reale. La protezione è limitata all’indennizzo della tutela obbligatoria. prima di licenziare, la pubblica amministrazione può fare ancora molto per sfruttare tutto ilpotenziale della rivoluzione informatica. Iniziamo a informatizzare tutti i vari archivi e protocolli negli enti loclai, nlle cancellerie dei tribunali, ecc…finora spesso rimasti interventi pilota a fronte di un’esperienza decennale in meri
loremaf
Ministri esperti come Piero Giarda, Filippo Patroni Griffi… passi per il primo, persona sicuramente competente, ma il secondo è sopratutto esperto in edilizia e rendite catastali. Scherzi a parte è necessario che la ripartizione delle risorse umane e strumentali risponda a esigenze reali del territorio e all’efficienza del sistema pubblico e non a padrini e luogotenenti o peggio ancora di interessi corporativi di sindacati e leghe, favorendo il nascere e crescere di caaf e oligopoli di consulenti in esubero.
umberto carneglia
La tesi di fondo dell’autore mi trova totalmente d’accordo. La crisi del settore pubblico – allargando il discorso – è la maggiore emergenza italiana ed è la fonte dei nostri maggiori problemi , a partire dal debito pubblico e dalla mafia. Quando un’impresa di mercato va male, gli interventi di risanamento colpiscono per primo e soprattutto il management; non si comincia dalla coda come ha fatto Brunetta.. la P.A. centrale e periferica (quest’ultima è importantissima) soffre innanzituttop di clientelismo politico, con i suoi corollari di corruzione e non di rado mafia. E’ per questo che gli sprechi pubblici vengono valutati centinaia di miliardi l’anno. Agli sprechi si dovrebbero aggiungere i danni e la cifra salirebbe ancora dando ampio conto della difficile situazione – debito e bassa crescita – del Paese. In Italia mancano i controlli amministrativi, che in altri Paesi sono incisivi ed indipendenti dalla politica. L’imputato n° 1 è la politica. Basta fare un solo esempio per accorgersene, quello degli appalti pubblici centrali e locali. I managers pubblici non devno rispondere solo alla politica, ma soprattutto alle Autority.
Brubo
La proposta è tagliare il personale improduttivo nella pubblica amministrazione, ma non si fa cenno a come e con che oneri. Da personale che lavora poco per premio lo si manda in pensione anticipata a non far nulla con oneri a carico sempre pubblici? E’ una proposta come partita di giro regressiva?
Sauro Partini
Egregio prof.Dente, le questioni attraverso cui cogliere la pesante inefficienza della P.A, sono davvero molte e tutte fin troppo note: scarse prestazioni; ore perse dall’utenza per fare operazioni che la P.A. non compie perchè i comparti non comunicano (es. certificati di varia natura), personale messo al posto sbagliato, pagamenti alle imprese che non arrivano mai (con l’effetto di alzare i prezzi ai consumatori per recuperare qualcosa), e via dicendo; tuttavia, in merito al numero dei dipendenti, la Francia ne registra 5 milioni e mezzo e l’Inghilterra 5 milioni, con popolazioni di poco superiori alla nostra (penso che il numero di abitanti sia un parametro da considerare). So che la speigazione sarebbe lunga, ma perchè questi due paesi spiccano tradizionalmente per una buona amministrazione, con così tanto personale rispetto all’Italia e non si parla quasi mai di tagliare le teste, soprattutto senza sostituirle con delle migliori? Grazie.
Elisabetta
Troppi dirigenti inutili e costosi, iniziamo a ridefinire i loro stipendi e poi che si organizzino gruppi di lavoro, in certe pubbliche amministrazioni molti lavorano solo per giustificare gli stipendi e il servizio passa in secondo piano.
giancarlo
Il problema della PA italiana (ma quella greca o spagnola non è molto diversa) mi pare finalmente ben posto, dopo decenni di sproloqui assurdi e falsi su efficienza/efficacia….. di parte sindacale e di altri consulenti (compresa la sezione bocconiana)! Forse ci voleva una crisi come questa per trasformare la nostra PA da erogatrice di stipendi/sussidi ad apparato di servizi ? Brevemente: mi preme suggerire l’esperienza condotta nel SSN laddove, con il prof Francesco Taroni e collaboratori vari, si è correlata la prestazione ospedaliera (oggi anche extra ospedaliera) ai suoi costi e ai suoi risultati. Mi parrebbe che, una volta chiariti gli obiettivi, questa metodologia sia estensibile a tutto l’apparato pubblico. Saluti.
davide
purtroppo non è facile gestire la p.a. come fosse una semplice azienda commerciale. potrebbe essere che alcuni servizi “non core” possano essere facilmente esternalizzati e messi a gara ma vorrei capire in base a cosa lavorerebbe un tagliatore di teste. diciamo che dovrebbe esserci una fortissima professionalità ed anche una fortissima volontà politica. come si fa ? prima si manda a casa il direttore generale ? oppure il dirigente che non è della stessa linea politica del tagliatore di teste (si sa che nella p.a. il fine unico non è il solo profitto come un’azienda commerciale) oppure il medico o l’infermiere che non ubbisce agli ordini del direttore sanitario (perchè forse è obbiettore di coscienza) ? comunque sarebbe un dibattito interessante. forse si potrebbero usare dei benchmark almeno su servizi standardizzabili ed eventuali indicatori di efficienza.
Marcello Battini
La riduzione immedaita dei costi della PA (e del miglioramento dei servizi) è basilare per lo sviluppo del Paese. Questo potrebbe essere possibile, con effetti immediati, solo introducendo, a favore dei dipendenti in esubero, dei contratti di solidarietà, pagati con i soldi degli altri dipendenti, da utilizzare. E’ crudele, ma è migliore dell’alternativa: il default del Paese.
Maura
La parola “tagliatori di teste” mi fa molta paura perchè ricordiamoci che dietro ad una testa c’è sempre una famiglia.In Italia i dipendenti pubblici godono di fama molto negativa, definiti fannulloni e buoni a niente, come in tutti i settori c’è il lavoratore onesto, capace e di contro c’è l’incapace e il lavativo con una differenza che nel pubblico, purtroppo, il lavativo è tutelato e coperto dai dirigenti i quali non sempre si assumono la responsabilità di certe decisioni, oppure li spostano da un ufficio all’altro. Io credo che per fare una discreta riorganizzazione della pubblica amministrazione occorre prima di tutto un censimento delle varie amministrazioni, valutare ciò che utile, considerare le competenze del personale , responsabilizzare i dirigenti della qualità della prestazione introducendo non solo incentivi di merito, ma anche penalità economiche e ogni anno pubblicare il grado di soddisfazione dell’utente.
Maurizio
I veri problemi sono ben altri. Ogni volta è facile prendersela con gli statali non considerando che trattasi di personale sottopagato e sfruttato. Solo alcuni eroi riescono a svolgere il proprio lavoro con sacrificio enorme pensate all’eroe Befera che svolge un compito arduo per soli quarantamila euro al mese per giunta lordi. Pensate che nel settore privato uno come lui guadagnerebbe migliaia di migliaia di euri ma lui non ci va e si sacrifica per noi e per il Paese. Che dire poi della Regione Sicilia che sfrutta migliaia di precari a cui non assicura la dignità di uno stipendio intero e non li mette neanche in condizione di lavorare. Solo il comune di Palermo è riuscito a stabilizzare oltre tremila ex detenuti nella pianta organica del comune. Finalmente trenta ex detenuti riusciranno a a tenere pulita una piccola spiaggia sia in estate che in inverno per un misero stipendio anche questi sono eroi. Ci vorrebbero altre assunzioni ma i politici non ne parlano, come pensano di sistemare noi elettori fedeli
Alessandro Morini
Finalmente viene affrontato il dogma della inamovibilità e della garanzia eterna che constituiscono un “a priori” culturale dell’impiego pubblico. Tuttavia la delicatezza del tema impone di evitare che esso sia affrontato quale unico elmento di discussione. In realtà nella PA si annidano funzioni puramente parassitarie anche in ragione di un distorto orario di lavoro che rende compatibili doppi lavori e altri benefici indiretti a favore dei dipendenti con danno per il livello di servizio all’utenza. La possibilità di outsurcing delle funzioni è paralizzata dal regime del rapporto di lavoro pubblico mentre sboccando tale possibilità potrebbbero essere trasferite ingenti quote di personale che unite all’esodo volontario verso attività più remunerative rese inconpatibili dal nuovo assetto dell’orario di lavoro agirebbero efficacemente allo scopo delineato.
Mariagrazia
Sono un po’ stufa di sentire la perenne litania della pubblica amministrazione che lavora poco. Da questa Tabella http://www.impiegopubblico.com/immagini/3nespor/grafa.jpg (Dipartimento Funzione Pubblica 2002) risulta che dei 3.350.000 dipendenti pubblici (poi diminuiti) 687.000 erano quelli della Sanità, 321.000 dei corpi di polizia, 130.000 delle Forze Armate. Almeno 1.138.000 persone che, in media, fanno i salti mortali (e qualcuno muore anche) per coprire con miliono di ore di straordinari non pagati le perenni carenze di organico. Tanto è vero che nei contratti si è trovato il modo di aggirare l’obbligo di non superare le 48 ore settimanali medie e il limite di un giorno di riposo su 7 imposto dal D. Lgs 66/2003. Sarebbe ora di finirla di generalizzare. Nel pubblico, come nel privato, qualcuno lavora poco e qualcun altro lavora tantissimo. Certo che si lavora male e tutta questa demagogia con i relativi provvedimenti da dilettanti allo sbaraglio non ha fatto altro che peggiorare la situazione di chi lavora tanto.
marco
Gli sprechi in Italia nelle pubbliche amministrazioni sono tanti e a mio giudizio basterebbe agire su quelli e su alcune buone idee per evitare di dover licenziare personale pubblico spesso vittima della disorganizzazione:1) tagliare i costi della politica:dimezzare i parlamentari e ridurne darsticamente gli stipendi, eliminare le pensioni d’oro le auto blu(che vanno vendute), eliminare le province, dimezzare gli eletti nelle regioni e dimezzarne lo stipendio, abolire le regioni autonome, fissare un limite massimo agli stipendi pubblici(10 volte lo stipendio più basso) e ridurre subito gli stipendi troppo esosi;accorpare i comuni sotto i 5000 abitanti 2) investire sulla raccolta differenziata porta a porta (vedi modello Vedelago) per riassorbire una parte dei dipendenti pubblici in esubero; investire in formazione e gratificazione, avere personale preparato in modo da dare la possibilità a molti enti di creare bussines e far entrare soldi in più diminuendo costi ( ex. investimenti in risparmio energetico, produzione energia da fonti alternative ecc). Coni risparmi aumentare gli stipendi inadeguati (polizia, vigili del fuoco, insegnanti) per rilanciare la spesa e la crescita.
Alex
“La tanto deprecata figura del “tagliatore di teste” deve trovare spazio anche nel pubblico impiego.” Non sono proprio d’accordo con l’autore dell’articolo. Non credo ci sia bisogno di queste sinistre, e spesso anche incompetenti, figure per individuare dove sono i veri sprechi della P.A. e per eliminarli. Nessuno discute che ci sia bisogno di ottimizzare, razionalizzare, risparmiare, efficientare, ma farlo con l’accetta mi sembra populistico e demagogico. A partire dal fatto che questi ineffabili “tagliatori” si fanno pagare fior di quattrini, non due soldi, che dovrebbero uscire sempre dal bilancio pubblico. Pensate davvero che lasciando intatti corruzione, malaffare, collusioni, evasioni varie, si risolva il problema? E’ come dare un pizzicotto ad un elefante. Non sento parlare di “tagliatori” di evasione, o di corruzione o di abusi vari. La vera sfida è soprattutto un’altra.
michele
Prescindo dal tema se i tagli siano o meno necessari. Cito invece l’autore: “Si tratterà, insomma, di affrontare una serie molto ampia di ristrutturazioni aziendali…In definitiva, il problema non è molto differente da quello di una grande impresa che decide di ripensare la propria strategia….Rispetto a questa esigenza, però, le pubbliche amministrazioni sono completamente impreparate. .”. Denti fa notare che mancano TUTTI gli strumenti, a parte forse il trasferimento dico io, che rendono possibili nel privato queste operazioni in modo RELATIVAMENTE MENO DOLOROSO. Tuttavia, poiche ciò era evidente da tempo anche a un non esperto come me (semplice RSU di una scuola) mi chiedo perchè nn ci si è mai pensato. Oppure, più probabilmente, ci si è pensato ma i costi poltici, sociali, economici di una operazione così vasta non se li vuol assumere nessuno? E quindi si impugnano come clave le brunettate? L’operazione è lunga e complicata, meglio tenersi margini di manovra per far demagogia da “incassare” subito.
b. antonini
Gli elementi per giudicare l’inefficienza della PA esistono, sono noti a tutti e non è il caso di citarli e fare paragoni con altri Paesi. Tuttavia, se gli addetti alla PA la pensano diversamente e credono che nelle aziende private sarebbero meglio considerati, più remunerati e più realizzati hanno solo una cosa da fare: dimettersi dalla PA e lavorare nelle aziende private.
enzo
facciamo l’esempio del settore difesa. sono in programma forti riduzioni di spesa , necessarie per motivi di bilancio. molti, continuando a ritenere la PA un ammortizzatore sociale , ritengono che bisogna tenersi tutti gli addetti sul groppone e ridurre i costosi acquisti di armi , tanto poi mica si deve fare la guerra. ritengo che sarebbe opportuno ridefiniere l’intera struttura organizzativa e quindi ridurre l’organico, in modo da avere un numero di ufficiali e sottufficiali proporzionato al numero di arruolati e comunque rispettoso della funzionalità. la selezione degli esuberi dovrebbe essere effettuata in base al merito (possibilmente senza raccomandazioni) e mettere gli esuberi in riserva con una retribuzione parzialmente ridotta. si otterrebbero comunque dei risparmi dalla maggiore efficienza dell’organizzazione (riduzione delle spese di gestione, delle strutture ecc)
Luca Cigolini
Il personale della scuola si è notevolmente ridotto negli ultimi 20 anni. Da tempo la scuola non conta più il nefasto milione di impiegati degli anni ’90. Sarebbe interessante sapere se il servizio sia peggiorato, dopo la cura dimagrante, migliorato o se sia rimasto tale e quale. Una cosa mi par certa, comunque: le regioni che 15 anni fa avevano buone scuole continuano ad averne di migliori rispetto alle altre e viceversa. Un tagliatore di teste che non tenesse conto di ciò sarebbe qui superfluo (il personale è già stato ampiamente ridotto) e forse anche dannoso.
Anidride Carbonica
Trovo molto illuminante, in un articolo che riflette sulla modernizzazione della Pubblica Amministrazione, che venga usato il termine azienda:”Si tratterà, insomma, di affrontare una serie molto ampia di ristrutturazioni aziendali in modo da ridurre i costi fissi e migliorare l’efficienza complessiva del sistema. In definitiva, il problema non è molto differente da quello di una grande impresa che decide di ripensare la propria strategia concentrandosi sulle cose che sa fare meglio e che rendono di più, dismettendo o esternalizzando quelle che rappresentano una palla al piede o non ci si possono più permettere.” Sappiamo bene quali guasti abbia prodotto nel comparto scuola questa pseudo-cultura aziendale, che ha voluto applicare concetti e modelli (forse) validi per le aziende vere e proprie a qualcosa che azienda non è. Questa logica viene ben descritta da Colin Crouch in Postdemocrazia, Editori Laterza, Bari 2009. Grazie per l’ospitalità.
Rocco Andrea Barone
il tagliatore di teste potrebbe essere sostituito dal razionalizzatore. se cominciassimo ad accorpare i comuni facendone di 10 uno e cercando di stare sui centomila abitanti allora avremmo che un comune di 31mila abitanti potrebbe ottenere , essendone sprovvisto ora , di quel dirigente di LLPP o Urbanistica di cui ora è mancante, grazie all’utilizzo di quello del comune limitrofo che magari ha 6mila abitanti e che in questo momento prepara 16/18 pratiche all’anno… la provincia di Treviso passerebbe da circa 100 comuni a 10 . con grandi risparmi . il personale in esubero potrebbe essere utilizzato nella lotta all’evasione o nel controllo dei treni regionali . non serve licenziare quando c’è tanto da fare in molti settori e i vari enti doppi bonifiche , comunità montane , municipalizzate , consorzi diventerebbero più funzionali costerebbero di meno al cittadino.
bellavita
non credo costerebe uno sproposito commissionare una serie di consulenze di società di organizzazione aziendale sull’efficienza e la funzionaità della nostra burocrazia, forze armate e forze dell’ordine. Il guaio è che finora i consulenti erano i capi dei servizi, fermi nella convizione che più si hanno dipendenti più si è potenti
Timeo
Nella PA, mentre si risparmia sui costi del personale dipendente (turn-over, congelamento risorse della contrattazione, blocco straordinari, etc.), si tende ad automatizzare ed esternalizzare i servizi. L’outsourcing è normalmente più conviente rispetto all’incourcing in quanto i risparmi sugli stipendi sono solitamenjte superiori rispetto ai costi della consulenza. Ad esempio, la riorganizzazione di Poste Italiane compiuta all’epoca dal dott. Passera si accompagnò alla creazione di una società di consulenza controllata da Poste Italiane (Key Consultant). La spesa per consulenza informatica del Ministero delle Finanze gestita da Consip SpA, tanto per fare un altro esempio, non è mai diminuita in tutti questi anni. La filiera della consulenza va dalle società a controllo pubblico come Consip SpA fino ai subfornitori in cui lavora prevalentemente personale precario. Pertanto, i rispermi sul costo del lavoro pubblico (contratti di lavoro dipendente) vanno ad alimentare – da un lato – i profitti e gli stipendi dei manager privati e – dall’altro lato .- gli stipendi di chi lavora in aziende private (spesso precari con o senza partita IVA.
michele
Dopo l’euforia e l’ubriacatura del falso boom economico arrivano i conti da pagare. Veniamo da almeno 30 anni di gestione del servizio pubblico non come elemento fluidificatore del sistema paese ma come fucina di bacini di potere. Adesso ci ritroviamo milioni di persone che si trascinano stancamente dentro il loro ufficio e non hanno più mordente, non hanno più lo sguardo della tigre, la sete di successo e prelevano uno stipendiuclo che non riesce più a muovere nemmeno i consumi del paese. Grazie per avere distrutto l’Italia che ha creato i più grandi uomini del millennio passato e le idee più geniali dei tutti i settori industriali. Avrete anche il vostro bacino di voti facili ma saranno in molti a voler venire nei vostri salotti a mangiare qualche pasticcino.