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LA RISPOSTA AI COMMENTI

I confronti  internazionali sulle performance dei sistemi sanitari sono un argomento scivoloso e capace di eccitare gli animi. Ne è riprova il celebre WHO Health Report del 2000 (che collocava l’Italia al 2° posto), attaccato sotto il profilo metodologico da inglesi e americani, i cui sistemi sanitari si collocavano al 18° e 37° posto. Nel caso dell’articolo, stupisce l’acredine dei commenti su dei dati “oggettivi”, per una volta favorevoli all’Italia. I confronti internazionali o non si fanno o si fanno con le statistiche oggi disponibili. Gli indicatori di outcome riportati nell’articolo sono i migliori oggi esistenti e sono gli stessi utilizzati dall’OMS e dall’OCSE (l’UE ricorre a un indicatore molto più semplice, gli Healthy Life Years). Attribuire il merito della speranza di vita al sistema sanitario è certamente una forzatura (che le istituzioni internazionali però fanno). Ma se questa viene “aggiustata” (che non significa “manipolata”) con la disabilità e la mortalità prematura (Hale e Daly), le cui responsabilità ricadono in gran parte sul mal- o buon funzionamento del sistema sanitario, qualche conclusione si potrà pure trarre. O meglio ancora, se si considera la mortalità attribuibile (amenable) al sistema sanitario, intesa come «i decessi prematuri che non avverrebbero in presenza di assistenza sanitaria tempestiva ed efficace» [Nolte, McKee 2008] (ad esempio, per tumore al seno, al colon-retto, nel 50% delle ischemie, per mortalità materna, appendicite, ernia, ecc.) si potrà pure stabilire una relazione diretta con il sistema sanitario. Se disturba affermare che il sistema sanitario italiano è eccellente, diciamo allora che è meno peggio di altri sistemi sanitari – che oltretutto sono anche molto più costosi del nostro e impiegano dal 30 al 50% di personale in più. E’ ovvio che nel sistema-paese è compresa anche la sanità privata, a carico dei pazienti. Ed è vero che per 992 mila famiglie in Italia le spese sanitarie costituiscono una spesa “catastrofica”. Con questo non si vogliono nascondere o minimizzare i problemi, ma ricordare che nonostante tutto – gli sprechi, le diseguaglianze, le disfunzioni, le tangenti – il sistema sanitario italiano, alla fine, offre buoni risultati di salute. Forse poco nella care dei malati, ma sicuramente molto nella cure delle malattie. Ricordare che non c’è solo malasanità in Italia e smettere di flagellarci – almeno per una volta – era il senso dell’articolo (e non è sciovinismo!).

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  1. antonio gasperi

    Attendevo la replica che è arrivata e sulla quale il professore Mapelli ha la mia approvazione nella sostanza: l’esercizio di autofustigazione non è mai stato positivo, fin dai tempi degli ordini flagellanti.. tuttavia mi sarebbe piaciuto un breve commento riguardo alla scandalosa politica di risparmio sulla pelle dei disabili (mi riferisco in particolare alle persone non autosufficienti che gestiscono la propria assistenza domiciliare) che gli ultimi governi stanno perpetuando proprio dal 2008. cordialmente

  2. Carlo Turco

    Bene, mi sembra che al di là di certi toni piccati la risposta ai commenti ridimensioni decisamente affermazioni e inferenze (e toni) del primo articolo. Nessuno vuole buttar via il SSN, ci mancherebbe altro: questo non toglie che ci sia molto – moltissimo – da fare per migliorarlo; quali che siano i risultati delle classifiche internazionali basate su statistiche considerate insufficienti e, talora, fuorvianti proprio dalle istituzioni che ne fanno uso (perché sanno di che si tratta).

  3. GIANFRANCO

    Molto interessante l’articolo del Prof Mapelli, originale e alla ricerca della verità sanitaria. Certamente l’Italia è ai primi posti come speranza di vita, qualità di vita e efficienza del sistema sanitario. Sarebbe pero’ possibile disaggregare i dati valutando le perfomance a livello provinciale e potremmo scoprire dlle differenze significative. Ad esempio un dato importante è quello delle morti evitabili stimato nella Atlante delle morte evitabili pubblicata alcuni fa dal Ministero oppure i dati del programma nazionale esiti dell’Agenas che costituisce uno sforzo per valutare gli outcomes di alcuni interventi e prestazioni ospedaliere. Il regionalismo sanitario è diventato forse un centralismo che ha soffocato le istanze degli enti locali probabilmente ridando più potere di controllo e di indirizzo ai Comuni con un ruolo di supervisione delle Regioni e non di gestione con linee guidea ministeriali potrebbe servire a rendere ancora più efficiente il sistema e ridare il diritto alla salute come tutela attiva da parte dei cittadini.

  4. Alberto Breschi

    Il Governo con la spending ha tagliato budget solo ai privati e posti letto, in dato relativo dieci volte in piu’ al privato accreditato, in dato assoluto nella stessa misura. Come si concilia con gli impulsi allo sviluppo, con le aperture alla concorrenza ed all’impresa privata. Per rendere piu’ efficiente il pubblico e risparmiare cosi’ alcuni miliardi occorre rendere autonomo l’ospedale pubblico, con bilanci trasparenti, applicare a tutti le stesse tariffe e gli stessi controlli di qualita’. Tetti di sistema unici per tutta l’ospedalita e tariffa variabile comune ai due settori. Solo cosi’ vi sarebbe certezza della spesa e vera competizione. Allo stato programmazione e controlli, ad enti pubblici autonomi (verificabili e sanzionabili) e privati accreditati la produzione dei servizi. Perche’ questa forma di liberalizzazione non piace al Premier? E’ mal consigliato ?

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