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Per la crescita non bastano le riforme italiane

La crisi italiana dipende da più cause. E se le riforme strutturali possono risolvere quelle strettamente legate al nostro sistema produttivo, poco riusciranno a fare per quanto riguarda una situazione economica globale di stagnazione. Ma è soprattutto l’Europa che deve cambiare politica.
LE TRE CAUSE DEI PROBLEMI ITALIANI
Mentre Governo e Parlamento dibattono le riforme necessarie per riportare l’Italia su un sentiero di crescita e contenere l’involuzione della distribuzione, è bene ricordare che i problemi economici italiani negli ultimi anni sono il risultato di (almeno) tre concause distinte: la bassa produttività del sistema italiano, la depressione economica e l’incompiutezza dell’unione monetaria europea. È importante analizzare i loro effetti tenendole separate, perché ciascuna ha cause diverse e può richiedere interventi distinti.
Sul primo punto, la produttività, ci basta rimandare alle analisi dettagliate già discusse da lavoce.info. In sintesi, negli ultimi dieci-quindici anni la crescita del nostro paese è stata una tra le più basse in Europa e nel mondo. La nostra bassa produttività relativa ha radici complesse e dipende da fattori globali, non c’è dubbio, ma la responsabilità del ritardo nel riconoscere il problema e nel capire come intervenire è tuttavia soprattutto italiana.
Sul secondo punto, la situazione economica globale resta stagnante e quella che alcuni sostengono essere una vera e propria depressione coinvolge non solo i paesi dell’euro ma anche economie a cambio flessibile: Stati Uniti, Regno Unito, Svezia e Giappone, solo per citare i principali. Questo punto è cruciale, poiché per tutti i paesi la politica monetaria tradizionale (con i tassi di rifinanziamento a zero) è in pratica fuori uso. L’Italia si trova in una depressione per i problemi strutturali cui abbiamo accennato sopra. Ma vale la pena riflettere sul fatto che anche economie altamente produttive (o per lo meno senza i conclamati problemi italiani) e al di fuori dell’area euro si trovano in una situazione chiaramente difficile.
Il terzo punto è quello su cui vogliamo qui soffermarci. Non si tratta solo di riconoscere che l’Eurozona alla nascita non soddisfaceva affatto i criteri di un’“area valutaria ottimale” per assenza di politiche fiscali e di bilancio a livello federale, mobilità del lavoro limitata, sistema finanziario frammentato, ma anche legislazione non armonizzata, barriere linguistiche, e altro. Si tratta soprattutto di prendere coscienza dei limiti della presunzione che l’Europa sia inerentemente capace di iniziative politiche forti soprattutto nei momenti di crisi. Sarà pur vero che, alla luce dell’esperienza storica, “le crisi rafforzano l’Europa” o che l’“Europa cresce con le crisi”, ma nell’affermazione manca un inciso: “le crisi lasciano sempre un conto”. E il conto, questa volta, è così alto da generare qualche dubbio. L’Europa della moneta è partita con un quadro istituzionale totalmente inadeguato. È stato come costruire case una vicino all’altra senza barriere antincendio e senza assicurazione, con l’idea che, alle prime fiamme, tutti d’amore e d’accordo, i proprietari cooperino a erigere muri e scrivere un contratto assicurativo ex-post, che preveda un risarcimento a quelli con i danni maggiori a carico di tutti gli altri. Ma senza muri e contratti definiti, un incendio diventa quasi inesorabilmente occasione di recriminazioni, accuse reciproche e atteggiamenti opportunistici. A questo stadio della crisi, c’è da sperare che si consolidi una nuova fase politica che prenda atto dei costi fin qui pagati in termini di occupazione, capacità produttiva e obiettivi sociali, e pensi alla riconnessione del tessuto produttivo di un’economia europea con vaste aree in fortissima sofferenza.
IL GRAFICO DELLA CRISI
Abbiamo costruito un grafico che mostra la performance del Pil italiano a confronto con quello finlandese (normalizzato a 100 nel primo trimestre 2008). La Finlandia è parte dell’area dell’euro. Rispetto all’Italia, il Pil finlandese si contrae di più all’inizio della crisi, recupera sull’Italia fino al 2012. Da lì in poi, il Pil dei due paesi è di nuovo in discesa.
A nostro parere, il grafico solleva un quesito chiaro. O l’andamento del Pil in Finlandia e in Italia è dovuto a fattori della struttura produttiva comuni a entrambi i paesi (difficili però da trovare, se si esclude la vicenda di Nokia, riflesso della crisi delle multinazionali europee dell’high tech di fronte all’espansione di quelle coreane), oppure l’attuale congiuntura in Europa (le cui performace di crescita sono previste ben al di sotto di quelle degli Stati Uniti) è legata a questioni cicliche (o di grande stagnazione) e insufficienza della politica economica di stabilizzazione.
A noi sembra che l’interpretazione giusta sia la seconda.
Grafico_corsetti
La conclusione, quindi, non può che essere la seguente: le riforme strutturali attualmente in discussione in Parlamento sono indispensabili per risolvere i problemi italiani — sono necessarie e vanno attuate con intelligenza e urgenza. Ma il loro impatto rischia di essere (nel migliore dei casi) mitigato, se a livello europeo non si procede in tempi stretti ad affrontare i nodi, soprattutto dopo l’ormai conclamata evidenza di spinte deflattive nei paesi periferici dell’Eurozona, Italia inclusa. Non c’è più tempo, né ci sono scuse, per una politica europea impropriamente prudente.

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19 commenti

  1. Piero

    BASSA PRODUTTIVITÀ DELL’ITALIA?
    Nella pubblica amministrazione siamo tutti d’accordo e’ una palla al piede dell’Italia, ci auguriamo che con la riforma si migliori la produttività della P.A.
    Nel settore privato, nulla di più falso, le imprese italiane sono più produttive di quelle tedesche, abbiamo un settore economico diverso da quello tedesco, siamo presenti in settori dove vi è un’incidenza superiore del lavoro, il nostro manifatturiero, infatti è il primo che è andato in crisi con l’invasione dei prodotti cinesi, ciononostante, oggi abbiamo vinto anche questa guerra contro i cinesi, certo non saranno i tedeschi a darci la lezione sulla produttività del lavoro. Fino a qualche anno fa i nostri distretti industriali erano modelli da studiare in tutto il mondo, oggi non possono essere da buttare via. Il Pil che non è cresciuto deriva principalmente dall’iniziale crisi mondiale e dalla mancanza ripartenza delle nostre imprese a causa della mancanza della liquidità, oltre naturalmente a tutti i noti problemi italiani, siccome gli ultimi vi sono sempre stati, il problema che si è aggiunto e’ la mancanza di liquidità sui mercati. Su questo problema si deve agire subito con la garanzia statale ( il governo Monti non esito a concedere la garanzia di 250 mld alle banche per ottenere il prestito Bce all1%, senza accantonare nulla nel bilancio statale).

    • Maurizio Cocucci

      Credo che Lei confonda il significato che in economia si da della produttività del lavoro, che risulta essere il rapporto tra il valore aggiunto (ricavi meno costi) e le ore lavorate. Questo parametro è nettamente a favore della Germania e lo può verificare in qualsiasi rapporto statistico. Questo non significa che i lavoratori italiani sono meno efficienti, più lenti o che si impegnano poco, significa che per ogni ora lavorata mediamente una impresa tedesca consegue un maggiore profitto e quindi una maggiore ricchezza da distribuire. Questo dipende da molteplici fattori sia endogeni che esogeni e dei quali il lavoratore ha poca se non nulla responsabilità.
      Riguardo il modello nordest già all’università negli anni ’80 lo misi in discussione sottolineando i diversi fattori negativi: dimensione troppo piccola delle imprese, accentramento delle responsabilità su una singola persona – il titolare, eccessiva dipendenza dal settore creditizio ovvero scarsa capitalizzazione, basso investimento sul personale, poca considerazione del fattore produttività e altre questioni tra cui l’insufficiente investimento soprattutto nelle nuove tecnologie e comunque in produzioni dall’alto valore aggiunto. Era un modello che poteva reggere in un periodo in cui il mondo era diviso in due blocchi per questioni politiche e i nostri principali concorrenti avevano costi dei fattori maggiori, ma oggi la situazione è cambiata.

  2. Piero

    SITUAZIONE ECONOMICA GLOBALE
    Vi sono paesi che stanno crescendo, Usa, Inghilterra, Giappone ecc, per i paesi della zona euro, il vero problema e’ il cambio euro/dollaro, da un cambio che stava sotto la parità siamo arrivati ad una rivalutazione di oltre il 40%, chiaro che ciò fa uscire l’Europa dai mercati più interessanti, su questo punto la Bce dovrà lavorare, e’ un suo compito, la politica valutaria rientra nel suo mandato, qui deve venire meno il diktat tedesco sulla valuta forte.
    AREA VALUTARIA OTTIMALE
    Se non vi sarà l’integrazione fiscale vi sarà la rottura dell’area valutaria, ciò è inevitabile, per il momento Draghi se la Merkel vuole può salvare tutto solo con una politica monetaria espansiva fatta con strumenti non convenzionali senza sterilizzazione degli effetti ( QE proquota, per almeno 3000 mld da attuare in tre anni).
    Il Pil cala, la deflazione e’ arrivata cosa aspetta Draghi a mettere in azione ciò che verbalmente ha detto in più occasioni?

  3. Maria Rosaria Di Pietrantonio

    Premetto che non sono una economista ma una farmacista ma questa analisi mi sembra molto interessante. Ma allora cosa succederà a noi italiani se il nostro paese non farà le riforme(e secondo me non le può fare per via di ramificazioni tra lobby e burocrazia senza via di scampo ormai)ma l’Europa adotterà altre politiche e non sarà più cosi prudente? Ci sarà forse una Europa 1 e una Europa 2?

  4. Bravo Giancarlo. Purtroppo dire certe cose semplici in Italia è difficile. Quante volte i principali media economici rifiutano articoli anche cofirmati da professori ordinari di economia, scritti bene, solo perché ‘la linea del giornale è diversa’ e ‘non si può attaccare Draghi’, ecc.? Perciò mi pare, e domando, che anche sulla Voce bisogna dire le cose prendendole alla larga? Se uno dice ‘non c’è abbastanza domanda’, poi dice ‘le politiche di stabilizzazione sono insufficienti’, poi si deve fermare?! Non si può dire: ‘la tale istituzione non immette nel sistema gli stimoli che dovrebbe’, o ‘la crisi è interamente gratuita, provocata dall’inadeguatezza di X e Y’?! Lo possiamo dire solo sulle riviste scientifiche, purché l’elettorato non capisca troppo? O solo sui blog? Al contrario, vorrei poter esprimere e/o leggere tutte le opinioni, se adeguatamente argomentate. Per confrontarle; per poter indirizzare l’azione dei politici nel verso giusto (non in un ‘cambio di verso’ qualsiasi). Perciò credo che al fondo della nostra crisi post 2008 (quella di domanda, che ha creato la disoccupazione; lasciamo perdere l’altra crisi, quella della stasi della produttività, che è più complessa) ci sia un declino della democrazia, una cappa culturale-politica che si potrebbe tagliare a fette per quanto è densa. Grazie.

  5. Mirco

    Caspita dopo soli 7 anni anche lavoce ci arriva. Il problema è l’eurozona (anche per il calo di produttività comunque, andate a vedervi le serie storiche e sovrapponetele con il tasso di cambio). Che le riforme strutturali fossero solo fumo negli occhi si sapeva da tempo, bastava guardare un qualunque rapporto OCSE: l’Italia non sfigura affatto in nessuno dei principali indicatori “supply side” (salvo in educazione, ma li ahimé non si puo’ avere 20 anni di avanzi primari ed anche fare investimenti). Comunque benvenuti nel mondo reale. Mandate il link dell’articolo a Bini Smaghi.

  6. Andrea Grandi

    L’analisi dell’economia finlandese è superficiale. La crisi di quell’economia dipende da fattori strutturali o idiosincratici, quali la caduta della domanda di legno x produrre carta pe i giornali (la cui domanda è in caduta x effetto dell’espwnsione dei tablet) e la drisi russa.

  7. fulvio rapana'

    Le riforme a livello nazione e a livello europeo servono a poco se non si finanziano gli imprenditori che stanno gia’ investendo sulle loro attivita’ scommettendo sulla crescita o delle economie a livello generale o su fattori economici congiunturali.Le banche non finanziano le imprese non solo, e probabilmente e’ giusto cosi’, quelle in difficolta’ ma nemmeno quelle che hanno la volonta’ e in parte le risorse per investire.Questo e’ il nocciolo del problema.
    Se sul mercato non arriva il denaro sei privati e delle banche non si va’ da nessuna parte.
    Due esempi i cui mi sto’ occupando come consulente finanziario di aziende.
    Azienda che ha gia’ fatto investimenti importanti nel settore agricolo,vitivinicolo, e che e’ inserita in una misura finanziata con fondi feasr gli e’ stato chiesto di versare su un conto corrente l’intera somma residua di sua spettanza e “vincolarla” alle attivita’ di investimento previste nel progetto ignorando completamente qualsiasi principio di “projet financing”…..garante una banca della correttezza delle attivita’ svolte dall’azienda!!!!!!!!.
    Azienda che ha gia’ fatto investimenti per 600.000 euro nel settore agricolo con una forte capitalizzazione e patrimonializzazione con denaro contanti da spendere nell’investimento che chiede un mutuo di 500.000€ per completare l’investimento….le banche o rigettano la pratica o gli …finanzierebbero al massimo 150.000€.
    La banca del mezzogiorno spa di proprieta’ delle poste che nata per finanziare progett

  8. MONICA

    ARTICOLO INTERESSANTE, MA COSA DOVREBBE FARE L’EUROPA DA PARTE SUA DI CONCRETO. QUALI PROVVEDIMENTI?

    • Piero

      In primis Draghi dovrebbe rispettare il suo mandato che ricordo consiste in: garantire la stabilità dei prezzi, fatto salvo tale obiettivo garantire la piena occupazione e fare le politiche valutarie ( art 127 trattato). Ora i prezzi sono in deflazione ( deve riportare l’inflazione al 2%), non sta aiutando gli stati nella piena occupazione, anzi abbiamo la disoccupazione più alta degli ultimi 40 anni, non sta svolgendo nessuna politica valutaria, ha permesso all’euro di apprezzarsi sul dollaro del 50% negli ultimi 10, ha fatto uscire tutte le imprese dal mercato americano.
      Ora, la Commissione europea dovrebbe ufficialmente richiamare Draghi al suo dovere, in difetto procedere alla sua sostituzione, mi auguro che tale problema venga affrontato da Renzi nel semestre europeo, già il nostro Ministro dell’economia ha richiamato Draghi per evitare la deflazione e riportare l’inflazione al 2%.

      • Maurizio Cocucci

        La Banca Centrale Europea è una istituzione del tutto indipendente dal potere politico, quindi sia dalla Commissione Europea e sia dai singoli Stati, e le decisioni in materia di politica monetaria le prende autonomamente, decisioni prese non dal suo presidente, ma dal Consiglio Direttivo costituito dai membri del Comitato Esecutivo e dai governatori delle 18 banche centrali dei Paesi che aderiscono all’eurozona, quindi anche dal governatore della Banca d’Italia. La BCE ha come unico mandato quello della stabililità dei prezzi. Si può tranquillamente mettere in discussione questo mandato e chiedere che la BCE abbia obiettivi ulteriori, ma non si può affermare che Draghi non stia assolvendo (e bene) il suo mandato. Per ciò che concerne l’inflazione occorre fare attenzione a considerare che non è aumentando essa che migliora l’economia, ma il contrario. L’inflazione deve aumentare quando e perchè vi è una situazione di crescita economica, crescita che deriva da un aumento della domanda da parte dei consumatori, ergo occorre stimolare la domanda (non l’offerta) per far crescere i consumi e di conseguenza i prezzi. Questo lo si ottiene aumentando i redditi reali, cioè al netto dell’inflazione, se invece i redditi nominali crescessero meno dell’inflazione si otterrebbe l’effetto contrario ed è quello che appunto ha portato l’economia italiana in crisi.

    • Piero

      Provvedimenti:
      A mio avviso l’unico provvedimento che deve prendere Draghi e’ l’acquisto dei titoli statali paesi euro sul mercato secondario, proquota fra tutti i paesi euro, per almeno il 50% del debito pubblico zona euro! da attuare in un percorso di sei/sette anni, naturale non dovranno essere sterilizzati gli effetti sulla liquidità, ciò provocherà una svalutazione del cambio, che tornerà quindi alla parità con il dollaro, un’inflazione del 2% o forse anche superiore ( non deve superare il 4%), gli stati saranno alleggeriti sul debito pubblico potranno rientrare più facilmente ( non potranno contrarre altro debito, vi è’ l’obbligo del pareggio del bilancio), le banche saranno libere dal debito degli stati e potranno ritornare a fare il loro mestiere, prestare denaro alle imprese. Noi dobbiamo prendere atto che il debito dei paesi euro e’ aumentato con la moneta unica, l’ammontare attuale del debito non potrà mai essere pagato con politiche di bilancio ( non sarebbe nemmeno giusto, sono debiti delle generazioni passate e non di quelle attuali) allora non rimane che farlo pagare alla rendita; la rendita finanziaria e’ difficile da tassare, vista la sua mobilità, non rimane che colpirla con la tassa nascosta chiamata inflazione, vi sarà quindi uno spostamento di ricchezza dalla rendita al lavoro e alla impresa. Naturale che a livello interno dobbiamo portare a termine le riforme, la prima, e’ la riduzione delle spese della P.A del 10% riducendo le tasse di pari importo.

  9. Piero

    L’affermazione che la fragilità dipende dalla mancata attuazione dell’unione politica non è di aiuto, se vi fosse stata l’unione politica non vi sarebbe stata la fragilità dell’unione. Il vero problema, a mio avviso, è stato che l’unione monetaria è stata voluta dagli stati e dai cittadini solo per motivi di interesse economico, ossia non vi è un sentimento di una cittadinanza europea, il cittadino tedesco non si sente uguale a quello italiano o spagnolo, ogni cittadino del paese dell’eurozona ha ancora un forte sentimento nazionale che non gli fa riconoscere il valore di appartenere all’europa. Gli stati che avevano un elevato ammontare di debito statale hanno accettato l’unione monetaria per ottenere sul debito i tassi dei paesi più virtuosi, gli stati piu virtuosi hanno aderito all’unione per evitare le svalutazioni di competitività attuate dai paesi piu indebitati e potere in tale modo fare crescere le loro esportazioni verso di essi. Tale interesse di bottega e non un interesse di uno stato o di una federazione di stati che voleva fare crescere una propria moneta ha provocato il primo fallimento dell’euro, la moneta unica, per quanto concerne il suo ammontare, non è stata in grado di sostituire le monete cancellate, ciò vuol dire che l’euro non è stata capace a livello internazionale di avere lo stesso gradimento delle monete sostituite, i mercati hanno compreso fin dall’origine la fragilità dell’eurozona.

  10. Piero

    Se si riconosce che l’Europa non è partita con una area valutaria ottimale e ciò è vero, come oggi si può pensare di modificare le economie per portarle verso un area valutaria ottimale? Essendosi, i paesi dell’area valutaria, privati dell’uso della politica monetaria, dovranno agire sul costo del salario e sulla mobilità dei lavoratori, per il primo e’ impossibile pensare che i paesi riducano i salari, tuttalpiù vi sarà la disoccupazione, i privati non risparmiano, vi saranno quindi meno investimenti; dal lato della mobilità del lavoro, abbiamo ancora un sentimento di patria forte e saranno poche le persone disposte a spostarsi sui paesi più virtuosi, vi sono notevoli difficoltà, in primis la lingua, le legislazioni diverse, le culture diverse, oggi andare a lavorare in Germania vuol dire andare a lavorare all’estero, non in Europa.
    Naturalmente tali problemi non vengono risolti dalle riforme domestiche, ma da riforme europee che portino verso una situazione di stato europeo o federazioni di stati, per avere una perfetta mobilità del lavoro dobbiamo avere una previdenza comune in Europa, il lavoratore non può lavorare 10 anni in Italia e 10 anni in francia e 10 anni in Spagna, non prenderebbe mai la pensione.
    Cosa fare oggi? Due strade, la prima riconoscere che la zona euro non è una AVO, forse vi sono due o tre AVO, costruire quindi l’euro 1 o 2; la seconda procedere all’integrazione politica, nel frattempo fare una vera politica monetaria espansiva

    • FRANCO BORGHI

      io non ho caopito che cosa c’ entrino le riforma del Senato, della legge elettiorale e della giustizia con la necessità di rilanciare l’ economia.

  11. Piero

    La mancanza di un sentimento forte di patria, porta i cittadini a non autorizzare i loro governi ad effettuare trasferimenti necessari per riequilibrare le economie, per tale motivo la “politica dei compiti a casa propria” ha prevalso sui paesi più virtuosi, vengono quindi penalizzati i paesi ritenuti spendaccioni, devono fare sacrifici per mettersi in linea, la politica monetaria non deve intervenire al fine di evitare gli azzardi morali. Questa e’ la situazione attuale dell’Europa nella zona euro, i paesi meridionali hanno avuto un vantaggio iniziale in termini di tasso sul loro debito pubblico, vantaggio sparito con la prima crisi finanziaria, propagata poi sull’economia reale per il mancato intervento della Bce, mentre i paesi virtuosi si sono avvantaggiati in tema di surplus delle loro bilancie dei pagamenti nei rapporti tra i paesi euro (solo la Germania ha accumulato oltre 1400 mld di surplus ), surplus che non sono stati utilizzati per sostenere i paesi in deficit.
    La situazione e’ questa, come uscirne?
    O si attua una vera politica monetaria espansiva e si avvia verso un’integrazione fiscale.
    O, in alternativa vi sarà la rottura dell’area valutaria, si avranno due o tre aree valutarie con una propria moneta, non necessariamente si deve tornare alla lira.
    Vi potrebbe essere anche una terza soluzione, l’uscita della Germania dall’euro, ritorna al suo tanto desiderato marco e sicuramente saranno risolti tutti i problemi, naturalmente tutte le riforme devono essere fatte.

  12. Maurizio Cocucci

    La via d’uscita dalla crisi è tutta nelle nostre mani, l’Europa può fare ben poco se non insistere nell’indicarci le soluzioni. Questa via poi è facile da individuare, difficile è perseguirla. Per ogni Paese in crisi le cause sono peculiari e per l’Italia è semplicemente dovuta alla carenza di domanda aggregata interna, non da quella estera quindi l’euro, tanto per dirlo chiaramente, non c’entra nulla. Per imputare ad esso la crisi dovremmo aver avuto e avere tutt’ora difficoltà a vendere all’estero, ma non è così. Seppur con fatica le imprese italiane continuano ad esportare e con sempre maggiore risultati in termini di fatturato e se non fosse per l’export saremmo davvero in una situazione alquanto drammatica. Il nostro problema è che manca il cliente italiano perchè per anni si è visto ridurre il reddito disponibile (reddito meno imposte) e quindi la sua capacità di spesa e di risparmio. Gli italiani sostengono una spesa pubblica che non vale l’importo, quindi o questa offre maggiori servizi e quindi evitare oneri ai contribuenti oppure deve essere ridotta e riportata ai valori ragionevoli. Mi spiego con un esempio classico. Paghiamo contributi al Servizio Sanitario Nazionale al fine di ricevere un’assistenza sanitaria a costi ridotti (o gratuiti in determinati casi) e poi a causa dei tempi lunghi siamo praticamente costretti a rivolgerci a strutture private anche solo per una visita pagando quindi un importo che rende inutile quanto versato al SSN.

  13. Maurizio Cocucci

    La via d’uscita dalla crisi dipende prevalentemente da noi, l’Europa può fare ben poco se non insistere nell’indicarci le soluzioni. Per ogni Paese in crisi le cause sono peculiari e per l’Italia è semplicemente dovuta alla carenza di domanda aggregata interna, non da quella estera quindi l’euro, tanto per dirlo chiaramente, non c’entra nulla. Per imputare ad esso la crisi dovremmo aver avuto e avere tutt’ora difficoltà a vendere all’estero, ma non è così. Seppur con fatica le imprese italiane continuano ad esportare e con sempre maggiore risultati in termini di fatturato e se non fosse per l’export saremmo davvero in una situazione alquanto drammatica. Il nostro problema è che manca il cliente italiano perchè per anni si è visto ridurre il reddito disponibile (reddito meno imposte) e quindi la sua capacità di spesa e di risparmio. Gli italiani sostengono una spesa pubblica che non vale l’importo, quindi o questa offre maggiori servizi e quindi evitare oneri ai contribuenti oppure deve essere ridotta e riportata ai valori ragionevoli. Mi spiego con un esempio classico. Paghiamo contributi al Servizio Sanitario Nazionale al fine di ricevere un’assistenza sanitaria a costi ridotti (o gratuiti in determinati casi) e poi a causa dei tempi lunghi siamo praticamente costretti a rivolgerci a strutture private anche solo per una visita pagando quindi un importo che rende inutile quanto versato al SSN.

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