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Per la crescita vera ci vuol di più

Le stime preliminari del Pil per il terzo trimestre migliorano leggermente il quadro per l’Europa, ma non per l’Italia. Il sentiero di crescita per la nostra economia rimane stretto. Serve una riforma fatta e finita che ridia fiducia a famiglie e investitori.
IL RITORNO DI UNA CRESCITA MODERATA IN EUROPA
Le stime preliminari del Pil per il terzo trimestre del 2014 migliorano lievemente il quadro rispetto al secondo trimestre per l’Europa nel suo complesso. La crescita accelera marginalmente allo 0,2 per cento nell’eurozona e allo 0,3 per cento nell’Unione europea a 28 paesi. Il continente fa registrare il sesto trimestre consecutivo di crescita: crescita contenuta ma positiva. Ma la crescita in Europa rimane lontana dalle dinamiche registrate nello stesso periodo in America (+0,9 per cento sul secondo trimestre) e nel resto del mondo (+1,9 la Cina, +1,2 l’India, +1 per cento il Messico, +0,9 la Corea del Sud). Anche all’interno dell’Europa la graduale ripresa della crescita (su cui potrebbe aver pesato in positivo anche la revisione dei conti operata proprio nel terzo trimestre 2014) comincia a sovvertire alcune regolarità consolidate dei primi anni della crisi infinita. La linea divisoria tra chi cresce e chi non cresce non è più euro nord vs euro sud. Tra i paesi dell’euro sud, Italia e Cipro sono ancora in recessione (in misura attenuata l’Italia). Ma altri paesi ieri sull’orlo del default o in default conclamato oggi hanno ripreso a crescere: oltre alla conferma della Spagna (che fa registrare un +0,5) la Grecia è il paese dell’eurozona che mostra una crescita più rapida di tutti (+0,7). Poi c’è il Portogallo che cresce in linea con la media dell’eurozona, mentre l’Irlanda nei primi due trimestri ha evidenziato una crescita stellare. Pare proprio che i paesi che si sono sottoposti alla cura da cavallo di duri aggiustamenti fiscali negli anni passati e – per questo – hanno anche goduto dell’assistenza finanziaria anche dai grandi paesi ora in difficoltà hanno tutti ripreso a crescere. La combinazione di riforme e assistenza europea funziona, dicono i dati.
Parlando di gerarchie che cambiano, a crescere meno della media sono oggi Germania, Austria e Olanda. Gli ex-paesi dell’area del marco hanno innestato la ridotta, e non da oggi, proprio mentre vanno a gonfie vele i paesi dell’Est Europa (soprattutto Polonia, Romania e Slovacchia) come anche i paesi del nord Europa fuori dall’Euro (Regno Unito e Svezia). Al riguardo pesano le delocalizzazioni manifatturiere. Fatto 100 il livello della produzione manifatturiera in Germania nel 2007, tale livello era ritornato, dopo la caduta del 2008-09, ancora a 100 ma solo nel 2013 (mentre in Italia si fermava a 76,5). Nello stesso periodo, sarà un caso ma la produzione manifatturiera della Slovacchia è salita a 124 e quella della Romania a 123.
L’ITALIA CHE SI AVVITA
Con l’Eurozona che non cresce abbastanza, il sentiero di crescita per l’economia italiana rimane stretto. Rispetto all’autunno 2013, semmai, si registra una differenza in negativo.
Allora le variabili che di solito anticipano l’evoluzione futura dell’economia mostravano segni positivi: gli ordinativi dell’industria erano ripartiti, facendo segnare a settembre 2013 un +4,2 per cento rispetto al minimo di febbraio 2013. E anche l’indicatore PMI manifatturiero di Markit indicava una netta inversione di tendenza tra la prima metà del 2013 (in netto calo) e la seconda metà 2013 (in netta ripresa). Sulla base di questi dati, prevedere una ripresa per il 2014 era trarre la logica conseguenza dall’evidenza esistente dai consueti indicatori anticipatori delle fasi ascendenti e discendenti del ciclo economico.
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UNA RIFORMA FATTA E FINITA PER RIDARE FIDUCIA
L’unica consolazione è che, di fronte ai numeri che descrivono un’economia italiana in ginocchio, è improbabile che l’Europa calchi troppo la mano nel chiedere tagli ulteriori per produrre aggiustamenti algebrici di un bilancio pubblico che senza crescita non ha speranza di stare in piedi. Più che in passato, è però urgente che il governo – tagliando il nastro di almeno una riforma completata dalla A alla Z entro la fine dell’anno – trovi il modo di ridare fiducia all’economia, agli investitori internazionali come alle imprese e alle famiglie che la fiducia l’hanno persa, e con qualche buona ragione.

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16 commenti

  1. EzioP1

    Sarebbe curioso e utile verificare il flusso dei finanziamenti alla UE e la loro ridistribuzione ai paesi che evidenziano una buona o sufficiente crescita. Non è che l’Italia che sta pagando di più di quanto riceva origini un flusso favorevole alla Slovacchia e aella Romania consentendo a questi paesi di finanziare la nostra delocalizzazione ? E’ solo un dubbio ma non avendo questi paesi troppa finanza propria da qualche parte la devono pur prendere per agevolare così significativamente le aziende che vanno a localizzarsi là. Stesso discorso vale per l’Irlanda e per gli altri paesi che hanno avuto i finanziamenti dalla troika. Se così fosse noi si sarebbe i soliti “italiani brava gente” o idioti, nel senso buono della parola.

  2. Michela

    Ottimo articolo! Condivido il tuo pensiero.

  3. rob

    il problema Italia deriva da una serie di concause. Riguardo le delocalizzazioni io mi chiedo se Obama o chi per lui avesse acconsentito il vergognoso atteggiamento della FIAT? Cioè una azienda vissuta sempre e soltanto con aiuti di Stato (quindi pubblici) decide di levare le tende e andare via ( decisione da privato) senza che nessuno chiedesse il rimborso dei soldi prestati. I sindacati? Cosa hanno fatto i sindacati dal ’70 in poi? Hanno fatto solo e soltanto politica, un partito mascherato ( neanche tanto) . La scuola? E i privati imprenditori? I dati negativi li abbiamo su tutti i fronti: basse % di laureati, alte % di abbandono scolastico, bassissima diffusione della cultura ( non si leggono libri e giornali) . Non parliamo di Internet e della rete ci sono aziende che non hanno computer, per non parlare della cultura della rete, inesistente ( ad una e-mail rispondono 1 azienda su 10). Interi settori industriali scomparsi : chimica, elettronica, auto, etc . Solo la memoria storica, a cui una buona classe politica dovrebbe fare riferimento, può portarci fuori tra 10 anni. Il regionalismo becero, l’utopia folle del “piccolo ma bello” , il populismo vergognoso degli ultimi 35 anni , le piccole e misere figure politiche ma anche imprenditoriali che si sono succedute ( la Montedison doveva essere salvata da un produttore di varecchina di Treviso) . Parlare di ripresa senza tener conto di queste follie e solo prendere in giro ulteriormente la gente

  4. Maurizio

    Secondo me che vive di stipendio pubblico ha per il suo vissuto una percezione della realtà distorta. L’Italia di sicuro si è avvitata in una spirale che non ha vie dfi uscita in quanto un blocco sociale fatto di pensionati, dipendenti pubblici spesso corrotti, di una casta politica anche’essa corrotta e di una classe di imprenditori che vive di furti alle casse pubbliche ne condiziona tutte le decisioni. Le auspicate riforme toccherebbero troppi privilegi. Solo uno sciopero fiscale su larga scala potrebbe accellerare i tempi di disfacimento di questo blocco si interessi che blocca qualunque investimento. Ma se per aprire una bottega bisogna accettare estorsioni dal geometra del comune, dall’ispettore sanitario, dal finanziere, dal criminale come si pensa che si possa far ripartire la crescita??

  5. Il nostro paese non cresce piū per una concomitanza di fattori. Essendo notoriamente uno stato manifatturiero, il non avere messo al centro della strategia una politica industriale seria ci ha condannati tra gli ultimi della classe. Inoltre, a completare il quadro (desolante), il forte e incomprensibile divario del fisco intra-europeo, in aggiunta alla burocrazia e alla (in)giustizia, completano il quadro.

  6. stefano monni

    nell’articolo, ad un certo punto, si mettono a confronto i dati macro-economici della zona euro con quelli di Paesi come l’America, il Messico, la Corea del Sud. Il confronto conferma, io credo, la tesi sostenuta da alcuni secondo la quale la zona euro non è una Area Valutaria Ottimale completa in quanto non rispetta tutti i requisiti richiesti. Stando così le cose, se non si mette mano tempestivamente a questo problema, sarebbe forse più opportuno ripensare alla possibilità di uscire, come Paese, da tale zona.

    • sottoscritto

      uscire dall’euro sarebbe un suicidio. le aziende italiane utilizzano in gran parte materie prime e/o prodotti esteri nei loro processi produttivi. uscendo dall’euro la nuova moneta italiana sarebbe soggetta a una fortissima inflazione e il prezzo di tutto ciò che viene importato esploderebbe.

      • stefano monni

        Quale è allora l’alternativa? Ecco i dati Istat:
        12% disoccupazione (2013)
        A settembre 2014 l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito dello 0,9% rispetto ad agosto. Nella media del trimestre luglio-settembre la produzione è diminuita dell’1,1% rispetto al trimestre precedente. Corretto per gli effetti di calendario, a settembre 2014, l’indice è diminuito in termini tendenziali del 2,9% (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di settembre 2013). Nella media dei primi nove mesi dell’anno la produzione è scesa dello 0,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A settembre l’indice destagionalizzato presenta variazioni congiunturali negative in tutti i comparti; diminuiscono i beni di consumo (-3,2%), i beni strumentali (-2,4%), l’energia (-1,5%) e, in misura più lieve, i beni intermedi (-0,8%). L’indice riferito al clima corrente (fiducia dei consumatori) si riduce a 100,6 da 102,6; diminuisce anche quello riferito alle aspettative future a 101,7 da 102,7.
        Se poi si analizzano i dati macro-economici prima dell’entrata nell’euro e quelli successivi all’entrata, tanta differenza non c’é. Bisogna ripensare l’euro, facciamolo, altrimenti usciamo.
        Nel III trim 2014 Pil -0,1% sul trimestre precedente e -0,4% rispetto al terzo trimestre del 2013

  7. Maurizio Cocucci

    Che cosa sia necessario per una ripresa economica oramai è risaputo, la questione è se davvero si voglia farlo. La ricetta non è gradita alla politica perché consiste non tanto nel taglio della spesa pubblica alla voce servizi ai cittadini, ma di quella parte che chiamiamo sperpero,spreco,privilegi acquisiti e quant’altro. Purtroppo è incluso anche il licenziamento di personale dipendente pubblico e qui la questione si complica dal punto di vista politico in quanto comporta perdita di consensi ed ecco che si cerca di venirne fuori con compromessi e provvedimenti a metà. Comprendo la drammaticità di perdere il lavoro ma nel settore privato questo avviene quotidianamente quindi se non c’è altra via anche nelle amministrazioni pubbliche deve avvenire lo stesso.
    Poi c’è la questione evasione fiscale, si vuole combatterla davvero oppure no?
    La burocrazia, riforma a costo zero, la vogliamo semplificare?
    Sono tutte cose che anche alcuni economisti lo hanno fatto presente in recenti audizioni presso le competenti commissioni parlamentari.
    Una annotazione circa il richiamo al rallentamento della crescita di Germania, Austria e Paesi Bassi contenuto nell’articolo. Personalmente non lo vedo un cambio di marcia significativo dato che l’utilizzo nei tre Paesi sulla capacità produttiva è oltre l’80% e Austria e Germania registrano tassi di disoccupazione del 5%. Nei Paesi Bassi è al 6,5% ma in calo tendenziale.

    • stefano monni

      mal comune mezzo gaudio, direbbe qualcuno. A me sembra che questo accanimento verso i dipendenti pubblici sia un alibi per chi non è capace a risolvere i problemi e, soprattutto, a creare lavoro. Certo, che creare lavoro tagliando linearmente la spesa pubblica con l’obiettivo di perseguire il pareggio di bilancio, appare quanto mai difficile. Allora lo sapete cosa c’è, quale è la soluzione? Se alcuni stanno mai e perdono lavoro, allora per consolarli facciamo perdere lavoro anche ad altri (i dipendenti pubblici). Ora, a meno che licenziare i dipendenti pubblici significa creare posti di lavoro (e questo non è), l’unica conseguenza è aumentare la disoccupazione. Bella soluzione in un momento di crisi. Ma in fondo, come sempre, per distogliere l’attenzione dai problemi reali è meglio mettere gli uni contro gli altri, la famosa guerra tra poveri. Certo che tutto ciò ha un senso se l’obiettivo, come accade da anni, è quello di ridurre i servizi pubblici.

      • Maurizio Cocucci

        Non capisco perché nel settore privato si possa dismettere il personale in esubero mentre in quello pubblico no. E’ attuato dappertutto, in Paesi che hanno la tanto acclamata sovranità monetaria e in quelli che hanno attuato l’altrettanto invocato Quantitative Easing. Lo hanno fatto come sappiamo in Grecia, in Spagna, in Portogallo e in Irlanda, nazioni che ora registrano un cambiamento di rotta della loro economia. Quando parlo di esuberi mi riferisco sia a settori dove il loro numero è già tale ora, ma anche in contesti dove ve ne saranno se si procedesse a razionalizzazione (v.municipalizzate – troppe e quasi tutte in perdita) oppure ad aziende (o settori) che sono da tempo in perdita in quanto non più competitive. Occorre quindi un cambiamento drastico di mentalità, introdurre una indennità di disoccupazione oltre che il mercato del lavoro e accettare nostro malgrado le regole del mercato. Finché continuiamo a fare il contrario il peso del settore pubblico sarà eccessivo e sproporzionato rispetto a quanto restituisce con costi insostenibili, il che aggiunto al resto dei problemi che ho prima citato impediranno una vera ripresa con creazione di posti di lavoro.

    • rob

      “.. incluso anche il licenziamento di personale dipendente pubblico ” Una volta licenziato cosa facciamo, li uccidiamo, li esportiamo o altro?
      “Poi c’è la questione evasione fiscale, si vuole combatterla davvero oppure no?” Vogliamo ancora far credere che l’ evasore è il barista, il salumiere, l’idraulico o che il ricicclaggio si “combatte” togliendo i soldi in tasca alla gente?
      “La burocrazia, riforma a costo zero, la vogliamo semplificare” Ma non siamo un “Paese federalista con 21 Roma” ? Prima dell’ 8 settembre tutti fascisti la mattina presto del 9 tutti rossi. W l’Italia

  8. Pif

    In una situazione di profonda crisi, con aspettative negative e calo dei consumi e degli investimenti, ormai anche i più liberisti convengono che serve un intervento dello Stato per fare da volano per un ripartenza dell’economia, dei consumi e degli investimenti. Chiaramente questo non può farlo l’Italia da sola, visto il livello del debito e anche perchè riporteremmo la bilancia dei pagamenti in negativo, ma andrebbe fatto a livello europeo con un piano di investimenti ben più serio di quello previsto e con un rilancio della domanda dei paesi del nord che per anni l’hanno risucchiata dal sud. All’Italia e agli altri paesi andrebbe concesso un po più di libertà di sforamento, nel contempo andrebbe avviata una pesante e seria politica di spending review per reindirizzare la spesa pubblica, che in assoluto non è elevatissima rispetto agli altri paesi, ma è sopratutto male utilizzata e sprecata. Sui dipendenti pubblici che senso ha creare altri disoccupati che dimunurebbero i consumi, piuttosto andrebbero utilizzati meglio laddove servono con una profonda rivisitazione della macchina burocratica. Tutto ciò in teoria, in pratica non vedo nessuna volontà nell’europa del nord di cambiare politica e neanche la volontà/capacità nei politici Italiani di attuare un vero e profondo cambiamento nella struttura dello Stato e nelle sue modalità di funzionamento.

    • Maurizio Cocucci

      La possibilità di andare oltre i limiti di deficit dei conti pubblici stabiliti dai trattati europei è già presente, solo che si chiedono in cambio riforme strutturali che comportino una riduzione dei costi, ovviamente nel tempo. Ma mi permetta di fare presente che il problema non risiede tanto nella concessione da parte della Commissione Europea quanto nei mercati. Se decidessimo di sforare il 3%, a prescindere dalla reazione appunto della Commissione con la possibile apertura di una procedura di infrazione che potrebbe sfociare in una sanzione, come reagirebbero i mercati? Manterrebbero la fiducia o ci volterebbero le spalle riducendo il prezzo dei titoli e quindi incrementandone i rendimenti, obbligandoci così nelle nuove emissioni o ad aumentare le cedole (gli interessi) o a venderli ad un prezzo inferiore alle attese con minori entrate (o entrambe le cose)? Altra questione strettamente correlata: più deficit per quale tipo di spesa? Qualcuno ha per caso letto un concreto piano di investimenti per il rilancio dell’economia al quale mancano però le risorse finanziarie? Io non vedo nemmeno un piano industriale del Paese. Quanto alla questione dipendenti pubblici le posso rispondere sia in termini economici che di equità sociale. E’ giusto avere cittadini che rischiano quotidianamente il posto di lavoro ed altri che sono del tutto tutelati? Questione economica. Lei cita correttamente la spending review, ma questa comporta appunto il taglio del personale in molte sue voci.

  9. Carlo

    Una BUONA riforma dalla A alla Z. Di pasticci, riforme fatte tanto per cambiare, realizzate per secondi o terzi fini o semplicemente affrettate e fatte male non sappiamo che farcene.

  10. Mario Rossi

    Meno male che qualcuno se ne rende conto! Come mai paesi come la Grecia praticamente fallita crescono e l’Italia no? La risposta è che il commissariamento ha prodotto un drastico ridimensionamento della spesa pubblica che gioco forsa ne determina un aumento di produttività. Non si verificherà mai che se metti 3 persone a fare un lavoro queste di loro spontanea volontà ne facciano il triplo. Devi per forza ridurre di un terzo le persone per triplicarne il lavoro. Questo sta nella natura che ricerca sempre le condizioni di minore consumo energetico. Il problema è piuttosto di tempo. Se noi aspettiamo che una parte del paese che offre servizi agli altri continui a farlo anche quando gli altri non ne hanno più bisogno perchè sono disoccupati allora ad un certo punto avremo creato un grattacielo senza fondamenta che crollerà subito rovinosamente. Il tempo ci consentirebbe di versare un pò di sangue ora per ripagarlo in un futuro prossimo. Questo però la classe politica non lo fa perchè ci basa il suo potere e gli investitori non hanno interesse a farglielo fare perchè incassano soldi veri senza rischiare nulla. Vederete che l’atteggiamento cambierà quando i soldi saranno finiti per davvero!

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