I più ampi poteri decisionali attribuiti ai dirigenti scolastici si giustificano purché sia prevista una seria e reale valutazione dei risultati prodotti dalla loro attività di direzione rispetto a obiettivi predeterminati e a criteri misurabili e comparabili. Ma sul punto la delega è vaga.
I nuovi poteri dei dirigenti scolastici
La riforma della scuola proposta dal ministro Giannini ha suscitato una levata di scudi: i sindacati di base hanno proclamato una giornata di sciopero; numerose associazioni di insegnanti hanno indetto una raccolta di firme, che in pochi giorni ha raccolto oltre 60mila adesioni, per una petizione al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, perché non approvi la riforma in ragione dei numerosi profili di incostituzionalità.
Bersaglio principale delle critiche sono i poteri di direzione e di organizzazione degli istituti scolastici e del relativo corpo docente che si intendono attribuire ai dirigenti scolastici, i presidi di un tempo. A questi ultimi, invero, la riforma destina un ruolo cruciale nella conduzione degli istituti scolastici: decideranno la programmazione triennale dell’offerta formativa della scuola che dirigono, ne gestiranno il budget, determineranno il relativo fabbisogno di personale e, soprattutto, sceglieranno di triennio in triennio i docenti da impiegare. La scelta dovrà esser operata tra i docenti (vincitori di concorsi su base regionale) iscritti a un albo territoriale secondo una procedura selettiva di cui è garantita la trasparenza e la pubblicità, ma che sostanzialmente si fonda su valutazioni discrezionali del dirigente scolastico. Di qui i paventati rischi di incostituzionalità della riforma per violazione della libertà dell’insegnamento garantita dall’articolo 33 della Costituzione, per un verso, e della imparzialità nella gestione delle pubbliche amministrazioni tutelata dall’articolo 97 della Carta, per altro verso.
In particolare, secondo la petizione delle associazioni degli insegnanti, l’“aziendalizzazione” delle modalità di gestione degli istituti scolastici e la “precarizzazione” del personale docente sottoposto al rischio di cambiare ogni triennio istituto (seppur in seno allo stesso bacino territoriale sub-regionale) esporrebbero al pericolo di una gestione clientelare o quantomeno arbitraria da parte dei dirigenti scolastici, che finirebbe per condizionare la stessa autonomia didattica dei docenti, costretti a “guadagnarsi” la conferma nell’organico al termine del triennio e anche l’attribuzione di premi economici annuali.
Responsabilità più precise per i presidi
In realtà, l’impianto della riforma può agevolmente superare indenne queste censure di incostituzionalità a condizione, però, che i poteri discrezionali attribuiti al dirigente scolastico siano strettamente associati a una sua diretta, effettiva e personale responsabilizzazione rispetto alla qualità e alla quantità dei servizi di docenza prestati dall’istituto che dirige. La Corte costituzionale ha più volte chiarito che la garanzia della libertà dell’insegnamento non legittima certo i docenti a insegnare ciò che più gli piace, prescindendo dalle esigenze di formazione degli studenti, né tantomeno li esonera da ogni verifica circa la congruenza ed efficacia della loro attività didattica. Così come il giudice costituzionale ha rilevato che l’imparzialità dell’azione amministrativa non impone che la gestione del personale pubblico debba sempre necessariamente esser governata da selezioni “comparative” sulla base di criteri (almeno formalmente) oggettivi.
La compressione dei canoni di imparzialità deve tuttavia esser giustificata dalla capacità di perseguire obiettivi di efficienza e di economicità attraverso il ricorso a poteri discrezionali attribuiti alla dirigenza. Tale condizione può essere soddisfatta soltanto sottoponendo i dirigenti scolastici a una seria e reale valutazione – da parte di organi terzi e dotati di specifiche competenze – circa i risultati prodotti dalla loro attività di direzione in relazione a obiettivi precisamente predeterminati e a criteri misurabili e comparabili.
Di tali risultati i dirigenti scolastici dovrebbero esser chiamati a rispondere non soltanto con la mancata attribuzione in toto o in parte della retribuzione premiale, ma, nei casi più gravi, con la risoluzione del loro rapporto di lavoro.
Tuttavia, sulla disciplina dei dirigenti scolastici e delle conseguenti responsabilità, il disegno di legge, pur trattandosi di una legge delega, è troppo vago e necessiterebbe di esser efficacemente integrato.
Altrimenti si corre seriamente il rischio di rivivere l’esperienza non esaltante della cosiddetta “privatizzazione” della dirigenza di ministeri, regioni ed enti locali, che ha attribuito a questi dirigenti gli stessi poteri discrezionali del “privato datore di lavoro” senza che ne sia minimamente seguita una effettiva responsabilizzazione degli stessi quanto ai risultati della loro gestione, con la salomonica attribuzione a pioggia del 100 per cento delle retribuzioni premiali per il perseguimento di obiettivi pressoché inconsistenti.
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Ernesto
A me risulta che i poteri del dirigente (per adesso invocati da tutta l’utenza-clientela ma tuttora disegnata dal legislatore-fornitore in modo poco più che demagogico e mercantile) in questa versione siano limitati ai docenti in mobilità, cioè niente da fare per l’enorme maggioranza (salvo nuovi reclutamenti oceanici) che – beati loro, altri tempi – sono al sicuro nelle loro cattedre e nei loro luoghi fino alla (loro) pensione.
O non ho capito nulla?
Tarcisio Bonotto
Una ex preside, fresca ancora di scuola, ha dichiarato: “Hanno ragione gli insegnanti di temere il potere di discrezionalità del preside. Infatti mancano le REGOLE E I CRITERI che definiscano gli insegnanti”. Alcuni insegnanti hanno dichiarato: “Hanno fatto una riforma senza consultare nessuno, insegnanti, genitori, studenti, psicologi…”. Mi pare ovvio che se ci sono regole e criteri questi valgano per tutti e sarebbero meno discrezionali. Mi chiedo perché nei Ministeri, persone pagate per fare queste riforme non siano in grado di farle in modo adeguato. Potrebbero essere due le risposte: “O non hanno idea di dove andare, o non hanno il know-how necessario”. Se così fosse dobbiamo pretendere di avere persone con competenze adeguate. Ci siamo già stufati di questi scaldabanchi…
Ciao
Cordiali saluti
Tarcisio Bonotto
Renza Bertuzzi
Certo, ” libertà di insegnamento” significa libertà nella scelta del metodo didattico ( le concrete modalità di insegnamento) , per questo assegnare ai dirigenti, come avviene nell’ art. 7 del Disegno di legge, la responsabilità della didattica significa violare quel principio che- come ci ricordano i costituzionalisti- .è la base del sistema pubblico di istruzione. Ugualmente, non si capisce perché un dirigente dovrebbe- da solo- predisporre i pani triennali che connotano culturalmente la scuole. Davvero non si ravvisa in ciò un pericolo per la libertà nelle scuole, trasformata in libertà delle scuole e quindi di un’ aggregazione anche ideologica e quindi di una separatezza nociva tra scuola e scuola? L’ istruzione è ancora parte del dettato costituzionale, anche se affermarlo sembra poco moderno…
pierfranco
Vorrei conoscere cosa succede in materia negli altri paesi e in particolare in quelli nei quali i risultati scolastici sono migliori rispetto all’Italia. Grazie
Giuseppe Moncada
Da ex Preside, andato in pensione nel 2009 dopo 21 anni di permanenza nello stesso Liceo Scientifico i cui alunni erano 280 nel 1989/90 inizio presidenza , e 870 nel 2009 , mi sono sforzato di operare in sintonia con i sentimenti delle persone, riuscendo a gestire i diverbi in modo da non farli degenerare, creare un’atmosfera nella quale la diversità doveva essere qualcosa da apprezzare e non una fonte di attrito. Ho dialogato continuamente con docenti, alunni, personale ATA e genitori. Lavoro faticoso, ma che alla fine mi ha ripagato ogni volta che incontro ex docenti, alunni e genitori . Tutto ciò senza la necessità di avere grandi poteri decisionali quali oggi si vogliono dare ai nuovi dirigenti. E poichè nella scuola, come ebbe a dirmi un magistrato, marito di una docente, a cui mi ero rivolto per un suo parere “Non sono in condizione di darlo in quanto nel sistema scolastico non esistono norme coerenti ” , si può pensare che si possano determinare – obiettivi precisamente predeterminati a criteri misurabili e comparabili ” come sostiene l’autore., per verificare il lavoro del preside? E in Italia cjhe non esiste un corpo ispettivo come vi è in altri paesi chi dovrebbe verificarli? Si vuol ritornare al periodo antecedente la riforma della media unica, dove i presidi , spesso agivano in modo discrezionale favorendo clientele e familismi, oggi poco presenti nella scuola. Le condizioni per verificare la produttività dei docenti esistono, se lo si vuole. Cosa ne pensa?
Andrea
Mi dispiace vedere la scuola trattata come un’azienda. Se il sistema afferma che le competenze degli studenti si misurano con test invalsi, io docente vorrei poter affermare che invece si è lavorato su accoglienza, rispetto, inclusione, per affrontare situazioni come disagio personale, disorientamento, adolescenza. Se il preside ha deciso che i docenti devono aderire a un progetto X, io docente invoco la libertà di dissentire e che non sono coinvolto. Questa libertà va a garanzia di un sistema davvero democratico, non meramente maggioritario, e può valere da anticorpo a derive dittatoriali. O ci si dimentica che Hitler fu regolarmente eletto?
Giuseppe Mirabella
L’articolo del prof. Pallini mi sembra quanto mai lontano da una conoscenza concreta della realtà della scuola. Personalmente sono già in pensione da diversi anni, anche se ho continuato a lungo a partecipare , come esterno, ad attività di animazione scolastica.
Nell’articolo di accenna alla necessità di strumenti di valutazione dei dirigenti scolastici e dei risultati da questi conseguiti, ma questo è del tutto insufficiente se non si parte a priori da una conoscenza della realtà culturale e professionale dei dirigenti stessi. Purtroppo non ho motivo di pensare che la realtà sia cambiata rispetto a un decennio fa, realtà fatta di assunzioni clientelari o politico-sindacali, sulla base di un livello assai basso di competenze didattiche e culturali.
Si parta da un diverso metodo di reclutamento e di formazione(e, certo, anche di strumenti adeguati di valutazione) e solo dopo si potrà parlare di nuovi poteri e competenze.
Giuseppe Mirabella
Alla fine dell’articolo, si accenna alla genericità e alla inadeguatezza delle indicazioni presenti nella proposta governativa sulla valutazione dei dirigenti scolastici. In questo modo il dott. Pallini dà l’impressione di essere assai lontano dalla realtà concreta della scuola italiana.
Personalmente,sono in pensione da alcuni anni, ma purtroppo non credo che le cose siano mutate: le assunzioni dei presidi (e, in genere, della burocrazia scolastica) avvengono da sempre secondo criteri clientelari e politico-sindacali; non esistono valutazioni serie del loro operato; non esistono sanzioni e la carriera è basata, nella migliore delle ipotesi, sulla mera anzianità.
Solo dopo aver cambiato, e non solo a parole, questa realtà sarà possibile parlare di nuove funzioni e responsabilità.
rosario nicoletti
Sono convinto che dare una maggiore responsabilità ai direttori didattici senza istituire controlli e metodi per la selezione, dei soggetti che assumeranno questo incarico, sia sbagliato. Si tratta di improvvisazioni, ideate da chi crede di risolvere problemi complessi con una maggiore autonomia delle istituzioni. E’ una illusione pericolosa che ha fatto molti danni, ad esempio nell’università.
giuseppe
Credo che in Inghilterra i presidi siano scelti dal cda dell’istituto (che include anche realtà locali) tra le domande presentate da dirigenti non solo interni al mondo della scuola, sono ben pagati ma soggetti a verifica sugli obbiettivi raggiunti fatta dal cda,hanno contratto triennale.