Molti risparmiatori investono sui mercati azionari basando le proprie scelte sui risultati passati. Ma chi adotta strategie che inseguono l’andamento delle azioni, ottiene rendimenti inferiori rispetto a chi ne segue altre altrettanto semplici. I ritardi italiani nell’educazione finanziaria.
Investimenti tra passato e futuro
Dal 22 gennaio 2015, giorno dell’annuncio da parte della Banca centrale europea dell’inizio del programma di “quantitative easing” di acquisto di titoli governativi sui mercati secondari, i principali indici azionari europei hanno guadagnato circa il 20 per cento e hanno superato i massimi che risalivano al settembre 2009. Un simile vertiginoso andamento ha già caratterizzato gli indici azionari americani in anticipazione della ripresa dell’economia e in concomitanza con l’espansione senza precedenti del bilancio della Federal Reserve. Ottime notizie, quindi, per chi avesse investito sui mercati azionari prima di questi incredibili rialzi. Quali consigli dare, invece, a chi invece valuta oggi se investire i propri risparmi sui mercati azionari?
Secondo molti studi, farsi prendere dall’euforia fidandosi troppo dei risultati passati come garanzia di buoni risultati futuri non è una buona idea. Tuttavia, sembra che non tutti gli investitori ne siano consapevoli: l’avvertimento “i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri” campeggia in qualsiasi prospetto di investimento, ma diverse ricerche dimostrano come gli individui spesso formino le proprie aspettative sui rendimenti futuri proprio in base all’esperienza più recente e costruiscano poi portafogli di investimento basati su queste previsioni.
In un nostra recente ricerca, utilizziamo i dati raccolti da Assogestioni per mostrare come ci sia una relazione positiva tra i flussi correnti netti di investimento in fondi comuni e i rendimenti su diversi mercati azionari (Ftse-Mib per l’Italia, S&P 500 per gli Usa e Dax 30 per sintetizzare il mercato azionario dell’Eurozona) nei trimestri precedenti.
I dati della tabella 1 suggeriscono che gli investitori comprano quote di fondi comuni dopo alcuni mesi di rendimenti elevati. Al contrario, le vendono, riducendo quindi il proprio investimento sui mercati azionari, dopo alcuni mesi di bassi rendimenti. Non è un comportamento caratteristico dei soli investitori italiani: altri ricercatori trovano risultati molto simili per gli Stati Uniti.
Più guadagni con strategie diverse
Purtroppo, gli investitori farebbero meglio a prendere più seriamente l’invito a non fidarsi troppo dei risultati passati. Infatti, i dati della tabella 1 mostrano anche come ci sia spesso una relazione negativa tra i flussi netti di investimento in fondi comuni e i rendimenti futuri. Quindi, i risparmiatori tendono a comprare azioni dopo alcuni trimestri di buon andamento senza garanzia di maggiori rendimenti futuri, o addirittura ricevendone in media di negativi per investimenti su S&P 500 e Dax 30.
È possibile quantificare il costo di questa strategia di investimento inefficiente. In particolare, nella nostra ricerca calcoliamo la differenza di profitto, su un arco temporale di cinque anni, tra una strategia che “rincorre i rendimenti” (“return-chasing”), ovvero compra e vende titoli azionari in funzione dei rendimenti passati, e una, molto più semplice, che dopo avere investito un certo capitale sui mercati azionari mantiene l’investimento inalterato (“buy-and-hold”).
Un qualsiasi investitore può facilmente scegliere la seconda strategia, per esempio acquistando quote di un fondo “passivo”, o di prodotti finanziari simili come gli exchange traded funds (Etf).
La figura 1 riporta, nel tempo, la differenza di rendimento tra le due strategie. Il differenziale di rendimento medio, in favore della strategia “passiva”, per un investimento con orizzonte di cinque anni, è di quasi il 5 per cento per investimenti sul Dax 30 e del 2 per cento per il Ftse-Mib e il S&P 500. Questi numeri si traducono in differenze nei rendimenti cumulati sui cinque anni dal 10 al 25 per cento.
In futuro, le famiglie italiane dovranno sempre più ricorrere ai risparmi privati per finanziarie la propria vita dopo la pensione ed è quindi cruciale che imparino a investire in maniera più saggia. In questo senso, gli sforzi recenti di alcune istituzioni internazionali, come l’Ocse, tesi a diffondere l’alfabetizzazione finanziaria sono molto importanti.
Purtroppo, su questo terreno il nostro paese sconta un evidente ritardo rispetto a molti altri. Ad esempio, gli ultimi test Pisa, volti a misurare l’abilità di adolescenti a gestire del denaro (e raccolti proprio dall’Ocse), vedono l’Italia in penultima posizione su diciotto paesi.
* Una versione più sintetica di questo articolo è stata pubblicata su Linkiesta il 16 aprile 2015.
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zipperle
Molto semplicistico e alquanto parziale quanto affermato. Semplicistico: non è possibile limitarsi alla correlazione tra andamento dei mercati e raccolta dei fondi per stabilire se esiste un nesso tra le due variabili (sarebbe meglio controllare econometricamente per qualche variabile che impatta su entrambe). Parziale: le strategie a momentum, pur essendo piuttosto rischiose in termini di drawdown, spesso battono il buy&hold (la ricerca in merito, specie in campo comportamentale, è ormai sterminata).
Matt
Ottimo articolo, analisi molto articolata ed interessante, di facile lettura e con buoni spunti di riflessione circa il comportamento dei risparmiatori in questo periodo di turbolenza economica.
IC
Spesso la scelta dei risparmiatori è influenzata dai suggerimenti di impiegati bancari e di promotori finanziari, quindi è a questi ultimi che dovrebbe essere indirizzato questo invito alla cautela
RiccardoB95
Veramente interessante , articolo con un analisi approfondita sul comportamento dei risparmiatori, articolato secondo vari livelli di lettura, che consentono di guardare alle diverse strategie in base alle proprie conoscenze economiche (che siano esse avanzate o meno) .