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L’euro-tassa migliore? Sul reddito d’impresa

Si torna a parlare di una “tassa europea” da utilizzare per finanziare le politiche economiche e sociali comuni. Tra le tante forme di imposizione suggerite, la più efficace potrebbe essere una imposta sul reddito di impresa, con una aliquota minima uguale per tutti. La protezione del consumatore.

Verso una “euro-tassa”
Sull’onda del “rapporto dei cinque presidenti” e del trauma della crisi greca si è ricominciato a parlare di una “tassa europea”, attraverso cui accrescere la capacità di bilancio dell’UE e concretizzare il cammino verso una unione politica e fiscale. Le alternative sono molteplici e sono allo studio dell’High Level Group on Own Resources, un gruppo inter-istituzionale europeo presieduto da Mario Monti. Si va dall’aumento della quota di competenza dell’Iva alla istituzione di una Tobin Tax “europea” sulle transazioni finanziarie. Quella a mio parere preferibile è una vecchia proposta della Commissione, la EU Corporate Income Tax, scartata anni fa per l’opposizione di alcuni Stati membri desiderosi di mantenere la sovranità in tale ambito.
Una tassa è considerata “ottimale” se non distorce le decisioni in merito a investimenti, consumi, lavoro, o altro. La giungla delle fiscalità nazionali in Europa distorce l’uso del fattore produttivo più mobile, il capitale. Si potrebbe pertanto disegnare una corporate tax europea, con base imponibile omogenea e una aliquota minima uguale per tutti. Rispetto all’aliquota minima “federale”, i singoli Stati potrebbero poi aggiungere livelli addizionali, in base alle loro necessità e preferenze. Se e quando si riusciranno a modificare i Trattati, l’aliquota minima potrebbe essere versata, in tutto o in parte, nel bilancio comunitario. Nel frattempo, l’armonizzazione e semplificazione della fiscalità realizzerebbe un obiettivo benefico per l’affermazione del mercato unico e prodromico al completamento dell’Unione.
Grandi imprese e scelte di localizzazione
Se consideriamo un’area economica come quella europea, dove esiste la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali, le tasse non dovrebbero essere utilizzate per modificare la decisione di dove, ad esempio, localizzare il centro delle proprie attività. La scelta di trasferire la propria residenza ha infatti costi che solo le persone fisiche più ricche o le aziende di maggiori dimensioni possono permettersi di sostenere. Se per le persone fisiche, fatto salvo per un ristrettissimo numero di star o di super-manager, i costi (lavorativi, sociali, affettivi) del trasferimento rendono la sola variabile fiscale quasi ininfluente, per le aziende le cose stanno diversamente.
All’interno del mercato unico, la sede può essere stabilita dove si vuole, senza dover nemmeno spostare gli stabilimenti e tagliare il legame con il territorio e la propria forza lavoro. Ovviamente, alcuni costi ci sono, dovuti alla necessità di giustificare la presenza in loco, ma per una grande azienda si tratta di poca cosa rispetto ai risparmi fiscali ottenibili. La possibilità di scegliere la residenza al fine di minimizzare il carico fiscale è perfettamente legittima, ma altera le condizioni di competitività tra grandi e piccole aziende. E indebolisce l’idea stessa di comunità, generando nei cittadini l’impressione di una Unione creata per favorire i più forti o i più furbi. Non a caso, dopo lo scandalo cosiddetto Wiki-Lux, la Commissione europea sta verificando se alcune pratiche fiscali del Lussemburgo non si configurino come “aiuti di Stato”.
I rischi della bassa fiscalità
Qualcuno sosterrà che la competizione fiscale tra Stati è una buona cosa perché tiene a bada gli appetiti del fisco e costringe ad aumentare l’efficienza della macchina pubblica. L’argomento è affascinante e potrebbe essere corretto se l’Unione europea non fosse un mercato unico a cui accede un insieme di Stati molto disomogenei tra di loro, che va dalla Germania con 80 milioni di abitanti fino al minuscolo Lussemburgo che ne conta 543mila, poco più della provincia di Udine. Agli Stati più piccoli conviene abbassare le tasse sui fattori produttivi più mobili. Anche se le aliquote sono minime, la base imponibile sottratta ai partner è più che sufficiente per finanziare un sistema di sicurezza sociale ineguagliabile. E il poco che le aziende devono fare per giustificare la residenza basta per arricchire i propri cittadini. In Lussemburgo il Pil pro-capite medio è il più alto al mondo, pari a 90mila euro, oltre tre volte quello italiano.
Per non parlare del fatto che le legislazioni a bassissima fiscalità hanno spesso autorità di vigilanza e di controllo non adeguate a gestire la complessità generata dall’afflusso abnorme di aziende e istituzioni finanziarie da tutto il mondo. E questo aumenta i rischi per la protezione del consumatore europeo, oltre che del contribuente. È di poche settimane fa, ad esempio, il severo richiamo della Consob rispetto all’uso di “aggressive” metodologie di calcolo delle commissioni di risultato nei fondi comuni estero-vestiti, gestiti in Irlanda o in Lussemburgo, ma venduti in Italia.

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12 commenti

  1. Caro Professor Esposito,
    Lei scrive:
    “Qualcuno sosterrà che la competizione fiscale tra Stati è una buona cosa perché tiene a bada gli appetiti del fisco e costringe ad aumentare l’efficienza della macchina pubblica. L’argomento è affascinante e potrebbe essere corretto se l’Unione europea non fosse un mercato unico a cui accede un insieme di Stati molto disomogenei tra di loro, che va dalla Germania con 80 milioni di abitanti fino al minuscolo Lussemburgo che ne conta 543mila, poco più della provincia di Udine.”
    Non credo che una analisi corretta possa dimenticare che, a pochi km dall’area dove lei svolge docenza, esiste uno Stato formato da 26 giurisdizioni fiscali diverse – alcune con 15’000 abitanti e altre con una popolazione 100 volte più elevata – che riesce da sempre ad essere efficiente proprio grazie alla concorrenza fiscale interna – non solo internazionale – applicata dai Comuni e dai Cantoni.
    L’acribico sistema di perequazione finanziaria federale aiuta a spingere le Amministrazioni all’efficienza e garantisce uno stato sociale accettabile anche per chi paga le imposte.
    Con simpatia
    Marco Silvio Jäggi

    • Maurizio Talarico

      Caro Marco, non ritiene che l’efficienza dei cantoni svizzeri possa coesistere con la distorsione del sistema fiscale di cui parla il professore?
      E’ davvero la competizione fiscale tra cantoni a renderli efficienti? Siamo sicuri che non si tratti di un mix di buone abitudini da parte degli amministratori e ricchezza diffusa?
      Ho l’impressione che la Svizzera (Ginevra e’ un bell’esempio) proprio come il Lussemburgo, sia molto competitiva nell’attrarre le sedi centrali di aziendi multinazioni americane ed europea anche per motivi fiscali. Il risultato e’ un gettito fiscale minore in % di prelievo ma alto valore assoluto proprio grazie alle grandi aziende straniere presenti. Insomma, mi sembra il classico caso in cui un grande beneficio per pochissimi (multinazionali e cantoni) a fronte di un piccolo sacrificio per tanti (tax payers di altri paesi) passi inosservato. Personalmente concordo con l’opionione del Prof. che la prima tassa da europeizzare potrebbe proprio essere quella del prelievo sulle imprese, non per fare un dispetto alla Svizzera che e’ fuori dall’UE, ma per iniziare a ridurre queste distorsioni proprio dentro l’UE.
      Saluti Maurizio

  2. serlio

    Il solito statalismo mascherato da buone intenzione; anzi il consueto considerare le imprese come vacche da mungere. Complimenti! Basterebbe sicuramente tagliare le spese di Bruxelles per trovare i fondi eventualmente necessari. Tasse in Italia ve ne sono troppe! e servono solamente a finanziare spreco e corruzione.

  3. Giuseppe

    Prendendo spunto invece dall’ottimo articolo di Carlo Milani del 28 Luglio (doppia morale sulla crisi greca), si potrebbe argomentare che una tassa europea che finanzi politiche sociali, debba gravare maggiormente sui Paesi in surplus commerciale. In un’Europa “orfana” dei tassi di cambio, non sembra ci siano altri fattori in grado di riequilibrare gli squilibri macroeconomici interni, per cui sarebbe ora che si incominciasse a far gravare l’onere dell’aggiustamento anche sulle economie più forti. Un prelievo basato sul surplus commerciale potrebbe essere visto non come una regalia non dovuta, bensì come il prezzo da pagare per godere di una valuta “sottovalutata”, che spinge l’export, ma che non rispecchia la forza dell’economia del Paese in surplus.

  4. Enzo Michelangeli

    Fantastico, proprio quello di cui abbiamo bisogno: ulteriori tasse sulle imprese per finanziare un ulteriore layer di burocrazia. E con l’obiettivo di ridurre la competizione fiscale tra stati, che cosi’ avranno meno remore ad incrementare ulteriormente la loro inefficienza e a comprare voti con spesa pubblica finanziata tramite le tasse. Poi non lamentatevi se cresce l’euroscetticismo!

  5. Massimo Bassetti

    Non c’è distorsione nel mercato dei capitali se la spesa pubblica destinata alle imprese è proporzionale all’imposizione, independentemente dalla magnitudine della differenza tra aliquote fiscali di paesi diversi. E proporzionare imposte e spesa produttiva è compito degli Stati.
    Ancora, non c’è alcuna distorsione di competitività, se l’aliquota è uguale per grandi e piccole imprese. Introdurre una tassa di questo tipo inturbierebbe ulteriormente il rapporto tra elettori e Stato dal momento che i primi non saprebbero riconoscere da dove arrivano le risorse utilizzate per finanziare la spesa pubblica destinata agli household, blindando questa illusione fiscale. Non percependone il costo, gli elettori chiederebbero ancora più spesa redistributiva, non capendo che, sebbene siano formalmente le società a pagare l’imposta, di fatto la stanno pagando loro stessi.
    In conclusione l’armonizzazione dell’imposta sulle società a livello europeo equivale alla concessione di un monopolio pubblico ancora più esteso e, pertanto, più difficile da scalfire.

    • gmn

      osservazioni corrette a situazione attuale
      ma introdurre un livello federale cambia il contesto
      introducendo un altro livello di responsabilità fiscale e democratica
      dove la competizione non è fra stati nazionali ma tra UE e altri stati federali o di dimensioni econimiche paragonabili
      il monopolio pubblico sull’uso della forza (difesa, polizia, giurisdizione) può ben essere esercitato anche a livello federale ed in alcuni casi, per il porincipio di sussidiarietà, con maggiore profitto

  6. Al Leviatano italiano si vuole aggiungere un Behemoth europeo! Perché non cominciare invece a rendere l’Italia (anche) fiscalmente più competitiva, piuttosto che voler allineare tutti a non si sa quale standard? Le mancate riforme degli ultimi 25 anni costeranno decenni di svantaggio competitivo. Invece di bacchettare il Lussemburgo che da almeno 35 anni gioca a viso scoperto la partita della concorrenza (non solo!) fiscale intra-europea, proviamo ad imitarlo! Anche la Svizzera con i suoi cantoni funziona così.

  7. Non sono d’accordo con quanto scrive per la seconda volta nello stesso giorno. Basta tasse sul lavoro. Grazie !

  8. Giovanni

    Spero sia uno scherzo riuscito male, perchè questa proposta è terribile in vari fronti.
    Il primo perchè la tassazione sulle imprese è molto distorsiva sul lavoro e sugli investimenti e già in Europa non siamo messi bene su questo piano, rispetto ai concorrenti extra-europei.
    Ma poi la concorrenza fiscale è essenziale per contenere lo stra-potere statale in questo campo. Le imprese non votano. Le tasse sulle imprese sono la via più facile per raccattare voti nel breve termine, a discapito del lungo periodo. L’unico argine contro il monopolio statale è proprio la possibilità di votare “con i piedi” ed è ciò che rende gli USA attrattivi per gli investimenti, ad esempio.
    Per carità, se proprio si deve fare l’unione di bilancio, si parta da una seria discussione sulle tasse e sui benefici della concorrenza fiscale

  9. RICCARDO

    Su internet si leggono sempre graziose barzellette. Una tassa minima comune non verrà mai introdotta in europa. Un singolo paese ha diritto di veto su questioni di questo tipo. E ci sono paesi in Europa che piuttosto che cedere su questo punto sono pronti ad uscire dall’euro. Quindi state parlando dell’impossibile.
    E se per cado avvennisse? Sai che problemi a muoversi in un paese extra ue? C’è la Svizzera a un tiro di schioppo per esempio.
    Andiamo: se volete creare prosperità c’è un unico modo. Ridurre le tasse e la presenza statale.
    Naturalmente per un paese marcio come l’italietta tangentara e socialista questo è impossibile.

  10. Mettere una ulteriore tassa che dovrà servire per il bilancio comunitario non può essere accettata dall’Italia, da noi le tasse devono scendere; la soluzione è semplice, basta alzare il livello del gettito comunitario dell’Iva, si può passare dallo 0,8% al 5%, naturale che lo stato italiano dovrà rinunciare ad un gettito IVA che dovrà necessariamente compensato da una riduzione della spesa.

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