Un fisco di impresa poco amico della crescita economica: è quello che emerge dalla legge delega. Sembra infatti favorire le attività imprenditoriali più piccole, ma anche meno dinamiche e meno capaci di affrontare le sfide di un mercato in rapida evoluzione.

La tassazione delle imprese nella delega fiscale  

I criteri direttivi fissati dalla legge delega per la tassazione delle imprese mostrano, come molti altri aspetti della legge, più ombre che luci. Gli aspetti positivi non riguardano i profili portanti del sistema di imposizione delle imprese, da cui dipendono gli effetti economici della tassazione (sulla crescita, l’occupazione, le scelte organizzative e finanziarie). Su questi profili, fondanti per una riforma fiscale che il governo definisce epocale, la delega è incerta e contraddittoria; su diversi aspetti è anche controproducente.   

Gli aspetti positivi  

Per le società di capitali, gli interventi più apprezzabili riguardano profili molto specifici, certamente importanti per i soggetti interessati, volti a fare chiarezza su una normativa lacunosa, disorganica o di difficile interpretazione. Si tratta: dell’intento di razionalizzare e semplificare i regimi di riallineamento dei valori fiscali a quelli contabili, oggi assoggettati a una miriade di regole diverse; del riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali e di circolazione di quelle delle società partecipanti a operazioni straordinarie o al consolidato fiscale; di una più precisa e opportuna qualificazione fiscale nazionale delle entità estere, distinguendo fra quelle opache e quelle trasparenti; e così via. Mancano molti dettagli importanti e per un giudizio definitivo occorrerà attendere i decreti delegati. In generale, si tratta di interventi condivisibili, che tuttavia, per la loro specificità e finalità, avrebbero potuto essere attuati anche con legge ordinaria.   

Gli elementi critici  

I fattori più critici riguardano le modifiche alla struttura dell’Ires e la sostituzione dell’Irap con una sovraimposta sulle società di capitali (di cui ci occupiamo in uno specifico approfondimento). In entrambi i casi, si registrano incongruità rispetto agli obiettivi dichiarati di voler favorire la patrimonializzazione delle imprese e ridurre la pressione fiscale sulle società di capitali. Si rischia anche di confondere agevolazioni fiscali, come una aliquota ridotta sugli utili reinvestiti o nuove deducibilità dell’imponibile, con elementi strutturali del sistema tributario, tipo l’Ace (Aiuto alla crescita economica), e introdurre nuove distorsioni nel sistema, invece di perseguire una maggiore neutralità fiscale rispetto alle scelte di investimento e finanziarie delle imprese. Resta poi ancora molto incerto il quadro degli incentivi che il governo si è impegnato a razionalizzare.

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Maggiore o minore uniformità nella tassazione di impresa? 

L’orientamento del governo per quanto riguarda il trattamento fiscale delle diverse forme giuridiche con cui si può svolgere attività di impresa (società di capitali, società di persone e ditte individuali) è un po’ ondivago e poco coerente con una logica che dovrebbe essere, anche in questo caso, di neutralità (il fisco non dovrebbe avvantaggiare l’una o l’altra forma). Alcune agevolazioni (aliquota ridotta e nuove deducibilità) riguardano solo le società di capitali, che però vengono gravate dalla nuova sovraimposta sostitutiva dell’Irap. Le società di persone sono favorite dall’abolizione dell’Irap e per le ditte individuali si conferma la possibilità di usufruire di una flat tax fino a 85 mila di ricavi, a cui si potrebbe aggiungere la flat tax incrementale. Va invece nella direzione opposta, di favorire una maggiore uniformità di trattamento, la previsione della delega che consente alle società di persone e ditte individuali di optare per una tassazione proporzionale come quella societaria, in modo che gli utili trattenuti possano essere tassati all’aliquota Ires invece che alle aliquote progressive Irpef, che potrebbero risultare più elevate. Si ripesca in sostanza una imposta che ebbe vita molto breve nel nostro ordinamento, l’Iri, ma che ha apprezzabili profili di neutralità nel trattamento di società con forme giuridiche diverse. Andrà ovviamente chiarito se questa opzione comporterà anche l’assoggettamento alla sovraimposta che sostituisce l’Irap, così come l’accesso a benefici e altri istituti che riguardano solo le società di capitali. Per una valutazione puntuale occorrerà attendere i decreti legislativi, ma l’impressione è che nel complesso tendano a essere favorite le attività imprenditoriali che non assumono la forma delle società di capitali, che non si finanziano con capitale di rischio ma ricorrendo all’indebitamento, che non si quotano in borsa: quindi, quelle che sono tendenzialmente più piccole, ma per questo anche meno dinamiche e meno capaci di affrontare le sfide di un mercato in rapida evoluzione. Un fisco di impresa poco amico della crescita economica.

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