Si torna al voto con il Porcellum. La selezione dei candidati resta così saldamente nelle mani delle segreterie di partito. E mancano gli incentivi elettorali alla ricerca di politici di qualità. Ma ai futuri senatori e deputati possiamo già chiedere un impegno preciso per la prossima legislatura.COMPETIZIONE PER CANDIDATI DI QUALITÀ
Si torna a votare con il Porcellum, purtroppo. Così la selezione dei candidati per Camera e Senato resta saldamente nelle mani delle segreterie di partito, e continuano a mancare gli incentivi elettorali a selezionare candidati di qualità: un bel problema.
La necessità di migliorare (sensibilmente) la selezione della classe dirigente è ormai evidente a tutti. Ma come farlo? Alcuni studi mostrano che la qualità dei politici migliora all’aumentare della competizione elettorale che i candidati politici (e i partiti) devono affrontare. Un sistema elettorale che crei maggiore competizione elettorale spingerebbe dunque i partiti a selezionare i politici migliore (di qualità più elevata) per poter vincere nei distretti elettorali più competitivi. Ma il Porcellum disinnesca sul nascere questo meccanismo di competizione virtuosa, poiché la scelta dei (tanti) candidati da mettere in lista influenza solo limitatamente il voto per il partito. In assenza di incentivi elettorali forti, meccanismi di selezione efficaci potrebbero nascere da una vigorosa competizione interna al partito. Le primarie (o parlamentarie) potrebbero rispondere a questa esigenza. Tuttavia, affinché possa svolgere un vero ruolo di selezione, la competizione (pre-) elettorale tra i candidati deve essere elevata, vera. È stato così per le “parlamentarie” del Movimento 5 Stelle? È stato, e sarà, così per il Pd?
I DIFETTI DI PRIMARIE E PARLAMENTARI
La competizione nelle parlamentarie è stata forse vera, ma certo non serrata. Con 95mila voti (ovvero poco più di 30mila votanti, poiché ogni elettore aveva a disposizione tre voti) per 1.400 candidati, il numero di elettori da convincere per entrare in lista si è rivelato troppo esiguo.
Le primarie per il leader del Pd hanno avuto invece il pregio di attrarre molti elettori, in un momento in cui il livello di astensione è ai massimi storici. Tuttavia, hanno anche evidenziato limiti procedurali, che minano proprio l’aspetto più importante di questo meccanismo di selezione: il grado di competitività elettorale. Le restrizioni introdotte all’elettorato attivo attraverso una serie di norme vincolanti per la registrazione hanno sicuramente (e artificialmente) limitato la competizione elettorale.
Questo aspetto rischia di essere ancora più problematico nelle primarie per i candidati del Pd, dove le limitazioni interessano sia l’elettorato attivo che quello passivo, e rischiano di frenare la competizione elettorale, condizionando negativamente la selezione. Le barriere all’entrata nella competizione per gli “outsider” sono evidenti. Per presentare una candidatura sono necessarie le firme di iscritti al Pd, oppure la designazione di una direzione provinciale, mentre i parlamentari uscenti non hanno bisogno di firme. E il tutto in tempi strettissimi: si vota il 29 o 30 dicembre. Le restrizioni riducono la competizione e creano rendite di posizione a vantaggio di chi, come ad esempio i politici locali, è in grado di mobilitare un pacchetto anche limitato di militanti, che potrebbe rivelarsi sufficiente nel caso – non improbabile, viste le date scelte – di bassa partecipazione. Il rischio è dunque che queste primarie selezionino una classe parlamentare molto localistica, con scarse competenze al di fuori dell’attivismo di partito. L’esatto contrario di quello di cui oggi l’Italia ha bisogno.
Un discorso a parte meriterebbero i meccanismi di selezione usati nel centrodestra di Silvio Berlusconi, i cui effetti sulla costruzione di una forza politica la cui progettualità vada oltre la mera adorazione del capo sono risultati tragicamente evidenti in questi ultimi mesi.
Migliorare la selezione della classe politica senza i corretti incentivi elettorali non sarà facile, e probabilmente non si verificherà con le prossime elezioni. Ma ai partiti, e ai candidati che i partiti selezioneranno per i posti “al sole” nelle liste elettorali, mandandoli dunque in Parlamento, si può chiedere subito – già in campagna elettorale – un chiaro impegno a cambiare la legge elettorale. Che sia la prima riforma della prossima legislatura.
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Toti Iannazzo
Le primarie italiane – tutte – nascono segnate da un conflitto d’interessi intrinseco: le loro regole sono infatti decise dallo stesso organo cui appartiene – in posizione di rilievo – la persona da votare o il suo entourage. Ed è inevitabile che quelle regole siano studiate, o comunque possano essere studiate, in modo da favorire quelle persone. Sarebbe essenziale perciò che, come avviene negli USA, le regole vengano stabilite una volta per tutte da un ente super partes. Ma questa non è che l’ennesima forma di conflitto d’interessi che affligge non solo la politica italiana, ma, direi tutte le relazioni sociali italiane.