Le riduzioni di imposta della legge di stabilità 2016 derivano soprattutto dall’eliminazione di clausole di salvaguardia. Ma ne restano ancora per 15 miliardi per il 2017. Da disattivare domani, forse con nuove salvaguardie. Una partita di giro non entusiasmante che per ora non interessa ai mercati.
Impulsi alla crescita con la cancellazione di salvaguardie automatiche
Dieci giorni dopo rispetto alla sua approvazione in Consiglio dei ministri è arrivato al Senato il disegno di legge 2111/15, in breve la legge di stabilità 2016. Dal testo pubblicato si capisce, nei dettagli, come si basi in modo cruciale sul meccanismo combinato di disattivazione e spostamento al futuro della cosiddette clausole di salvaguardia. Con implicazioni che vale la pena di analizzare.
La legge di stabilità è organizzata in titoli, capi e articoli. Subito dopo il Titolo I sui saldi di finanza pubblica, viene il Titolo II sulle “Misure per la crescita”, come è giusto che sia per una manovra che ha l’intento dichiarato di sostenere la ripresa e un più rapido aumento del Pil. Il Capo I di questo titolo, a sua volta, comincia con le misure di “Riduzione della pressione fiscale”. E il primo articolo di questo capo e titolo (l’articolo 3 della legge di stabilità) si intitola “Eliminazione aumenti accise e Iva”, cioè delle cosiddette clausole di salvaguardia. Insomma, la cancellazione delle salvaguardie ricopre una primaria funzione proprio nella parte della legge di stabilità che parla di incoraggiare la crescita con la riduzione del carico fiscale.
Tale impulso alla crescita è in tre scarni commi, nel linguaggio criptico delle leggi di stabilità. Dalla relazione tecnica al provvedimento si legge che l’articolo 3 sterilizza tre clausole di salvaguardia ereditate dal passato. La prima è un lascito della legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 430; governo Letta). Prevedeva aumenti di aliquota e riduzioni nelle deduzioni e nelle detrazioni fiscali in modo da garantire maggiori entrate per 3,3 miliardi per il 2016 e 6,3 miliardi dal 2017 in avanti. Nella legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 632; governo Renzi) c’era poi una seconda clausola che prevedeva un aumento dell’accisa sui carburanti (benzina e gasolio) per garantire entrate non inferiori a 0,7 miliardi volti a coprire le mancate entrate da eventuali bocciature europee (puntualmente avvenute in corso d’anno) su una delle misure di contrasto all’evasione adottate dal governo, cioè il cosiddetto reverse charge. Infine il comma 718 della stessa legge di stabilità 2015 prevedeva più entrate per 12,8 miliardi nel 2016, di 19,2 nel 2017 e di quasi 22 miliardi dal 2018 in virtù – si fa per dire – di un aumento di due punti percentuali dell’Iva (dal 10 al 12 per cento e dal 22 al 24 per cento) dal 2016 e di un altro punto percentuale (dal 12 al 13 e dal 24 al 25) dal 2017. Con un’ulteriore maggiorazione delle accise dal 2018.
Sommate insieme, la clausola del 2014 e le due clausole del 2015 produrrebbero entrate aggiuntive per 16,8 miliardi nel 2016, 26,2 nel 2017 e 29 dal 2018. Ovvero aumenti di imposta che ucciderebbero nella culla la neonata ripresa. Ma, torna utile ricordarlo, è grazie alla prevista attuazione di queste clausole che il governo poteva scrivere numeri rassicuranti di finanza pubblica nella tabella I.1 della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (approvata dal Parlamento a fine settembre). Nella tabella (riportata sotto), il deficit pubblico tendenziale era previsto a 1,4 punti del Pil nel 2016, per scendere a zero nel 2017 e poi raggiungere surplus crescenti di +0,7 punti nel 2018 e dell’ uno per cento nel 2019. Per la gioia dei guardiani dei nostri conti a Bruxelles.
Il nuovo obiettivo fiscale: ridurre non il deficit ma le salvaguardie
In questo quadro contabile arriva la legge di stabilità 2016 che, nei commi menzionati sopra, elimina i 16,8 miliardi di aumenti di imposta (accise, Iva) previsti per il 2016, mentre riduce di 11,1 miliardi l’ammontare delle clausole per il 2017 e di 9,4 miliardi annui quelle previste dal 2018 in avanti. Al netto di inneschi e disinneschi del groviglio di clausole, rimane che l’anno prossimo di questi tempi il governo potrà riproporsi come “tagliatore di tasse” semplicemente disattivando le clausole di carta ancora in essere per il futuro, seppure un po’ diminuite rispetto a quelle in essere quest’anno. La salvaguardia da disattivare nel 2017 sarà infatti di “soli” 15,1 miliardi (e non di 16,8 come nel 2016).
Dati in milioni di euro
Riassumendo, per “incoraggiare” la crescita, la legge di stabilità riduce la pressione fiscale – rispetto all’andamento tendenziale, cioè sulla carta, dei conti pubblici – affidandosi soprattutto alla cancellazione dei 16,8 miliardi di euro di clausole automatiche. Purtroppo, però, trattandosi di provvedimenti di stimolo rispetto ad aumenti di tasse non ancora contabilizzati dalla maggior parte degli operatori economici, è difficile che la loro cancellazione produca effetti espansivi sull’economia. Per completezza, va ricordato che l’introduzione di queste clausole non è un’invenzione di Enrico Letta e Matteo Renzi. L’uso di riduzioni di spesa o di aumenti di entrata automatici a fronte di difficoltà di governi e parlamenti di approvare leggi di riduzione del disavanzo pubblico ha una lunga tradizione dagli stati degli Usa all’America Latina degli anni Ottanta.
Da noi sono ritornate in auge con la manovra dell’estate 2011 quando l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti introdusse drastici aggiustamenti di bilancio dal lato delle entrate in forma di salvaguardie non immediate ma rinviate al 2013-14 (e poi adottate dal governo tecnico di Mario Monti). Nel 2011 l’idea di Tremonti non piacque ai mercati perché fu percepita come il tentativo del governo italiano di rinviare al futuro una necessaria resa dei conti (pubblici). Oggi i mercati – tranquillizzati dalle politiche della Bce – sembrano non preoccuparsi degli artifici contabili dell’Italia che negli anni ha trasformato l’obiettivo di azzeramento del deficit in una – deludente e poco trasparente – riduzione graduale degli aumenti automatici di imposta. Per ora.
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Ezio Pacchiardo
Mi pare che le clausole di salvaguardia siano una garanzia del piano finanziario del paese altrimenti detto legge di stabilità. Non potendo essere certi di poter conseguire i risultati stimati, entrate e uscite dello stato, a copertura dei rischi vengono messe in piano delle azioni compensatrici di pari valore tali da poter dare piena credibilità al piano. Anche nei piani industriali seri si introducono sempre delle azioni di salvaguardia aventi lo scopo sopra indicato. Se poi con le azioni di base si raggiungono i risultati preventivati, ben venga che non si debbano applicare le clausole di salvaguardia che in tal caso rimangono, a posteriori, solo azioni fittizie, mentre ante, erano azioni possibili e probabili miranti a garantire la credibilità e la serietà del piano. Da notare che se il piano viene raggiunto senza l’applicazione delle clausole il vantaggio sociale sta nel non dover far pagare ai cittadini l’onere delle stesse; onere che ci si troverebbe a dover pagare come maggiori tasse e non invece come tasse, accise, ecc. nel costo nei prodotti e servizi acquistati. E’ proprio la riduzione del volume dei prodotti e servizi che necessita della compensazione con le clausole di salvaguardia. Correggetemi se sbaglio.
francesco daveri
Ha ragione. Le salvaguardie in linea di principio sono solo una garanzia di ottenere determinati risultati desiderati in termini di conti pubblici.
Ma quando parlo di “salvaguardie che non salvaguardano” non mi riferisco all’idea di salvaguardia ma all’uso di clausole rinnovate di anno in anno e che si traducono nello spostare a domani la resa dei conti (pubblici) che dovrebbe avvenire già oggi e, in definitiva, nel mantenere un dato livello di deficit inalterato senza darlo troppo a vedere.
Andrea Severi
Le clausole di salvaguardia intese in questo modo sono la maniera per fare spot elettorali.
Nel nostro Paese abbiamo 250 Miliardi stimati di evasione accertata, dei quali 98 ai concessionari delle slot machine a cui sono stati azzerati; altri 100 sono adducibili a Banche e grandi evasori e la rimanenza al “popolo” tra professionisti, commercianti, artigiani etc… insomma “poveri cristi” che sbarcano il lunario. L’Agenzia dell’Entrate non essendo in grado di far pagare le tasse ai grandi evasori (pari all’80%) vessa il cittadino medio.
In un contesto economico di questo genere dove le buste paga hanno perso il 20% di vallore in 10 anni, come si può pensare di incentivare i consumi (e quindi le entrate fiscali) eliminando le tasse sulla prima casa, quando per far ciò, riducono la spesa sanitaria, scolastica e i fondi per la disabilità e aumentando l’imposizione su bollette e carburanti?
Se dovessimo oltremodo applicare l’aumento IVA al 12 e 24% sarebbe il colpo di grazia!
Io farei l’esatto contrario: detasserei il lavoro e le attività produttive spostando la leva fiscale sul patrimonio e inasprirei le pene per il reato di evasione, recuperando non meno del 30% del dovuto (oggi lo Stato italiano recupera meno del 2% dell’evasione accertata.
Duluoz
gli effetti delle clausole di salvaguardia contenute nelle l. stabilità per 14 e 15 erano inglobati nel def,
ma la rimozione delle stesse non dovrebbe trovare riscontro (in termini di minori entrate) nel preventivo per il 16?
la commissione non deve adottare un parere sul documento programmatico
di bilancio?
perciò, cos’è che sfugge al monitoraggio dei saldi di finanza pubblica?