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Diversi ma complementari: la forza dell’asse italo-tedesco

Al di là degli stereotipi, Germania e Italia non sono così lontane tra loro. Anzi, le cifre rivelano l’interdipendenza tra due economie sempre più simili, con un commercio bilaterale tutto sommato equilibrato. Anche in Europa gli interessi sono spesso gli stessi. Manifatturiero e sfide del futuro.

Italia-Germania: i numeri delle multinazionali

Quando un presidente del Consiglio italiano incontra un cancelliere tedesco, la percezione prevalente è quella di una relazione squilibrata e di interessi divergenti. Squilibrio perché la Germania è grande e solida, l’Italia più piccola e fragile; conflitto perché Berlino è formica attenta al lungo periodo, mentre Roma è cicala schiava dell’immediato.
Ora, di verità negli stereotipi ce n’è sempre un po’, e del resto se nel XVIII secolo Goethe scriveva che “Onestà tedesca ovunque cercherai invano, c’è vita e animazione [in Italia], ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida, e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé” vuol dire che sono comunque sopravvissuti al passare degli anni e a molti trattati europei. Però, le cifre dell’economia rivelano un panorama molto più complesso, una bilancia dove i pesi dei due paesi sono meglio distribuiti e, non a caso, gli interessi sono spesso gli stessi.
Iniziando dalla presenza delle multinazionali dei due paesi nell’altro, le sorprese non mancano. In Germania operano più di 1.400 imprese italiane, che nel 2012 hanno generato oltre 61 miliardi di fatturato, con quasi 126mila dipendenti. Esistono invece quasi mille imprese a capitale tedesco in Italia: nel 2012 hanno generato quasi 74 miliardi di fatturato, con circa 142mila dipendenti. Insomma, ordini di grandezza simili. Oltretutto, nel manifatturiero le imprese a capitale italiano in Germania sono più numerose e nel 2012, per la prima volta, hanno registrato un fatturato superiore a quelle di capitale tedesco in Italia. Una tendenza destinata a consolidarsi con gli investimenti del nostro quarto capitalismo. Pensiamo ad esempio a Ima, una delle stelle del packaging bolognese, che nel 2014 ha acquistato cinque società, con 850 dipendenti e otto stabilimenti tra Germania, Francia, Spagna e India.
Anche il commercio bilaterale è abbastanza equilibrato. Se per l’Italia, la Germania è il principale partner sia per l’import (15,4 per cento del totale nei primi nove mesi del 2015) sia per l’export (12,5 per cento), anche noi siamo molto importanti per loro: il quinto fornitore (ricordando che il primo è l’Olanda da cui transita molta dell’energia importata) e il settimo acquirente del made in Germany. L’Italia è, a parte Usa e Cina che sono ovviamente economie molto più grandi, di gran lunga il partner principale della Germania tra quelli con cui non condivide un confine. Il saldo gennaio-ottobre 2015 è deficitario per l’Italia (4.630 miliardi, 10,8 per cento dell’export), ma il divario era più ampio nel 2012 (12,9 per cento).
Queste cifre riflettono un fenomeno molto semplice: l’interdipendenza tra economie sempre più simili e che hanno sempre più bisogno di scambiarsi a vicenda prodotti che sono simultaneamente analoghi e diversi tra loro. È il commercio intra-industriale, spesso intra-societario, che domina tra Germania e Italia, non più una relazione di sudditanza in cui noi vendiamo magliette e agrumi e acquistiamo macchinari complessi e medicinali.
Insomma, quando si analizza la globalizzazione, non c’è sempre bisogno di pensare allo spiffero d’aria a Shanghai che provoca lo starnuto a Chicago, altrettanto concrete sono le conseguenze economiche a Treviso di ciò che accade a Mönchengladbach. Che a sua volta dipende da ciò che accade nel resto del mondo: se i cinesi smettono di comprare auto tedesche di grossa cilindrata, per chi producono freni o pneumatici i nostri campioni nazionali?

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L’agenda da condividere

Proprio per questo gli interessi di Roma e Berlino non sono tanto diversi, una volta scavallate le discussioni alla lunga stucchevoli dell’austerità sì, austerità no. Un esempio di grande attualità è la concessione alla Cina dello status di economia di mercato, che renderebbe più difficile per l’Europa provare che i concorrenti cinesi praticano il dumping. Gli italiani fanno resistenza rispetto agli entusiasmi di Bruxelles, favorevole a riconoscerlo; anche i tedeschi sono cauti e chiedono che Pechino liberalizzi prima gli appalti pubblici e aderisca alla disciplina Wto in materia.
Pure sulle sfide della fabbrica del futuro – la convergenza tra digitale e manifatturiero che sta cambiando la faccia dell’industria mondiale – Berlino e Roma hanno un interesse comune a farne un cavallo di battaglia della politica economica continentale. Tutto si giocherà sugli standard tecnologici, con altri paesi UE meno solerti nella promozione del manifatturiero europeo. Va detto peraltro che sull’obbligatorietà delle etichette made in EU per i prodotti non alimentari venduti nel mercato comunitario, i tedeschi non sono ancora convinti che il tema sia fondamentale per garantire la sicurezza dei consumatori, come sostengono invece gli italiani.
Ci sono insomma vari dossier fondamentali per rafforzare la competitività delle nostre economie che meritano l’attenzione di Angela Merkel e Matteo Renzi. Sarebbe un segno importante dedicarvici tempo e neuroni, anche perché gli imprenditori dimostrano sorprendente timidezza nel coltivare i rapporti bilaterali. Nell’economia globale, per costruire alleanze economiche, finanziarie e politiche è fondamentale contare, con la presenza di amministratori stranieri nelle grandi società quotate. Entrambi i paesi si contraddistinguono per il modesto livello di internazionalizzazione dei consigli di amministrazione, ancor più a livello bilaterale. Nel 2013 c’erano appena nove tedeschi nei principali cda italiani e undici italiani in quelli tedeschi, oltretutto in calo dal 2006, quando erano rispettivamente venti e quattordici. Un esempio di Verschrottung (rottamazione) di cui si poteva fare a meno.

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Gli imprevisti che certificano la fragilità economica

  1. marcello

    Non credo che Italia e Germania abbiano gli stessi inetressi e la battaglia contro l’austerità espansiva non è una polemica stucchevole, ma una lotta tra due visioni del mondo: il neoliberalismo della Scuola di Freiburg e J.M Keynes. Non si possono azzerare le differenze in nome di interessi comuni che non esistono. La Germania ha impedito che si avviassero politiche economiche anticicliche, ha fatto esplodere di 30 punti il debito medio dell’Unione a 28, non dell’eurozona, si badi bene, ha realizzato surplus delle partite correnti 2,5 volte quelli della Cina, in breve sta distruggendo le economie continentali a cominciare dalla Francia. Infine ha imposto la banca universale contro il modello del gruppo polifunzionale che ha generato i disastri sotto gli occhi di tutti. Quando le sue banche si sono trovate in difficoltà, grazie a Trichet ha imposto un bail out alla Grecia e ha sovvenzionato le casse di risparmio, evitandone il fallimento. Il tutto dopo avere compiuto una riforma del mercato del lavoro sforando tutti i parametri, perchpè avvenuta nella fase esansiva del ciclo e oggi ha 1/4 di lavori in minijob. La Germania ha condannato al sottosviluppo Grecia, Portogallo, Spagna. Quali sarebebro i ns interessi comuni? Noi siamo concorrenti sugli stessi mercati e per gli stessi beni, la dove noi e i francesi perdiamo posizioni le occupano i tedeschi. Noi abbaimo bisogno di investimenti pubblici, loro ci vogliono imporre ancora sacrifici non mi sembra che esistano obiettivi com

    • Maurizio Cocucci

      E’ pacifico che tra due Paesi non ci sia completa convergenza di interessi e anche tra la Germania e l’Italia vi sono argomenti che ci vedono su posizioni diverse. Oggi però a mio avviso si parla un po’ troppo di Germania addebitando ad essa tutta una serie di responsabilità che non trovano riscontro razionale. Vogliamo parlare di austerità (termine che reputo oltremodo scorretto)? Bene, il parametro del 3% riguardo il rapporto deficit/PIL fu proposta in sede comunitaria dalla Francia che lo aveva introdotto al suo interno anni prima con risultati positivi. Gli altri Paesi europei lo accettarono e divenne così uno dei capisaldi del Trattato di Maastricht. Il tanto famigerato Fiscal Compact è una proposta franco-tedesca sorta per trovare una ricetta che potesse calmare i mercati in un momento in cui al nostro governo sedeva uno che era poco interessato alle vicende europee e più a stringere relazioni individuali con il governo USA di Bush o la Russia di Putin e di fronte all’agitarsi dei mercati replicava che tutto andava bene. In diplomazia e in politica come dappertutto se vuoi considerazione devi dimostrare serietà. Come si fa a parlare di scarsa considerazione per l’Italia se non abbiamo mai portato una sola proposta anticrisi? Ci limitiamo a chiedere maggiore flessibilità, ma per fare cosa, Il ponte sullo Stretto di Messina? Se il deficit lo usiamo così il problema non è la Germania o la UE, ma chi quel deficit un domani non sarà più disposto a finanziarlo.

  2. dmrmassimo

    Una interessante linea di ricerca, ma a mio (modesto) parere poco realistica nel nelle ipotesi di base. Se è vero che ci sono somiglianze tra le due economie è probabilmente vero che troverò somiglianze anche tra quella italiana e quella danese (avendo tempo mi occuperei volentieri di verificarlo). Che ci siano convergenze di interessi non toglie il fatto che il nostro peso politico è infinitamente minore, così come ben diverse sono da molti e molti anni le performance economiche.
    Che adesso faccia piacere a tanti evidenziare come Renzi sia nelle grazie della Merkel è interessante, ma è altrettanto vero che Angela lo passerà in secondo piano (semmai ora fosse in primo) appena avrà altre priorità, mentre ben poche nazioni oserebbero snobbare la Germania.
    Il tutto per dire benissimo ma ricordiamoci che c’è ancora tanto tanto tanto da lavorare per creare quel benessere diffuso che in Germania è uno standard dato per scontato.

  3. Maurizio Cocucci

    In un periodo difficile purtroppo prevale o comunque si diffonde il sentimento di rancore, di astio, di invidia. Vale nei confronti della Germania per il suo ruolo economico e politico a livello internazionale e vale per la questione immigrazione, tanto per fare un esempio. Si accusano i tedeschi di scorrettezze e gli immigrati, in particolar modo i profughi da guerre, di colpe che non hanno. Rimanendo in tema la Germania è indubbiamente il nostro miglior cliente come uno dei principali concorrenti, ma nessuno che opera nella veste di imprenditore lo vede come un nemico. Purtroppo però è più facile far credere che la Germania abbia imposto politiche discutibili (a oltre 20 nazioni?) o che abbia commesso irregolarità, senza però entrare nei dettagli di queste ma limitandosi a superficiali quanto inesatte descrizioni. Il governo tedesco ha aiutato le banche, tanto per fare un esempio, in un periodo e con modalità al tempo lecite ma non come descritto da molti mass-media decisamente male informati che non comprendono la differenza tra garanzia e finanziamento effettivo. Si sente parlare di oltre 200 miliardi di euro che il governo avrebbe speso per salvare le banche ma i commentatori finanziari e, purtroppo, alcuni economisti non hanno specificato le modalità così il lettore è convinto che il governo abbia speso davvero tutti quei soldi. Queste sono polemiche che appassionano (o ingannano) chi è in cattiva fede, chi è dentro perchè fa impresa non si lascia coinvolgere.

    • marcello

      Ci chiarisca la differenza tra garanzia e finanziamento effettivo, e sul perchè lo stesso è stato appena proibito all’Italia che voleva istituire una bad bank, liquidando il progetto come aiuto di stato. Una garanzia si rivela tale e non un finanziamento solo ex-post e guarda caso per la Germania l’ex-post riguardava la fase espansiva del ciclo, o sbaglio.

      • Maurizio Cocucci

        L’ammontare effettivamente sborsato dal governo tedesco per ricapitalizzare le le banche ammontava al 2013 a 144 miliardi e prevede comunque che le banche restituiscano parte dovuto alla differenza di prezzo tra i crediti deteriorati ceduti allo Stato in cambio di titoli con garanzia pubblica. All’Italia questo intervento non fu negato, ma non lo facemmo perché non avremmo avuto le risorse finanziarie dato l’ammontare e questo vale ancor di più oggi dove le sofferenze toccano livello 200 miliardi. Ma non bisogna dimenticare i miliardi (circa 100) che la BCE spese per acquistare i nostri titoli di Stato con le operazioni LTRO. Insomma non si venga a dire che l’Europa ha aiutato la Germania ma non l’Italia, è proprio il contrario. Rispondendo però alla sua osservazione più interessata (credo) e cioè perché a noi oggi viene negata una soluzione prima possibile, nonché applicata da diversi Paesi, è perché abbiamo recepito una direttiva UE (la n.59 del 2014) che cambia le regole in caso di crisi bancaria con l’adozione del noto Bail-in. Tutto questo non è arrivato a sorpresa, anzi cito testualmente quanto è riportato al sito internet del MEF al 2 Luglio 2015: “Unione bancaria: con direttiva UE più tutele per depositi e creditori” e questo perché lo stesso giorno la camera ha definitivamente approvato la legge che recepisce proprio quella direttiva. Una curiosità: la Germania ha introdotto il Bail-in già il primo Gennaio 2015.

        • marcello

          Non ha risposto alla domanda. Ha solo fiorito dati parziali che non chiariscono nulla. Al 31 dicembre 20o8 le sofferenze del ns sistema bancario ammontavano a 40 mld, meno del 4% degli impieghi, al 2015 sono oltre 200 mld, oltre il 10% degli impieghi. La rettifica di oltre l’89% del valore dei crediti delle 4 banche “salvate” recentemente se venisse scontata sulle altre banche provocherebbe una caduta attorno al 40% del valore di mercato.Per evitare tutto questo sarebbero necessari più di 50 mld di aumenti di capitale. Le banche non sono in grado di ricapitalizzarsi sul mercato, non so se ha notato l’andamento dei corsi nelle ultime settimane. Come fare? Una strada era la bad bank, vietata, l’altra è quella dell’articolo che mima quello fatto dall’Amministrazione Obama. Tuttavia, come nel caso del tardivo avvio del QE, a questo punto può essere tardi e difficile. Le prime 4 banche hanno oltre 1/3 delle sofferenze e una loro crisi può essere sistemica. A quel punto poiché anche la banca di sistema italiana, cioè Unicredit è pesantemente coinvolta, lo stato potrà intervenire con un salvataggio. Non è meglio evitare lo sconquasso ulteriore della ns economia? Le regole, come dovrebbe sapere, si interpretano, sa che in tutte le democrazie esiste allo scopo la magistratura e la Consulta?

          • Maurizio Cocucci

            L’intervento pubblico non è più possibile, argomento chiuso da quando è entrata in vigore la nuova normativa europea che noi abbiamo recepito. Il ministro Padoan è riuscito ad ottenere una falsariga di sostegno, ma nulla di più perché così è previsto (a tal proposito c’è l’articolo specifico del prof.Baglioni).

        • marcello

          Sulla efficienza teutonica abbiamo già avuto un esempio a proposito dello scandalo dei device installati sulle auto tedesche. Come pure sulle sanzioni adottate nei confronti della VW, vedremo cosa accadrà quando esploderà il caso Deutsche Bank. Vedremo quanto varranno le regole per i tedeschi quando c’è in ballo la loro stabilità economica e sociale.

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