La Banca d’Italia, in qualità di autorità di risoluzione bancaria, ha la possibilità di evitare che la scure del bail-in colpisca i risparmiatori al dettaglio, in caso di salvataggio con aiuto pubblico. La stessa direttiva dà lo strumento adatto. Basta volerlo usare.
Titoli con clausola di bail-in
L’entrata in vigore del bail-in (previsto dalla direttiva europea Bank Recovery and Resolution Directive – Brrd) all’inizio di quest’anno ha suscitato numerose reazioni negative, soprattutto per i problemi che crea per la clientela al dettaglio. Il dibattito politico ha visto richieste di modifica o addirittura di sospensione della nuova regola, ma sono istanze destinate a scontrarsi con il fatto che è ben difficile cambiare una direttiva europea appena entrata in vigore. Alcuni, compresa la Banca d’Italia, hanno richiamato la clausola che prevede una possibilità di revisione nel 2018; tuttavia la clausola fornisce una possibilità di revisione limitata (l’articolo 129 della direttiva si riferisce alla eventuale necessità di minimizzare le divergenze tra nazioni) e lontana nel tempo. Per fortuna, sembra esserci un’altra strada per rimediare all’incauta introduzione del bail-in su tutti gli strumenti finanziari, compresi quelli già esistenti e collocati presso la clientela al dettaglio (con l’unica eccezione dei depositi sotto i 100mila euro). È una soluzione che presenta alcuni costi per le banche, ma che dovrebbe, a mio avviso, essere perseguita dalla Banca d’Italia nell’interesse generale. La stessa direttiva Brrd (articolo 45) prevede che l’autorità di risoluzione (che per le banche più grandi è la nuova autorità europea Single Resolution Board e per quelle più piccole è la Banca d’Italia) imponga un requisito chiamato Mrel (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities). In pratica, è definito dal rapporto tra le passività bancarie che possono essere aggredite (“eligible”) in caso di bail-in (tramite riduzione di valore o conversione di titoli di debito in azioni) e passività totali. Le autorità devono stabilire, per ogni banca, il valore minimo del rapporto. Possono anche imporre che il requisito sia (in parte) soddisfatto includendo tra le passività idonee strumenti provvisti di una apposita clausola contrattuale (contractual bail-in instruments) che prevede che questi titoli siano aggrediti prima degli altri in caso di bail-in e, coerentemente, siano rimborsati dopo gli altri in una normale procedura di insolvenza, cioè siano di fatto titoli subordinati. Il potere così assegnato alle autorità di risoluzione fornisce loro una strada per disinnescare la mina rappresentata dal bail-in. È sufficiente che impongano che l’8 per cento delle passività bancarie sia composto dalla somma di capitale e contractual bail-in instruments. Perché proprio l’8 per cento? La ragione sta nel fatto che la direttiva impone che un eventuale aiuto pubblico nel salvataggio di una banca possa avvenire solo dopo che l’8 per cento delle passività – detenute dai soggetti privati – sia stato aggredito dal bail-in, al fine di ridurre l’onere per il settore pubblico. La condizione vale sia in caso di aiuto statale (articolo 37) sia in caso di intervento del Fondo di risoluzione (articolo 44). L’effetto dirompente del bail-in deriva proprio da questa condizione, perché impedisce a un governo di intervenire a sostegno di una banca in difficoltà senza imporre perdite ai creditori e azionisti della banca stessa. Il “salvataggio” delle quattro banche regionali ne ha fornito un chiaro esempio. Tuttavia, se una banca fosse obbligata a emettere passività subordinate (contractual bail-in instruments) in modo che rappresentino (insieme al capitale) l’8 per cento delle passività totali, gli altri creditori sarebbero al riparo dal bail-in in caso di sostegno pubblico. Le nuove obbligazioni subordinate andrebbero collocate solo presso investitori istituzionali, mentre ne andrebbe vietata la vendita ai risparmiatori al dettaglio. Altrimenti si perderebbe lo scopo di tutelare il piccolo risparmiatore.
Una proposta da portare in Europa
Una prevedibile obiezione alla proposta è che i nuovi titoli saranno costosi per le banche, poiché gli investitori chiederanno un adeguato premio al rischio, dovuto alla clausola di subordinazione. Se il nuovo obbligo fosse imposto solo alle banche italiane, subirebbero uno svantaggio competitivo nei confronti degli altri istituti europei. Ma anche qui c’è una via di uscita, fornita dalla stessa direttiva. Vi è infatti previsto che, entro la fine di quest’anno, la Commissione UE faccia una proposta legislativa volta ad armonizzare l’applicazione del Mrel tra i paesi europei. La proposta si baserà su un rapporto della European Banking Authority (Eba), il quale dovrà espressamente considerare l’opportunità che il Mrel sia soddisfatto per mezzo di contractual bail-in instruments (paragrafi 18 e 19(l) dell’articolo 45). L’Italia dovrebbe attivarsi in sede europea affinché il Mrel venga applicato nel modo qui proposto in tutti i paesi europei. Il governatore Visco ha recentemente affermato: “Un approccio mirato, con l’applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un’espressa clausola contrattuale, e un adeguato periodo transitorio avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni”. La proposta, che qui viene avanzata, consentirebbe di limitare l’impatto del bail-in a strumenti come quelli di cui ha parlato il governatore, in caso di aiuto di Stato. E potrebbe essere applicata subito (seppure in modo graduale), senza aspettare il 2018. Speriamo che la Banca d’Italia voglia prenderla in considerazione.
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Marco Ventoruzzo
Proposta estremamente interessante. Aggiungo uno spunto di riflessione. Anziché vietare del tutto, agli investitori istituzionali che avessero sottoscritto sul mercato primario le obbligazioni subordinate (“contractual bail-in instruments”), la possibilità di farle circolare, si potrebve valutare una disciplina analoga a quella prevista attualmente dall’art. 2412, comma 2, del codice civile per le obbligazioni emesse da spa industriali e commerciali in eccedenza al limite di legge (del doppio di capitale, riserva legale e disponibili). Secondo questa regola, tali obbligazioni devono essere sottoscritte da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale, i quali possono farle circolare, ma in caso di insolvenza dell’emittente gli investitori retail che si ritrovassero col “cerino in mano” possono anche rifarsi sugli intermediari che li avevano originariamente sottoscritti, ma anziché tenerli in pancia li hanno trasferiti. Questa ipotesi – tutta da studiare – ha certamente alcune controindicazioni applicative, ma forse potrebbe temperare il costo degli strumenti proposti da Baglioni per le banche, atteso che una possibilità di circolazione, seppur con rischio di responsabilità, esiste.
Henri Schmit
Chiaro e interessante. Non capisco tuttavia il problema relativo al costo di tali strumenti equiparati al capitale; il costo esprime l’effettivo rischio, purché i titoli siano collocati presso investitori professionali. Tutto il problema è lì: come mai banche provinciali in difficoltà (non dal 2013 ma dal 2008, dallo scoppio della crisi globale del debito) hanno potuto collocare titoli subordinati presso i loro clienti retail, nonostante la MiFID , introdotta pochi anni prima e destinata a proteggere i risparmiatori, ma utilizzata in questo paese (formalistico, bizantino) per proteggere le banche che fanno firmare chili di manleve per fare i loro interessi sulle spalle dei risparmiatori. Serve semplicemente un giudice serio (non formalistico, né un commissario) che caso per caso decida se la banca agendo pro-attivamente, di iniziativa sua, in conflitto d’interesse ha tenuto conto dell’effettivo profilo di rischio del suo cliente. In caso negativo deve rimborsare tutto, non come principale ed interessi dell’obbligazione subordinata , ma come risarcimento danni. Un ultima domanda è quale fosse a suo tempo la copertura con capitale e strumenti equiparati sul totale passivo delle quattro banche e che cosa abbia fatto Bankit per sorvegliare la stabilità degli istituti e proteggere il risparmio pubblico contro operazioni irregolari (in base alla MiFID)? Anche la nomina di certi personaggi come copertura politica dovrebbe insospettire un organo di vigilanza vero, non formalistico.
Stefano Scarabelli
Innanzitutto bisogna sottolineare che nel salvataggio delle 4 banche del Centro-Italia non sono stati colpiti da haircut gli obbligazionisti senior, mentre l’articolo sembra far intendere qualcos’altro. In secondo luogo, già oggi, secondo dati Prometeia riportati sul Sole 24 ore del 13 dicembre u.s., solo il 2% dei bond senior subirebbe un haircut in caso di una svalutazione degli attivi bancari dell’8% dei primi 10 istituti bancari del paese (e probabilmente quel 2% è approssimato per eccesso, non tenendo conto che la depositor preference estesa entrerà in vigore nel 2018). Ciò premesso sulla situazione di fatto, vorrei fare qualche critica anche al merito della proposta: 1) come è possibile contemporaneamente vietare ad un investitore al dettaglio l’acquisto di un’obbligazione subordinata e consentire l’acquisto dei titoli azionari di un medesimo emittente? Si tratterebbe di norma costituzionalmente illegittima per difetto di ragionevolezza (art. 3); 2) Se esiste un rischio percepito di bail-in, quale investitore razionale sottoscriverà obbligazioni subordinate per evitare perdite agli obbligazionisti senior? Un ente di beneficenza? 3) Peraltro, le perdite degli investitori istituzionali (e delle persone giuridiche in genere) sono in ogni caso perdite di qualche persona fisica; e mi sembra contraddittorio cercare di penalizzare chi ha cercato razionalmente di diversificare i proprio risparmi rispetto a coloro che hanno messo le uova in un unico paniere.
Stefano Scarabelli
(segue) Se lo scopo finale è quello di ripartire le perdite, tanto vale tornare ai salvataggi bancari di stato ed accantonare del tutto la normativa. Eventualità che ritengo molto probabile.
Maurizio Cocucci
Ritengo che la preoccupazione riguardo al Bail-in sia del tutto eccessiva e dovuta al caso delle 4 banche la cui gestione non si può certo dire sia stata corretta. Tale meccanismo poi interviene come scritto solo per un primo 8% e in caso si presenti la condizione di insolvenza, non nei casi in cui la banca sia sì in difficoltà ma ancora in grado di reagire autonomamente. Io sono alquanto favorevole al cosiddetto ‘salvataggio interno, in primo luogo perché gli azionisti presteranno maggiore attenzione nel nominare i consigli di amministrazione e nel controllare il loro operato ed in secondo luogo non capisco in base a quale logica l’investitore in azioni o obbligazioni bancarie incassa i guadagni ma le perdite le scarica sulla collettività. Oggi occorre modificare il vecchio adagio e avere fiducia nel proprio medico perchè non si ha la necessaria competenza in materia, nel parroco perché (e se) si è credenti e nella propria banca solo se si è sufficientemente preparati in materia. Oggi con internet e la maggiore preparazione scolastica non valgono certe scusanti.
Dante Filigesto
Con le banche italiane già in difficoltà nella raccolta di credito, fra fughe di capitali e fughe dai titoli azionari sotto minaccia di mega-ricapitalizzazioni, non mi pare una proposta di facile realizzazione.