Il lungo periodo di petrolio a prezzi bassi potrebbe portare a un significativo squilibrio futuro, con l’offerta che potrebbe non riuscire a coprire la domanda. Il consumo di greggio continua a crescere, ma i produttori hanno rinviato gli investimenti e i progetti perché oggi poco convenienti.
Quotazioni ancora basse
I prezzi restano ancora bassi e l’abbondanza di petrolio è senza precedenti, ma è improbabile che i produttori riducano l’estrazione.
I produttori di petrolio, siano essi statali o privati, sono indubbiamente messi a dura prova dai prezzi bassi del barile. Tuttavia tagliare la produzione non costituisce sempre la scelta più razionale, per alcune fondamentali ragioni: interrompere la produzione e poi riavviarla può avere un costo maggiore di produrre greggio sottocosto per un certo periodo di tempo. Un produttore può sempre immagazzinare il greggio estratto oggi e aspettare che i prezzi risalgano. E interrompere l’estrazione di petrolio potrebbe avere delle ripercussioni su validità, durata e rinnovi delle concessioni esistenti. Un significativo taglio della produzione è perciò piuttosto inverosimile, almeno nel breve e medio periodo.
Quei 3 milioni di barili che mancheranno domani
Uno studio pubblicato sul numero di marzo della rivista Offshore offre lo spunto per una riflessione sull’impatto più immediato dei prezzi bassi: se non hanno ancora determinato un calo sensibile della produzione esistente, hanno però già determinato un ritardo considerevole di quella futura. A partire dal 2014, ben 68 progetti, per un valore totale di investimenti in capitale di 380 miliardi di dollari, sono stati rinviati al 2017 e al 2018. Considerati i tempi tecnici necessari per realizzare i progetti, il ritardo si tradurrà in circa 2,9 milioni di barili al giorno di produzione aggiuntiva rimandati per lo meno alla prima metà del 2023, mentre il consumo di petrolio continuerà verosimilmente a crescere.
I risultati dello studio indicano anche che la maggior parte degli operatori avrà bisogno di prezzi stabilmente al di sopra dei 62 dollari al barile perché lo sviluppo dei progetti sia conveniente. Con l’esaurirsi dei pozzi più maturi, il mercato potrebbe perdere una significativa quota di produzione per un periodo tendenzialmente lungo (circa sei anni). Se i prezzi rimarranno bassi e se l’industria non riuscirà a ridurre sensibilmente i costi, le decisioni di investimento potrebbero essere ritardate oltre il 2017 e il primo segmento di nuova produzione arrivare sul mercato solo dopo il 2023. In questo contesto, gli operatori potrebbero essere spinti a cominciare a disinvestire anzitempo dagli impianti più vecchi o a non effettuare la necessaria manutenzione in caso di interruzioni dovute a problemi tecnici. Il ritardo dei progetti investirà tanto il petrolio che il gas naturale i cui giacimenti si trovano per lo più in acque profonde o in aree remote (Mozambico, Australia, Indonesia e Malesia) e richiedono il ricorso a costose soluzioni tecniche per poter essere portati in produzione.
Il consumo continua a crescere in maniera costante
Per il momento l’Opec sembra limitarsi a osservare l’evolversi della situazione. Tuttavia, un recente rapporto dell’organizzazione prevede per il 2016 una prima consistente riduzione delle scorte a livello mondiale.
Il grafico sotto (pubblicato nel rapporto Opec dell’aprile 2016) misura infatti la produzione Opec necessaria per mantenere in equilibrio il mercato. Il grafico sembra fondarsi sul presupposto che produzione e consumo di greggio saranno sostanzialmente in equilibrio già nel 2016 e che la produzione aggiuntiva richiesta all’Opec sarà di circa 1 milione di barili superiore agli attuali livelli di produzione, costringendo il mercato ad attingere alle scorte per soddisfare il fabbisogno.
Grafico 1
Il rapporto Opec sembra individuare nel picco stagionale estivo dei consumi, nella crescita economica e in scorte di petrolio negative di alcuni paesi asiatici (in particolare il Giappone) il principale elemento in grado di riavvicinare produzione e consumo di petrolio.
Con il contributo iraniano alla produzione mondiale ormai chiaramente proveniente prevalentemente da quantitativi invenduti durante gli anni delle sanzioni e una produzione non Opec che comincia a ridursi in maniera tangibile, la tenuta delle scorte mondiali presenta un orizzonte temporale sempre più chiaro e limitato. Tuttavia, le scorte rimarranno consistenti per tutto il 2016 e ormai il periodo prolungato di prezzi bassi ha contribuito a determinare le condizioni per un potenziale significativo squilibrio futuro, questa volta del consumo sulla produzione, indotto dalle decisioni degli operatori di rinviare gli investimenti e i progetti. All’inizio del 2023 il consumo di petrolio potrebbe essere arrivato a toccare i 102 milioni di barili al giorno. A partire dal 2018, oltre a seguire l’andamento dei prezzi del petrolio, sarà importante confrontare i tassi di crescita di consumo e produzione, per verificare se e quando quest’ultima riuscirà a far fronte al fabbisogno crescente di greggio dell’economia mondiale.
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mario rossi
Attenzione!!!! ma non era stato detto che il prezzo basso era dovuto alla sovraproduzione e al mancato taglio della stessa da parte dell’OPEC. mi sembra che la tua analisi presenti un pò di confusione. Se i prezzi si abbassano è perchè il petrolio ce ne sta troppo in giro e nessuno lo vuole. Questo è anche plausibile perchè con tutti gli sforzi per le rinnovabili, il calo dei consumi dovuto alla deindustrializzazione di molti paesi, i fabbisogni sono di certo calati. Un altro discorso è invece se vogliamo deindustrializzare in europa per poter produrre a basso costo inquinando come 100 anni fa in east africa. A questo punto avremmo fatto il gioco delle tre carte e veramente i nostri governi sarebbero ridicoli. Ti dico anche che se succede una roba del genere il prezzo del petrolio andrà alle stelle di nuovo cogliendoci del tutto impreparati perchè ci riempiamo la bocca di rinnovabile ma sappiamo tutti che non è nulla pronto a livello di infrastrutture e politiche energetiche per abbassare la percentuale del fossile nel mix energetico. Sarebbe una rovina!!!!! ma non sarebbe una sorpresa!!!
M
Anche io ho la sensazione che ci sia un grande assente: il fattore ambiente, in particolare il cambio climatico. Mi preoccupa molto, che il discorso non includa questo fattore. L’analisi economica é destinata a diventare molto complessa e sará sempre piú difficile rimantere nei confini tradizionali di quesata disciplina.
Con ritardo rispetto agli allarmi del mondo scentifico, finalmente anche istutuzioni caute come la NASA, IEA, ONU, avvertono che le consegunze del cambio climatico sono enormi e imminenti, anche sull’economia (per non parlare delle nostre vite). Vedasi per esempio: http://www.cam.ac.uk/research/news/cost-of-arctic-methane-release-could-be-size-of-global-economy-warn-experts . Non a caso il mondo delle assicurazioni che vive dalle previsioni dei rischi ecomomici ha avvertito sui costi ingenti del cambio climatico.
Il fatto che ripetutamente i peggiori scenari previsti da studi, come quelli dall’IPCC, siano superati dai dati reali, mostra come l’incremento della temperatura e le sue consegunze non sono affatto lontane e remote come ci piace credere. Secondo the Guardian “If we and our children are to have a reasonable chance of living stable and secure lives 30 or so years from now, […] 80% of the known coal reserves will have to stay underground, along with half the gas and a third of the oil reserves”
Mi aspetto che tutto questo abbia un impatto enorme sul futuro dei combustibili fossili. In un lasso temporle incerto, ma probabilmente molto breve.
Jacopo Brilli
rispondo al commento di M. Ovviamente per ragioni di spazi disponibili non e’ possibile affrontare tutti i numerosissimi aspetti che ruotano attorno al mondo del petrolio in un singolo articolo. Sull’aspetto ambientale ho gia’ commentato in passato come i prezzi bassi possono togliere gli incentivi per molti paesi a passare a forme di economia piu’ pulite o ad investire in fonti di energia piu’ pulite o rinnovabili. Offro un ulteriore spunto di riflessione. Produrre petrolio e’ sempre piu’ costoso perche’ i giacimenti facilmente accessibili (tecnicamente e politicamente) sono sempre meno. Investire seriamente nelle rinnovabili dovrebbe essere una priorita’ anche economica e non solo ambientale. Gli stessi prezzi del petrolio se analizzati in una prospettiva storica non sono affatto bassi e nel lungo periodo torneranno a crescere. USA e Cina hanno creato una partneship impegnando ben 150 miliardi di dollari in 5 anni per sviluppare insieme tecnologie per energie rinnovabili e piu’ pulite. L’Europa per tutta una serie di ragioni, in primis l’assenza di una competenza comunitaria in materia, non riesce a mettere in campo le stesse risorse. Per avere una crescita economica sostenibile e’ ‘economicamente’ necessario affrancarsi sempre piu’ e sempre piu’ velocemente dal petrolio, e dagli idrocarburi in generale.
Jacopo Brilli
Rispondo al commento di Mario Rossi – l’analisi non presenta nessuna confusione. I dati relativi al consumo e produzione mondiale e le previsioni su di essi sono chiari. Il consumo di petrolio continuera’ a salire. Il settore dei trasporti e’ ancora fondamentalmente basato su conbustibili fossili. Da un punto di vista dei fondamentali del mercato, l’eccesso di produzione attuale sara’ assorbito perche’ i fondamentali sono solidi (la domanda continua a crescere). I prezzi sono bassi perche’ grazie ad un mix di prezzi altri per un lungo periodo e tassi di interesse ai minimi storici l’industria petrolifera ha creato un eccesso di capacita’ produttiva senza precedenti. L’impatto delle rinnovabili e deindustrilizzazione e’ stato marginale. Putroppo il sistema finanziario ha destinato enormi risorse ad un settore che probabilmente non ne aveva cosi’ bisogno. E’ vero anche come scrivi tu che probabilmente non siamo pronti ad un passaggio alle rinnovabili. Il punto fondamentale e’ che anche adesso i prezzi del petrolio non sono bassi, sono solo percepiti come tali. Negli ultimi 50 anni il prezzo medio del petrolio in termini reali e’ stato di circa 51 dollari. In una prospettiva storica e’ difficile prevedere che il petrolio sia compatibile con un crescita sostenibile dell’economia, questo al netto di considerazioni relative all’impatto sull’ambiente che sono altrettanto importanti.
Marco
Interessante analisi che però non tiene conto dello shale oil nord americano, la cui produzione è molto più elastica rispetto ai tradizionali produttori, e che in caso di salita dei prezzi potrebbe rientrare sul mercato in tempi molto più brevi
Jacopo
Al momento non sono disponibili dati precisi ma non e’ possibile escludere che i produttori di shale possano rientrare in pienamente in gioco attorno ai 65 dollari (forse anche meno). Inoltre il calo della produzione di shale oil negli USA potrebbe aver riguardato i campi marginali e non quelli più’ produttivi. E’ assolutamente corretto affermare che lo shale oil può’ rientrare sul mercato molto più’ velocemente delle produzioni convenzionali. Tuttavia in una prospettiva di equilibrio tra consumo e produzione a livello globale, la produzione di shale oil non offre ancora una spare capacity in grado di influenzare il mercato, se non in modo parziale e per un periodo di tempo limitato. Confrontare i tassi di crescita di consumo e produzione sara’ quindi essenziale per capire come il mercato si riposizionera’ negli anni a venire.
Jacopo Brilli
Complemento al alla risposta commento Marco – i primi dati attendibili su alcuni dei principali bacini di produzione dello shale oil statunitense offrono un’immagine piuttosto frastagliata degli attuali costi operativi dei produttori. L’unico dato omogeneo e’ che in media completare un pozzo di shale costa tra i 6 ed i 7 milioni di dollari. Questo costo esclude oneri finanziari e costi generali di gestione. Considerando che la produzione di shale oil si basa su un’intensa attivita’ di perforazione, perche’ essa torni sul mercato e’ necessario che i prezzi tornino sopra i 60-65 dollari e ci rimangano a lungo. Un’analisi storica dello sviluppo recente della produzione shale chiarisce che le condizioni che hanno reso possibile il ‘boom’ dello shale sono stati prezzi alti e tassi di interesse bassi. Un indicatore affidabile della direzione della produzioene futura e’ la quantita’ di torri di perforazione operative, Nel 2015-2016 il numero di torri in operazione negli USA e’ diminuito drasticamente (suggerisco di vedere i dati della BakerHughes). Non mi risultano inoltre innovazioni tecnologiche tali da abbattere i costi. Il punto fondamentale e’ che produrre petrolio, soprattutto se si tratti di giacimenti nuovi, costa tanto. In altre parole, il petrolio non sta finendo, ma sta finendo il petrolio accessibile a buon mercato. Forse la spinta al superamento delle fonti fossili verra’ da una semplice necessita’ economica di trovare fonti di energia piu’ economiche.