Lavoce.info

Quanto è difficile far tornare l’inflazione

Dopo aver concluso a dicembre 2015 l’era dei tassi zero, la Fed appare oggi paralizzata. Intanto da metà 2014, i mercati hanno smesso di credere che l’obiettivo di inflazione del 2 per cento sia raggiungibile per i prossimi anni. L’importanza della credibilità di chi conduce la politica monetaria.

Fed in mezzo al guado

Il tema dominante della politica monetaria mondiale oggi è: che sentiero dei tassi di interesse seguirà la Fed, dopo che a dicembre 2015 ha concluso l’era dei tassi zero? La questione è centrale per il ruolo sempre più decisivo che la politica monetaria della Federal Reserve riveste per tutto l’economia mondiale e in particolare per gli effetti sui movimenti internazionali di capitale, da e verso i paesi emergenti. Dopo quella mossa così discussa la Fed appare oggi paralizzata. Come qualcuno che, convinto da un primo timido raggio di sole a uscire di casa dopo la pioggia, si trovi appena al di là della soglia bloccato dal ritorno del temporale. Non solo a disagio perché stretto tra il desiderio di uscire e quello di tornare indietro; ma anche “imbarazzato”, per aver formulato previsioni errate sulla evoluzione del tempo. L’effetto della paralisi della Fed è un incremento sostanziale dell’incertezza sull’evoluzione futura della politica monetaria. In tempi così incerti, tutto il mondo economico e finanziario farebbe carte false per una indicazione precisa su dove la banca centrale americana voglia condurre i tassi di interesse da qui a un anno. Il costo più alto della decisione frettolosa di uscire di casa presa dalla Fed nel dicembre 2015 mi sembra di tipo reputazionale. Ogni membro del board della Fed, pur con distinzioni sulla sequenza temporale delle decisioni, prevede oggi per il 2016 un graduale rialzo dei tassi di interesse. Questo nonostante le condizioni dell’economia americana sembrino peggiorare, e l’inflazione mantenersi con persistenza sotto il target del 2 per cento. In altre parole, ogni membro della Fed sembra escludere la possibilità che, paralizzati sulla soglia, si possa anche decidere semplicemente di rientrare in casa: cioè di tornare ad abbassare, oggi o in futuro, i tassi di interesse.

Leggi anche:  Espansiva o restrittiva? Come leggere la politica monetaria della Fed

Obiettivo 2 per cento

Pochi sembrano ricordare che la Fed ha un target di inflazione del 2 per cento e che il tasso di inflazione effettivo è rimasto sotto l’obiettivo costantemente dal 2012. Molti commentatori, ed economisti monetari, si interrogano sul perché sembri così difficile, nonostante la lunga stagione di politiche monetarie non convenzionali espansive, riportare il tasso di inflazione su valori considerati normali. La figura qui sotto fornisce una prima parziale risposta: è difficile semplicemente perché nessuno crede più che sia possibile.

monacelli1

La figura mostra due misure delle aspettative di inflazione ricavate dai mercati finanziari: la differenza fra il rendimento di un normale titolo a cinque, o dieci, anni, e il suo corrispondente “indicizzato all’inflazione”. La differenza è proprio la compensazione che gli investitori richiedono per essere “protetti” dal rischio futuro di inflazione. Il quadro è molto chiaro: dalla metà del 2014 i mercati hanno smesso di credere che il target del 2 per cento avrebbe potuto essere raggiunto nei successivi cinque, o addirittura dieci, anni. Di fronte a tale andamento delle aspettative, l’unica conclusione che è possibile trarre è che il target del 2 per cento ha semplicemente perso credibilità. In questo quadro, rialzare l’inflazione effettiva rischia di diventare una fatica di Sisifo. Si è pensato per decenni che la battaglia della politica monetaria contro l’inflazione fosse intrinsecamente asimmetrica: difficile abbatterla, ma molto facile crearla. Oggi ci stiamo rendendo conto che “creare inflazione”, quanto meno nelle economie industrializzate mature, è un mestiere altrettanto difficile. Che richiede, in ogni caso, un requisito essenziale: la credibilità di chi conduce la politica monetaria.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  La crescita italiana che non c'è

Precedente

Previdenza complementare tra opportunità e rischi

Successivo

Il Punto

  1. Paolo Mariti

    Troppo spesso la deflazione ( malattia organica)- è vista come il contrario dell’’inflazione ( malattia infettiva). Ciò può portare a mettere l’enfasi sull’andamento reale dei prezzzi ed a stabilire dei targets come “il 2%“ che, pur mirando a modificare le aspettative, sono facilmente verificabili nel breve periodo e, se non ottenuti, aggravano il quadro che si vuol modificare, scalfendo la credibilità delle banche centrali. Queste dovrebbero indicare obiettivi “compositi” e “loose” per non dare l’impressione che l’inflazione è il solo determinante della loro politica: ad esempio lasciar intendere chiaramente che la loro politica guarda all’andamento del Pil NOMINALE.

  2. Piero Fornoni

    quest’articolo riguarda solo I paesi sviluppati e non tutti , per esempio tutto il N. America ha un ‘inflazione positiva e per gli USA http://www.morningstar.it/it/news/150486/video-hasenstab-i-mercati-emergenti-sono-molto-sottovalutati.aspx secondo Hasenstab: “ Siamo convinti che l’inflazione sia sottostimata, tanto è vero che i mercati si sono concentrati, per la maggior parte di quest’anno, sul rischio di deflazione. Ma se guardiamo agli Stati Uniti, vediamo che siamo in una situazione di piena occupazione e abbiamo cominciato ad osservare segnali di stress sul mercato del lavoro, che porteranno a pressioni sui salari Il mercato immobiliare è più solido e i prezzi nel settore dei servizi sono in crescita. Ancora più importante, l’effetto deflazionistico del crollo del petrolio sparirà dato che le quotazioni si sono stabilizzate. Ci aspettiamo, quindi, un’inflazione sopra il 2% se non sopra il 3% entro la fine di questo o l’inizio del prossimo anno. L’ottimismo di chi acquista obbligazioni deriva dai timori di deflazione, ma la situazione potrebbe cambiare. “ Inoltre oggi I paesi emergenti rappresentano piu’ del 50% del GDP mondiale ed hanno inflazione positiva. Quindi anche se I paesi con inflazione positiva (+1,5 or higher) assieme rappresentano attorno al 75% del GDP mondiale ci sono circa “$10 trillion-worth of bonds now have negative yields. “ A me sembra che la deflazione strutturatale di cui si parla continuamente sia un’abbaglio collettivo .

  3. Maurizio Cocucci

    A mio avviso siamo in un contesto in cui la politica monetaria può fare ben poco per influenzare i prezzi e quindi il suo tasso di incremento. Occorre analizzare infatti più approfonditamente il fenomeno per capire se e cosa può fare una (o più insieme) banca centrale con la sua politica monetaria. Prendiamo ad esempio la Germania, ovvero una economia che sta attraversando una fase favorevole: domanda aggregata interna con un tasso di crescita nel 2015 del 2,1% rispetto all’anno precedente, un livello di occupazione elevato e per contro basso di disoccupazione, export in continua crescita e, stando ai dati dell’istituto IFO, ha un indice di utilizzazione della capacità produttiva del 84% circa. Insomma una realtà che (beati loro) sta attraversando una fase di crescita non rilevante ma comunque solida ed inarrestabile. Eppure se guardiamo ai dati sui prezzi dell’Istituto di Statistica di Wiesbaden si rileva come l’indice dei prezzi dei prodotti importati ha registrato ad Aprile un -6,6% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Quello dei prezzi dei prodotti all’ingrosso un -2,7% ed in generale quello dei prodotti alla produzione un -3,1%. In controtendenza l’indice dei prezzi delle costruzioni, che grazie ai bassi tassi di interesse, vede una crescita annuale nel primo trimestre 2016 tra 1,6 e 1,9%, a seconda del settore (abitativo, commerciale, industriale). Insomma è difficile con queste premesse andare oltre lo 0,1% in più o in meno di quello dei prezzi al consumo.

  4. Enrico Motta

    Secondo me l’obbiettivo dell’ inflazione al 2%, senza calcolare il calo del prezzo del petrolio, non ha senso. Quanto sarebbe l’inflazione se il petrolio fosse rimasto a 70-100 $ al barile?

  5. carmine meoli

    Misure non convenzionali ed effetti imprevedibili .
    Se l (assenza d)i inflazione limita la crescita , perché non fare ricorso ad una misura non convenzilonale , quale un temporaneo aumento delle aliquote Iva ? Non mi permetto di m agnificarne gli effetti ne di suggerire utilizi del maggior gettito , ma solo di stimolare la riflessione. Un saluto

  6. L’inflazione è la cosa più facile da provocare. Negli USA hanno avuto successo le politiche monetarie, la disoccupazione è ai minimi storici, l’inflazione quindi diventa un obbiettivo secondario. Il vero problema è in Europa, dove l’inflazione è l’obbiettivo primario è la Bce non è credibile.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén