Nessuna rivincita degli emarginati sui privilegiati: la Brexit non si spiega con un conflitto di classe, ma con un conflitto di valori. Che corre lungo la contrapposizione autoritarismo-libertarismo. Ma non bisogna essere troppo pessimisti: tra Regno Unito e Unione Europea sarà divorzio a metà.
Non è un conflitto di classe
Il sorprendente risultato della campagna del “leave” è stato a malapena assorbito e già gli esperti ci vendono una storia familiare: gli emarginati delle province sfortunate hanno preso a pugni sul naso la privilegiata Londra degli affari.
Ma i fatti raccontano una storia ben diversa: cultura e personalità, non circostanze materiali, separano coloro che hanno votato “remain” da quanti hanno votato “leave”. Non si tratta di un conflitto di classe, quanto di una divisione nel sistema dei nei valori che trascende l’età, il reddito, l’educazione e anche il partito.
Un buon modo di dimostrarlo è esaminare la relazione tra il supporto all’Unione Europea e le cosiddette domande “sull’autoritarismo”, come ad esempio se i bambini dovrebbero obbedire agli adulti oppure se la pena di morte è accettabile. Il British Election Study – un consorzio delle università di Manchester, Oxford e Nottingham che studia i comportamenti elettorali dei cittadini britannici – ha rivolto a un campione di oltre 24mila individui domande riguardo il loro punto di vista su queste questioni e ha chiesto anche se al referendum avrebbero votato per lasciare l’Ue.
Il grafico sottostante, che prende in esame solo le risposte dei cittadini britannici bianchi, mostra che non c’è una differenza statisticamente significativa nelle intenzioni di voto sull’Ue tra ricchi e poveri. Al contrario, la probabilità di votare per la Brexit cresce dal 20 per cento circa di chi si oppone alla pena di morte fino al 70 per cento per chi è a favore. Le persone ricche che più sono a favore della pena di morte, sono a favore della Brexit. Le persone meno abbienti che più si oppongono alla pena di morte, votano per il “remain”.
Grafico 1
Uno schema simile si ritrova anche nel British Value Survey quando, con parole forti, si chiede agli intervistati se coloro che commettono crimini sessuali dovrebbero essere “frustati in pubblico, o peggio”. Gli psicologi della politica indicano una relazione stretta tra la paura del cambiamento, il desiderio di certezze e la richiesta di pene pesanti per i criminali e di disciplina per i bambini. Sono le persone che vogliono un mondo più stabile e ordinato. Al contrario, coloro che ricercano cambiamento e novità sono più propensi ad accogliere gli immigrati e sostenere l’Ue.
Grafico 2
Precisamente la stessa relazione – basata sui valori più che sull’appartenenza di classe – caratterizza i supporter di Donald Trump. «Ho trovato che una singola variabile predice in modo statisticamente significativo se un elettore è un sostenitore di Trump – e non è la razza, il reddito o il livello di istruzione: è l’autoritarismo» ha scritto Matthew MacWilliams il gennaio scorso.
Questo non significa che età, educazione, classe e genere non contino. Ma contano perché influenzano il livello di autoritarismo delle persone. Geni, genitori severi e condizioni disagiate contribuiscono all’avversione delle persone per la diversità, avversione che entra a far parte della loro personalità. Per Karen Stenner, tutto ciò rende gli autoritari insensibili ai richiami ad accogliere la diversità.
Le persone più giovani, più ricche e meglio educate – e le donne – sono un po’ meno propense a ordine e intolleranza. Ma il motivo non è l’istruzione. Un recente studio in Svizzera mostra che i ragazzi con una mentalità liberale si auto-selezionano nelle università – con il loro liberalismo evidente già fin dai 13 anni. Non è dunque l’università a rendere più liberali le persone.
Un divorzio a metà
L’immigrazione su larga scala mette alla prova il predominio demografico delle maggioranze bianche e per questo il divario tra i bianchi che accettano il cambiamento e quelli che vi si oppongono emerge oggi come la principale spaccatura politica in Occidente. Di fronte a questo divario culturale, le differenze materiali tra chi ha e chi non ha, tra manager e lavoratori, diventano molto meno importanti. Da Donald Trump a Norbert Hofer, da Marine Le Pen a Nigel Farage, l’asse autoritario-libertario si sostituisce alla politica.
E il Regno Unito? Il paese riemerge da una battaglia che lascerà segni: coloro che hanno paura del cambiamento si sono ritrovati nel “leave”, mentre le persone più a loro agio con le differenze hanno optato per il “remain”.
In ogni caso, i due schieramenti non si sovrappongono perfettamente. Boris Johnson, Douglas Carswell e altri leader del “leave” sono nel loro intimo libertari o finanche globalisti. Quando inizieranno i negoziati, questa leadership improntata alla libertà cercherà di ottenere dall’Europa un accordo sull’immigrazione, in modo da assicurare al Regno Unito l’accesso al mercato europeo. La messinscena della “uscita dolce” dall’Unione Europea irriterà la maggioranza autoritaria dei fautori del “leave”, ma la credibilità che Johnson si è conquistato come l’uomo che ha guidato la Gran Bretagna fuori dalla Ue gli dà lo spazio di manovra per raggiungere compromessi.
La storia del populismo di destra dal Sud degli Stati Uniti all’Irlanda del Nord è una storia di leader che utilizzano la loro base per la cavalcata verso il potere, salvo poi adottare rapidamente posizioni più moderate una volta in carica. Aspettatevi un divorzio a metà, non un taglio netto.
(Traduzione a cura de lavoce.info)
* L’articolo è stato originariamente pubblicato sul sito della Fabian Society
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Enzo Michelangeli
In che modo questi dati provano che “non e’ un conflitto di classe”? Manca la parte sui dati demografici sul ceto di appartenenza. Che sono invece forniti p.es. dal survey effettuato da Lord Ashcroft, e provano una stretta correlazione tra voto per il “Leave” e lavoro dequalificato e basso reddito: http://lordashcroftpolls.com/wp-content/uploads/2016/06/LR-by-demographics-768×720.jpg .
In particolare, Remain ha ottenuto una maggioranza significativa (57% contro 43%) solo negli strati sociali AB ( “Higher & intermediate managerial, administrative, professional occupations”, che nel censimento del 2011 comprendeva poco piu’ del 22% della popolazione) con un sostanziale pareggio nello strato C (“Supervisory, clerical & junior managerial, administrative, professional occupations”), e nette maggiornaze pro-Leave (64% contro 36%) negli strati inferiori DE (“Semi-skilled & unskilled manual occupations, Unemployed and lowest grade occupations”). Il fatto che i leavers siano anche socialmente reazionari dice solo che scarsa istruzione e basso reddito sono ben correlati con intolleranza e xenofobia.
Renzo Carriero
D’accordo con Michelangeli. Questo articolo non prova nulla circa il ruolo delle variabili generazionali e del ceto sociale. Poi non si capisce perché i dati del primo grafico comprendano solo i cittadini bianchi. I neri britannici si sono forse astenuti?
Giorgio
No! Il primo grafico mostra chiaramente che – a parità di “autoritarismo” – le differenze di reddito contano molto poco o si annullano del tutto!
giovane arrabbiato
”Non vengono pubblicati i commenti che contengono espressioni razziste”
”La Brexit è tutta colpa dei razzisti bianchi”.
Ok.
Henri Schmit
Molto interessante, ma non mi convince. La categoria binaria liberale-autoritaria potrebbe non cogliere quello che sta succedendo davvero. La gente che vota contro l’Europa non è tutta senofoba e illiberale, ma spesso semplicemente non più convinta dai messaggi (parole e fatti) che vengono dall'”Europa”, cioè dai vertici di Bruxelles (Juncker comincia a mostrare i suoi evidenti limiti, la precedente commissaria all’immigrazione aveva limiti ancora più bassi, il presidente dell’eurogruppo non brilla) e dai governi nazionali che contano (la migliore è Merkel ma basta poco in assenza di paragoni validi, Cameron se ne va, rimangono solo l’ormai fallito Hollande e il comunque – nonostante la tifoseria patriotica – inaffidabile e non convincente Renzi). Che cosa devono sperare e votare i cittadini liberali, istruiti e benestanti? Voteranno sempre di più contro, contro l’UE e contro l’offerta politica inadeguata (sull’ immigrazione, una questione tuttora aperta, non risolta, ma anche sulla crisi economica, sulla politica sociale con povertà che aumenta, e aggiungerei sulle sfide internazionali non affrontate in modo convincenti). Se questo ragionamento è in qualche misura pertinente, allora servono altre categorie di analisi di quelle utilizzate dall’autore.
Nastasi Gioacchino Giorgio
Non mi convince l’uscita dolce ,potrebbe convincermi la non uscita ..Come ampiamente rappresentato da vari autori il Regno Unito ha oggi il miglior accordo possibile ed una serie di eccezioni che aggiunte a quelle ottenute da Cameron ne gfa fanno un membro atipico.E’ impensabile e presumibilmente suicida (per l’UE)che l’accordo con un Paese uscito sia migliorativo rispetto a quello che aveva come membro..Poi una volta invocato l’articolo 50 l’uscita credo diventi irreversibile ed un rientro non potrà più avvenire alle precedenti condizioni sopratutto se dovrà essere ratificato da tutti i Paesi Membri.E’ una certa “arroganza” Britannica che sta facendo perdere a loro quell’aura di charme che sentivano molti europei verso Londra e il Regno Unito,me compreso che fra l’altro ho una moglie Britannica e tre figli con doppio passaporto ai quali non è stato permesso di votare…Good Bye UK .Stanno rilanciando senza avere le carte giuste..