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Dalla Gran Bretagna un anticipo di Mifid II

Nel 2018 entra in vigore la Mifid II, che aumenta la trasparenza dei costi del servizio di consulenza sui prodotti finanziari. Chiari i vantaggi per i risparmiatori, ma che effetti avrà sugli intermediari? I risultati della Rdr in Gran Bretagna possono darne un’idea. La sfida per le banche italiane.

L’esperienza della Gran Bretagna

In tempo di Brexit sembra strano riferirsi alla Gran Bretagna per avere indicazioni sugli effetti della legislazione europea, ma nel caso dei servizi di investimento da lì arrivano alcune indicazioni interessanti.
Il 1° gennaio 2018 entrerà in vigore la Mifid II (Markets in Financial Instruments Directive), che richiede modelli “tipizzati” di consulenza con regole specifiche, aumenta la trasparenza dei costi del servizio e pone vincoli molto più stringenti sulla remunerazione delle banche e delle reti nella distribuzione di prodotti finanziari.
Per gli investitori che utilizzano i servizi delle banche e delle società di investimento sono ottime notizie, per gli operatori del settore è una grande sfida, perché inevitabilmente la maggiore trasparenza porterà una riduzione dei margini e indurrà una revisione dei modelli di servizio.
Per questo motivo è interessante esaminare gli effetti della la Retail Distribution Review (Rdr), una normativa in vigore nel Regno Unito dal 2013 che ha anticipato, e in parte ispirato, la Mifid II.
La Rdr limita le retrocessioni o inducements (la quota delle commissioni che le società emittenti applicano ai prodotti di investimento e poi rigirano alle reti) ai prodotti preesistenti e alla distribuzione senza consulenza. Il servizio di consulenza in materia di investimenti ora deve essere esplicitamente remunerato dal cliente attraverso commissioni commisurate al portafoglio o commissioni orarie, che vengono applicate direttamente dalla rete bancaria o dal consulente indipendente (Ifa).
I dati forniti recentemente dalla Financial Conduct Authority, rivelano che nel 2015, terzo anno di applicazione della norma, le commissioni pure di consulenza (fee) a carico diretto dei clienti retail hanno raggiunto il 64 per cento del totale ricavi sui servizi di investimento al retail, mentre le retrocessioni (che erano in precedenza all’80 per cento) sono diminuite al 31 per cento.
Nel nuovo scenario si registra il potenziamento della consulenza ad alto valore aggiunto e contemporaneamente la crescita della distribuzione senza consulenza, generalmente in regime di “execution only” (ricezione e trasmissione ordini). Il servizio quindi si sta polarizzando, ma senza penalizzare eccessivamente i ricavi complessivi, che sono aumentati di circa il 16 per cento nel biennio 2013-2015.

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I problemi delle banche italiane

L’aspetto positivo è che i clienti, oggi in grado di comprendere in maniera molto più informata il valore della consulenza e di decidere se cambiare banca o consulente (o di autogestire il proprio portafoglio), sono ragionevolmente disposti a pagare esplicitamente il servizio.
Non mancano però alcuni elementi preoccupanti per le banche italiane. Nel nostro paese, i ricavi da servizi stanno in buona parte compensando il calo del margine di interesse, anche grazie a una forte dinamica positiva delle commissioni relative all’amministrazione e alla gestione del risparmio, che ne sono una componente importante.
I dati relativi a questa voce, denominata “ricavi da gestione, intermediazione e consulenza” non sono disponibili a livello aggregato di sistema, ma è stato possibile stimare l’andamento su un campione di banche che rappresenta circa un terzo del totale attivi. Nel biennio 2013-2015 questi ricavi sono aumentati del 34 per cento (vedi figura), un livello più che doppio rispetto a quello della Gran Bretagna post Rdr.

Figura 1

zaini

Le situazioni di Italia e Gran Bretagna non sono totalmente comparabili, anche per la diversa struttura distributiva. Ma se ci fosse un allineamento alle dinamiche seguite all’entrata in vigore della Rrd, la Mifid II limiterebbe la capacità di recupero della reddittività delle banche sul fronte dei ricavi. Senza contare gli effetti dei significativi investimenti necessari nel sistema dei controlli interni, nella professionalità delle reti, nel reporting al cliente sul servizio, sui costi e sui prodotti.
Occorrerà tagliare o ripensare i servizi che oggi aggiungono poco valore al business senza penalizzare troppo i clienti, i quali dovrebbero avere un’opzione fra servizi essenziali a basso costo e servizi di qualità con oneri trasparenti. In questo contesto, la tecnologia avrà un ruolo importante, ma migliorare il servizio e consolidare il rapporto di fiducia con i clienti sarà un imperativo: chi non saprà cogliere questa occasione difficilmente avrà un futuro radioso.

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  1. Roberto

    Ho iniziato a leggere questo articolo con molto interesse, ma arrivo alla fine senza incontrare un concetto interessante. Perché scrivere di qualcosa che non si conosce? Misteri della vita.

    • Gentile Roberto,
      mi dispiace lei abbia questa opinione. A me sembra chiaro da questi numeri, alcuni dei quali stimati e quindi non di pubblico dominio, che la strategia di recupero della reddittività delle banche attraverso la spinta sulle commissioni è fortemente a rischio con l’introduzione di MiFID II. L’incremento delle commissioni, in particolare sui servizi di investimento, è una delle due principali leve (insieme alla riduzione dei costi) per migliorare i risultati operativi. Se lei ritiene questo non rilevante ne prendo atto, ma la invito a scambiare qualche opinione con i responsabili della Pianificazione e/o del Private/Wealth Management di qualche banca

      • Mauro Bossola

        Sono convinto, con il Dr. Zaini, che la revisione di della direttiva Mifid porterà una profonda riflessione da parte delle banche italiane sulla struttura dei ricavi da investimenti. Ne è anche in parte testimonianza la cautela con la quale le aziende di credito nostrane si stanno preparando a questo cambiamento ed i continui rinvii dell’implementazione di Mifid I

  2. Ottimo articolo; e ottima la MiFID II che regola il rapporto fra fornitore del servizio finanziario e investitore/risparmiatore, imponendo trasparenza, vietando patti leonini e favorendo una certa standardizzazione. Le macro-categorie del conto economico degli operatori è un altro problema; difficoltà di raffronto proteggono (for the time being) operatori e sistemi inefficienti.

  3. SpeculaThor

    Quando la quotazione dei fondi attivi (fee 2% almeno) forzata dall’espansione degli etf passivi (fee 0,7%) accelererà ci sarà una mezza distruzione delle reti di vendita senza vera consulenza. Sono gli ETF che hanno imposto la Mfid II. Senza la concorrenza degli Etf non la avrebbero fatta.

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